I Fioretti di San Francesco |
Capitolo primo.
Al nome del nostro Signore Gesù Cristo crocifisso e della sua Madre Vergine Maria. In questo libro si contengono certi fioretti miracoli ed esempi divoti del glorioso poverello di Cristo messer santo Francesco e d'alquanti suoi santi compagni. A laude di Gesù Cristo. Amen.
In prima è da
considerare che 'l glorioso messere santo Francesco in tutti gli atti della vita
sua fu conforme a Cristo benedetto: ché come Cristo nel principio della sua
predicazione elesse dodici Apostoli a dispregiare ogni cosa mondana, a seguitare
lui in povertà e nell'altre virtù; così santo Francesco elesse dal principio del
fondamento dell'Ordine dodici compagni possessori dell'altissima povertà.
E come un de' dodici Apostoli, il quale si chiamò Iuda Scariotto, apostatò dello
apostolato, tradendo Cristo, e impiccossi se medesimo per la gola: così uno de'
dodici compagni di santo Francesco, ch'ebbe nome frate Giovanni dalla Cappella,
apostatò e finalmente s'impiccò se medesimo per la gola. E questo agli eletti è
grande esempio e materia di umiltà e di timore, considerando che nessuno è certo
perseverare infino alla fine nella grazia di Dio. E come que' santi Apostoli
furono a tutto il mondo maravigliosi di santità e d'umiltà, e pieni dello
Spirito Santo; così que' santi compagni di santo Francesco furono uomini di
tanta santità, che dal tempo degli Apostoli in qua il mondo non ebbe così
maravigliosi e santi uomini: imperò ch'alcuno di loro fu ratto infino al terzo
Cielo come Santo Paulo, e questo fu frate Egidio; alcuno di loro, cioè fra
Filippo Lungo, fu toccato le labbra dall'Agnolo col carbone del fuoco come Isaia
profeta, alcuno di loro, ciò fu frate Silvestro, che parlava con Dio come l'uno
amico coll'altro, a modo che fece Moisè; alcuno volava per sottilità
d'intelletto infino alla luce della divina sapienza come l'aquila, cioè Giovanni
evangelista, e questo fu frate Bernardo umilissimo il quale profondissimamente
esponea la Scrittura santa: alcuno di loro fu santificato da Dio e canonizzato
in Cielo vivendo egli ancora nel mondo, e questo fu frate Ruffino gentile uomo
d'Ascesi; e così furono tutti privilegiari di singolare segno di santità,
siccome nel processo si dichiara.
Capitolo secondo.
Di frate Bernardo da Quintavalle primo compagno di santo Francesco.
Il primo compagno di santo Francesco si fu frate Bernardo d'Ascesi, il quale si convertì a questo modo: che essendo Francesco ancora in abito secolare, benché già esso avesse disprezzato il mondo e andando tutto dispetto e mortificato per la penitenza intanto che da molti era reputato stolto, e come era schernito e scacciato con pietre e con fastidio fangoso dalli parenti e dalli strani ed egli in ogni ingiuria e ischerno passandosi paziente come sordo e muto; messere Bernardo d'Ascesi, il quale era de' più nobili e de' più savi della città, cominciò a considerare saviamente in santo Francesco il così eccessivo dispregio del mondo, la grande pazienza nelle ingiurie, che già per due anni così
abbominato e
disprezzato da ogni persona sempre parea più costante e paziente, cominciò a
pensare e a dire fra sé medesimo: Per nessuno modo puote che questo Francesco
non abbia grande grazia di Dio. E sì lo invitò la sera a cena e albergo; e santo
Francesco accettò e cenò la sera con lui e albergò.
E allora, cioè messere Bernardo, si puose in cuore di contemplare la sua
santità: ond'egli gli fece apparecchiare un letto nella sua camera propria nella
quale di notte sempre ardea una lampana. E santo Francesco, per celare la
santità sua immantanente come fu entrato in camera si gittò in sul letto e fece
vista di dormire, e messere Bernardo similmente, dopo alcuno spazio, si puose a
giaciere, e incominciò a russare forte a modo come se dormisse molto
profondamente. Di che santo Francesco, credendo veramente che messere Bernardo
dormisse, in sul primo sonno si levò dal letto e puosesi in orazione, levando
gli occhi e le mani al cielo, e con grandissima divozione e fervore diceva:
«Iddio mio, Iddio mio», e così dicendo e forte lagrimando istette infino al
mattutino, sempre ripetendo: «Iddio mio, Iddio mio», e non altro. E questo dicea
santo Francesco contemplando e ammirando la eccellenza della divina Maestà, la
quale degnava di condescendere al mondo che periva, e per lo suo Francesco
poverello disponea di porre rimedio di salute dell'anima sua e degli altri; e
però alluminato di Spirito Santo, ovvero di spirito profetico, prevedendo le
grandi cose che Iddio doveva fare mediante lui e l'Ordine suo, e considerando la
sua insufficienza e poca virtù, chiamava e pregava Iddio, che colla sua pietà e
onnipotenza, senza la quale niente può l'umana fragilità, supplesse, aiutasse e
compiesse quello per sé non potea. Veggendo messere Bernardo per lo lume della
lampana gli atti divotissimi di santo Francesco, e considerando divotamente le
parole che dicea, fu toccato e ispirato dallo Spirito Santo a mutare la vita
sua. Di che, fatta la mattina, chiamò santo Francesco e disse così: «Frate
Francesco, io ho al tutto disposto nel cuore mio d'abbandonare il mondo e
seguitare te in ciò che tu mi comanderai».
Udendo questo, santo Francesco si rallegrò in ispirito e disse così: «Messere
Bernardo, questo che voi dite è opera sì grande e malagevole, che di ciò si
vuole richiedere consiglio al nostro Signore Gesù Cristo e pregarlo che gli
piaccia di mostrarci sopra a ciò la sua volontà ed insegnarci come questo noi
possiamo mettere in esecuzione.
E però andiamo insieme al vescovado dov'è un buono prete, e faremo dire la messa
e poi staremo in orazione infino a terza, pregando Iddio che 'nfino alle tre
apriture del messale ci dimostri la via ch'a lui piace che noi eleggiamo».
Rispuose messere Bernardo che questo molto gli piacea; di che allora si mossono
e andarono al vescovado. E poi ch'ebbono udita la messa e istati in orazione
insino a terza, il prete a' preghi di santo Francesco, preso il messale e fatto
il segno della santissima croce, si lo aperse nel nome del nostro Signore Gesù
Cristo tre volte: e nella prima apritura occorse quella parola che disse Cristo
nel Vangelo al giovane che domandò della via della perfezione: Se tu vuogli
essere perfetto, va' e vendi ciò che tu hai e da' a' poveri e seguita me. Nella
seconda apritura occorse quella parola che disse Cristo agli Apostoli, quando li
mandò a predicare: Non portate nessuna cosa per via, né bastone né tasca, né
calzamenti né danari; volendo per questo ammaestrarii che tutta la loro
isperanza del vivere dovessono portare in Dio, ed avere tutta la loro intenzione
a predicare il santo Vangelo. Nella terza apritura del messale occorse quella
parola che Cristo disse: Chi vuole venire dopo me, abbandoni se medesimo, e
tolga la croce sua e seguiti me.
Allora disse santo Francesco a messere Bernardo: «Ecco il consiglio che Cristo
ci dà: va'
adunque e fa'
compiutamente quello che tu hai udito; e sia benedetto il nostro Signore Gesù
Cristo, il quale ha degnato di mostrarci la sua vita evangelica».
Udito questo, si partì messere Bernardo, e vendé ciò ch'egli avea (ed era molto
ricco), e con grande allegrezza distribuì ogni cosa a' poveri, a vedove; a
orfani, a prigioni, a monisterii e a spedali; e in ogni cosa santo Francesco
fedelmente e providamente l'aiutava.
E vedendo uno, ch'avea nome messere Salvestro, che santo Francesco dava tanti
danari a poveri e facea dare, stretto d'avarizia disse a santo Francesco: «Tu
non mi pagasti interamente di quelle pietre che tu comperasti da me per
racconciare la chiesa, e però, ora che tu hai danari, pagami». Allora santo
Francesco, maravigliandosi della sua avarizia e non volendo contendere con lui,
siccome vero osservatore del santo Vangelo, mise le mani in grembo di messere
Bernardo, e piene le mani di danari, li mise in grembo di messere Salvestro,
dicendo che se più ne volesse, più gliene darebbe. Contento messere Salvestro di
quelli, si partì e tornossi a casa; e la sera, ripensando di quello ch'egli
aveva fatto il dì, e riprendendosi della sua avarizia, considerando il fervore
di messere Bernardo e la santità di santo Francesco, la notte seguente e due
altre notti ebbe da Dio una cotale visione, che della bocca di santo Francesco
usciva una croce d'oro, la cui sommità toccava il cielo, e le braccia si
distendevano dall'oriente infino all'occidente. Per questa visione egli diede
per Dio ciò ch'egli avea, e fecesi frate Minore, e fu nell'Ordine di tanta
santità e grazia, che parlava con Dio, come fa l'uno amico con l'altro, secondo
che santo Francesco più volte provò, e più giù si dichiarerà. Messere Bernardo
similmente si ebbe tanta grazia di Dio, ch'egli spesso era ratto in
contemplazione a Dio; e santo Francesco dicea di lui ch'egli era degno di ogni
reverenza e ch'egli avea fondato quest'Ordine; imperò ch'egli era il primo che
avea abbandonato il mondo, non riserbandosi nulla, ma dando ogni cosa a' poveri
di Cristo, e cominciata la povertà evangelica, offerendo sé ignudo nelle braccia
del Crocifisso.
Il quale sia da noi benedetto in saecula saeculorum. Amen.
Capitolo terzo.
Come per mala cogitazione che santo Francesco ebbe contro a frate Bernardo, comandò al detto frate Bernardo che tre volte gli andasse co' piedi in sulla gola e in sulla bocca.
Il devotissimo
servo del Crocifisso messer santo Francesco, per l'asprezza della penitenza e
continuo piagnere, era diventato quasi cieco e poco vedea. Una volta tra l'altre
si partì del luogo dov'egli era e andò ad un luogo dov'era frate Bernardo, per
parlare con lui delle cose divine; e giungendo al luogo, trovò ch'egli era nella
selva in orazione tutto elevato e congiunto con Dio. Allora santo Francesco andò
nella selva e chiamollo: «Vieni - disse - e parla a questo cieco».
E frate Bernardo non gli rispuose niente imperò che essendo uomo di grande
contemplazione avea la mente sospesa e levata a Dio; e però ch'egli avea
singolare grazia in parlare di Dio, siccome santo Francesco più volte avea
provato e pertanto desiderava di parlare con lui. Fatto alcuno intervallo, sì lo
chiamò la seconda e la terza volta in quello medesimo modo: e nessuna volta
frate Bernardo l'udì, e però non gli
rispuose, né andò
a lui. Di che santo Francesco si partì un poco isconsolato e maravigliandosi e
rammaricandosi in se medesimo, che Frate Bernardo, chiamato tre volte, non era
andato a lui.
Partendosi con questo pensiero, santo Francesco, quando fu un poco dilungato,
disse al suo compagno: «Aspettami qui»; ed egli se ne andò ivi presso in uno
luogo solitario, e gittossi in orazione pregando Iddio che gli rivelasse il
perché frate Bernardo non gli rispuose. E stando così, gli venne una voce da Dio
che disse così:
«O povero omicciuolo, di che se' tu turbato? debbe l'uomo lasciare Iddio per la
creatura? Frate Bernardo, quando tu lo chiamavi, era congiunto meco; e però non
potea venire a te, né risponderti. Adunque non ti maravigliare, se non ti poté
rispondere; però ch'egli era lì fuori di sé, che delle tue parole non udiva
nulla». Avendo santo Francesco questa risposta da Dio, immantanente con grande
fretta ritornò inverso frate Bernardo, per accusarglisi umilmente del pensiero
ch'egli avea avuto inverso di lui.
E veggendolo venire inverso di sé, frate Bernardo gli si fece incontro e
gittoglisi a piedi; e allora santo Francesco li fece levare suso e narrogli con
grande umiltà il pensiero e la turbazione ch'avea avuto inverso di lui, e come
di ciò Iddio gli avea risposto. Onde conchiuse così: • lo ti comando per santa
ubbidienza, che tu faccia ciò ch'io ti comanderò». Temendo frate Bernardo che
santo Francesco non gli comandasse qualche cosa eccessiva, come solea fare,
volle onestamente ischifare a quella obbidienza, ond'egli rispuose così: «Io
sono apparecchiato di fare la vostra ubbidienza, se voi mi promettete di fare
quello ch'io comanderò a voi». E promettendoglielo santo Francesco, frate
Bernardo disse: «Or dite, padre quello che voi volete ch'io faccia».
Allora disse santo Francesco: «Io ti comando per santa ubbidienza che, per
punire la mia prosunzione e l'ardire del mio cuore, ora ch'io mi gitterò in
terra supino, mi ponga l'uno piede in sulla gola e l'altro in sulla bocca, e
così mi passi tre volte e dall'uno lato all'altro, dicendomi vergogna e
vitupero, e specialmente mi di': «Giaci, villano figliuolo di Pietro Bernardoni,
onde ti viene tanta superbia, che se' vilissima creatura?». Udendo questo frate
Bernardo, e benché molto gli fusse duro a farlo, pure per la ubbidienza santa,
quanto poté il più cortesemente, adempié quello che santo Francesco gli aveva
comandato. E fatto cotesto, disse santo Francesco: «Ora comanda tu a me ciò che
tu vuoi ch'io ti faccia, però ch'io t'ho promesso obbidienza».
Disse frate Bernardo: «lo ti comando per santa obbidienza ch'ogni volta che noi
siamo insieme, tu mi riprenda e corregga de' miei difetti aspramente». Di che
santo Francesco forte si maravigliò, però che frate Bernardo era di tanta
santità, ch'egli l'avea in grande reverenza e non lo riputava riprensibile di
cosa veruna. E però d'allora innanzi santo Francesco si guardava di stare molto
con lui, per la detta obbidienza, acciò che non gli venisse detto alcuna parola
di correzione verso di lui, il qual egli conoscea di tanta santità; ma quando
avea voglia di vederlo ovvero di udirlo parlare di Dio, il più tosto che poteva
si spacciava da lui e partivasi. Ed era una grandissima divozione a vedere con
quanta carità, riverenza e umiltà santo Francesco padre si usava e parlava con
frate Bernardo figliuolo primogenito.
A laude e gloria di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo quarto.
Come l'agnolo di Dio propuose una quistione a frat'Elia guardiano d'uno luogo di Val di Spoleto; e perché frat'Elia li rispuose superbiosamente si partì e andonne in cammino di santo Jacopo, dove trovò frate Bernardo e dissegli questa storia.
Al principio e
fondamento dell'Ordine, quando erano pochi frati e non erano ancora presi i
luoghi, santo Francesco per sua divozione andò a santo Jacopo di Galizia, e menò
seco alquanti frati, fra li quali fu l'uno frate Bernardo. E andando così
insieme per lo cammino, trovò in una terra un poverello infermo, al quale avendo
compassione, disse a frate Bernardo: «Figliuolo, io voglio che tu rimanghi qui a
servire a questo infermo».
E frate Bernardo, umilmente inginocchiandosi e inchinando il capo, ricevette la
obbidienza del padre santo e rimase in quel luogo; e santo Francesco con gli
altri compagni andarono a santo Jacopo. Essendo giunti là. e stando la notte in
orazione nella chiesa di santo Jacopo, fu da Dio rivelato a santo Francesco
ch'egli dovea prendere di molti luoghi per lo mondo, imperò che l'Ordine suo si
dovea ampliare e crescere in grande moltitudine di frati. E in cotesta
rivelazione cominciò santo Francesco a prendere luoghi in quelle contrade. E
ritornando santo Francesco per la via di prima, ritrovò frate Bernardo, e lo
infermo, con cui l'avea lasciato. perfettamente guarito; onde santo Francesco
concedette l'anno seguente a frate Bernardo ch'egli andasse a santo Jacopo.
E così santo Francesco si ritornò nella Valle di Spuleto, e istavasi in uno
luogo diserto egli e frate Masseo e frat'Elia e alcuni altri, i quali tutti si
guardavano molto di noiare o storpiare santo Francesco della orazione, e ciò
faceano per la grande reverenza che gli portavano e perché sapeano che Iddio gli
rivelava grandi cose nelle sue orazioni. Avvenne un dì che, essendo santo
Francesco in orazione nella selva, un giovane bello, apparecchiato a camminare
venne alla porta del luogo, e picchiò sì in fretta e forte e per sì grande
spazio, che i frati molto se ne maravigliarono di così disusato modo di
picchiare. Andò frate Masseo e aperse la porta e disse a quello giovane: «Onde
vieni tu, figliuolo, che non pare che tu ci fossi mai più, sì hai picchiato
disusatamente?». Rispuose il giovane: «E come si dee picchiare?». Disse frate
Masseo: «Picchia tre volte l'una dopo l'altra, di rado, poi t'aspetta tanto che
'l frate abbia detto il paternostro e vegna a te, e se in questo intervallo non
viene, picchia un'altra volta». Rispuose il giovane: «Io ho gran fretta, e però
picchio così forte, perciò ch'io ho a fare lungo viaggio, e qua son venuto per
parlare a frate Francesco, ma egli sta ora nella selva in contemplazione, e però
non lo voglio storpiare ma va', e mandami frat'Elia, che gli vo' fare una
quistione, però ch'io intendo ch'egli è molto savio».
Va frate Masseo, e dice a frat'Elia che vada a quello giovane. E frat'Elia se ne
iscandalizza e non vi vuole andare; di che frate Masseo non sa che si fare, né
che si rispondere a colui; imperò che se dicesse: frate Elia non può venire,
mentiva; se dicea come era turbato e non vuol venire, si temea di dargli male
esempio. E però che intanto frate Masseo penava a tornare, il giovane picchiò
un'altra volta come in prima; e poco stante tornò frate Masseo alla porta e
disse al giovine: «Tu non hai osservato la mia dottrina nel picchiare». Rispuose
il giovane: «Frate Elia non vuole venire a me; ma va' e di' a frate Francesco
ch'io son venuto per parlare con lui; ma però ch'io non voglio impedire lui
della orazione, digli che mandi a me frat'Elia».
E allora frate Masseo, n'andò a santo Francesco il quale orava nella selva colla
faccia levata al cielo, e dissegli tutta la imbasciata del giovane e la risposta
di frat'Elia. E quel giovane era l'Agnolo di Dio in forma umana. Allora santo
Francesco, non mutandosi del luogo né abbassando la faccia, disse a frate Masseo:
«Va' e di' a frat'Elia che per obbidienza immantanente vada a quello giovane».
Udendo frat'Elia l'ubbidienza di santo Francesco, andò alla porta molto turbato,
e con grande empito e romore gli aperse e disse al giovane: «Che vuo' tu?».
Rispuose il giovane: «Guarda, frate, che tu non sia turbato, come pari, però che
l'ira impedisce l'animo e non lascia discernere il vero». Disse frat'Elia:
«Dimmi quello che tu vuoi da me».
Rispuose il giovane: «Io ti domando, se agli osservatori del santo Vangelo è
licito di mangiare di ciò che gli è posto innanzi, secondo che Cristo disse a'
suoi discepoli. E domandoti ancora, se a nessuno uomo è lecito di porre dinanzi
alcuna cosa contraria alla libertà evangelica». Rispuose frat'Elia superbamente:
«Io so bene questo, ma non ti voglio rispondere: va' per li fatti tuoi».
Disse il giovane: «Io saprei meglio rispondere a questa quistione che tu».
Allora frat'Elia turbato e con furia chiuse l'uscio e partissi. Poi cominciò a
pensare della detta quistione e dubitarne fra sé medesimo; e non la sapea
solvere. Imperò ch'egli era Vicario dell'Ordine, e avea ordinato e fatto
costituzione, oltr'al Vangelo ed oltr'alla Regola di santo Francesco, che
nessuno frate nell'Ordine mangiasse carne; sicché la detta quistione era
espressamente contra di lui. Di che non sapendo dichiarare se medesimo, e
considerando la modestia del giovane e che gli avea detto ch'e' saprebbe
rispondere a quella quistione meglio di lui, ritorna alla porta e aprilla per
domandare il giovane della predetta quistione, ma egli s'era già partito; imperò
che la superbia di frat'Elia non era degna di parlare con l'Agnolo. Fatto
questo, santo Francesco, al quale ogni cosa da Dio era stata rivelata, tornò
dalla selva, e fortemente con alte voci riprese frat'Elia, dicendo: «Male fate,
frat'Elia superbo, che cacciate da noi gli Agnoli santi, li quali ci vengono
ammaestrare; io ti dico ch'io temo forte che la tua superbia non ti faccia
finire fuori di quest'Ordine». E così gli addivenne poi, come santo Francesco
gli predisse, però che e' morì fuori dell'Ordine.
Il dì medesimo, in quell'ora che quello Agnolo si partì, si apparì egli in
quella medesima forma a frate Bernardo, il quale tornava da santo Jacopo ed era
alla riva d'un grande fiume; e salutollo in suo linguaggio dicendo: «Iddio ti
dia pace, o buono frate».
E maravigliandosi forte il buono frate Bernardo e considerando la bellezza del
giovane e la loquela della sua patria, colla salutazione pacifica e colla faccia
lieta sì 'l dimandò: «Donde vieni tu, buono giovane?». Rispuose l'Agnolo: «Io
vengo di cotale luogo dove dimora santo Francesco, e andai per parlare con lui e
non ho potuto però ch'egli era nella selva a contemplare le cose divine, e io
non l'ho voluto storpiare. E in quel luogo dimorano frate Masseo e frate Egidio
e frat'Elia; e frate Masseo m'ha insegnato picchiare la porta a modo di frate.
Ma frat'Elia, però che non mi volle rispondere della quistione ch'io gli
propuosi, poi se ne pentì; e volle udirmi e vedermi, e non potè». Dopo queste
parole disse l'Agnolo a frate Bernardo: «Perchè non passi tu di là?». Rispuose
frate Bernardo: «Però ch'io temo del pericolo per la profondità dell'acqua ch'io
veggio». Disse l'Agnolo: «Passiamo insieme; non dubitare».
E prese la sua mano, e in uno batter d'occhio il puose dall'altra parte del
fiume. Allora frate Bernardo conobbe ch'egli era l'Agnolo di Dio, e con grande
reverenza e gaudio ad alta voce disse: «O Agnolo benedetto di Dio, dimmi qual è
il nome tuo».
Rispuose l'Agnolo: «Perché domandi tu del nome mio, il quale è maraviglioso?». E
detto questo, l'Agnolo disparve e lasciò frate Bernardo molto consolato, in
tanto che tutto quel cammino e' fece con allegrezza. E considerò il dì e l'ora
che l'Agnolo gli era apparito; e giungendo al luogo dove era santo Francesco con
li predetti compagni, recitò loro ordinatamente ogni cosa. E conobbono
certamente che quel medesimo Agnolo, in quel dì e in quell'ora, era apparito a
loro e a lui. E ringraziarono Iddio.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo quinto.
Come il santo frate Bernardo d'Ascesi fu da santo Francesco mandato a Bologna, e là pres'egli luogo.
Imperò che santo
Francesco e li suoi compagni erano da Dio chiamati ed eletti a portare col cuore
e con l'operazioni, e a predicare con la lingua la croce di Cristo, egli pareano
ed erano uomini crocifissi, quanto all'abito e quanto alla vita austera, e
quanto agli atti e operazioni loro; e però disideravano più di sostenere
vergogne e obbrobri per l'amore di Cristo, che onori del mondo o riverenze o
lode vane; anzi delle ingiurie si rallegravano, e degli onori si contristavano.
E così s'andavano per lo mondo come pellegrini e forestieri, non portando seco
altro che Cristo crocifisso; e però ch'egli erano della vera vite, cioè Cristo,
produceano grandi e buoni frutti delle anime, le quali guadagnavano a Dio.
Addivenne, nel principio della religione, che santo Francesco mandò frate
Bernardo a Bologna, acciò che ivi, secondo la grazia che Iddio gli avea data,
facesse frutto a Dio, e frate Bernardo facendosi il segno della santissima croce
per la santa obbidienza, si partì e pervenne a Bologna. E vedendolo li fanciulli
in abito disusato e vile, sì gli faceano molti scherni e molte ingiurie, come si
farebbe a uno pazzo; e frate Bernardo pazientemente e allegramente sostenea ogni
cosa per amore di Cristo. Anzi, acciò che meglio e' fusse istraziato, si puose
istudiosamente nella piazza della città; onde sedendo ivi sì gli si radunarono
d'intorno molti fanciulli e uomini, e chi gli tirava il cappuccio dirietro e chi
dinanzi, chi gli gittava polvere e chi pietre, chi 'l sospingeva di qua e chi di
là: e frate Bernardo, sempre d'uno modo e d'una pazienza, col volto lieto, non
si rammaricava e non si mutava. E per più dì ritornò a quello medesimo luogo,
pure per sostenere simiglianti cose.
E però che la pazienza è opera di perfezione e pruova di virtù, uno savio
dottore di legge, vedendo e considerando tanta costanza e virtù di frate
Bernardo non potersi turbare in tanti dì per niuna molestia o ingiuria, disse
fra se medesimo: «Impossibile è che costui non sia santo uomo».
E appressandosi a lui sì 'l domandò: «Chi sei tu, e perché se' venuto qua?». E
frate Bernardo per risposta si mise la mano in seno e trasse fuori la regola di
santo Francesco, e diegliela che la leggesse. E letta ch'e' l'ebbe, considerando
il suo altissimo stato di perfezione, con grandissimo stupore e ammirazione si
rivolse a' compagni e disse: «Veramente questo è il più alto stato di religione
ch'io udissi mai; e però costui co' suoi compagni sono de' più santi uomini di
questo mondo, e fa grandissimo peccato chi gli fa ingiuria, il quale sì si
vorrebbe sommamente onorare, conciò sia cosa ch'e' sia amico di Dio».
E disse a frate Bernardo: «Se voi volete prendere luogo nel quale voi poteste
acconciamente servire a Dio, io per salute dell'anima mia volentieri vel darei».
Rispuose frate Bernardo: «Signore, io credo che questo v'abbia ispirato il
nostro Signore Gesù Cristo, e però la vostra profferta io l'accetto volentieri a
onore di Cristo».
Allora il detto giudice con grande allegrezza e carità menò frate Bernardo a
casa sua; e poi gli diede il luogo promesso, e tutto l'acconciò e compiette alle
sue ispese; e d'allora innanzi diventò padre e speziale difensore di frate
Bernardo e de' suoi compagni.
E frate Bernardo, per la sua santa conversazione, cominciò ad essere molto
onorato dalle genti, in tanto che beato si tenea chi 'l potea toccare o vedere.
Ma egli come vero discepolo di Cristo e dello umile Francesco, temendo che
l'onore del mondo non impedisse la pace e la salute dell'anima sua, sì si partì
un dì e tornò a santo Francesco e dissegli così: «Padre, il luogo è preso nella
città di Bologna; mandavi de' frati che 'l mantegnino e che vi stieno, però
ch'io non vi facevo più guadagno, anzi per lo troppo onore che mi vi era fatto,
io temo non perdessi più ch'io non vi guadagnerei».
Allora santo Francesco udendo ogni cosa per ordine, siccome Iddio avea adoperato
per frate Bernardo, ringraziò Iddio, il quale così incominciava a dilatare i
poverelli discepoli della croce; e allora mandò de' suoi compagni a Bologna e in
Lombardia, li quali presono di molti luoghi in diverse partì.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo sesto.
Come santo Francesco benedisse il santo frate Bernardo e lasciollo suo Vicario, quando egli venne a passare di questa vita.
Era frate
Bernardo di tanta santità, che santo Francesco gli portava grande reverenza e
spesse volte lo lodava. Essendo un dì santo Francesco e stando divotamente in
orazione, sì gli fu rivelato da Dio che frate Bernardo per divina permissione
doveva sostenere molte e diverse e pugnenti battaglie dalli demoni; di che santo
Francesco, avendo grande compassione al detto frate Bernardo, il quale amava
come suo figliuolo, molti dì orava con lagrime, pregando Iddio per lui e
raccomandandolo a Gesù Cristo, che gli dovesse dare vittoria del demonio. E
orando così santo Francesco divotamente, Iddio un dì sì gli rispuose:
«Francesco, non temere, però che tutte le tentazioni dalle quali frate Bernardo
deve essere combattuto, gli sono da Dio permesse a esercizio di virtù e corona
di merito, e finalmente di tutti li nimici averà vittoria, però ch'egli è uno
de' commensali del reame del Cielo».
Della quale risposta santo Francesco ebbe grandissima allegrezza e ringraziò
Iddio. E da quell'ora innanzi gli portò sempre maggiore amore e riverenza.
E bene glielo mostrò non solamente in via sua, ma eziandio nella morte. Imperò
che vegnendo santo Francesco a morte, a modo di quel santo patriarca Jacob,
standogli d'intorno li divoti figliuoli addolorati e lagrimosi della partenza di
così amabile padre, domandò: «Dov'è il mio primogenito? Vieni a me, figliuolo,
acciò che ti benedica l'anima mia, prima ch'io muoia».
Allora frate Bernardo dice a frat'Elia in segreto (il quale era Vicario
dell'Ordine): «Padre, va' dalla mano diritta del santo, acciò che ti benedica».
E ponendosi frate Elia dalla mano diritta, santo Francesco, il quale avea
perduto il vedere per le troppe lagrime, puose la mano ritta sopra il capo di
frat'Elia e disse: «Questo non è il capo del primogenito frate Bernardo». Allora
frate Bernardo andò a lui dalla mano sinistra, e santo Francesco allora cancellò
le braccia a modo di croce, e poi puose la mano diritta sopra 'l capo di frate
Bernardo, e la manca sopra 'l capo del detto frat'Elia e disse: «Frate Bernardo,
benedicati il Padre del nostro Signore Gesù Cristo in ogni benedizione
spirituale e celestiale in Cristo, siccome tu se' il primogenito eletto in
quest'Ordine santo a dare esempio evangelico, a seguitare Cristo nella
evangelica povertà: imperò che non solamente tu desti il tuo e distribuisti
interamente e liberamente alli poveri per lo amore di Cristo, ma eziandio te
medesimo offeristi a Dio in quest'Ordine in sacrifizio di soavità. Benedetto sia
tu adunque dal nostro Signore Gesù Cristo e da me poverello servo suo di
benedizioni eterne, andando, stando, vegghiando e dormendo, e vivendo e morendo;
e chi ti benedirà sia ripieno di benedizioni, chi ti maledicesse non rimarrà
senza punizione. Sia il principale de' tuoi fratelli, e al tuo comandamento
tutti li frati obbidiscano, abbi licenza di ricevere a questo Ordine chiunque tu
vorrai, e nessuno frate abbia signoria sopra di te, e siati licito d'andare e di
stare dovunque ti piace».
E dopo la morte di santo Francesco, i frati amavano e riverivano frate Bernardo
come venerabile padre. E vegnendo egli a morte, vennono a lui molti frati di
diverse partì del mondo; fra li quali venne quello ierarchico e divino frate
Egidio, il quale veggendo frate Bernardo, con grande allegrezza disse: «Sursum
corda, frate Bernardo, sursum corda». E frate Bernardo santo disse a uno frate
segretamente che apparecchiasse a frate Egidio uno luogo atto a contemplazione,
e così fu fatto.
Essendo frate Bernardo nella ultima ora della morte, si fece rizzare, e parlò a'
frati che gli erano dinanzi, dicendo: «Carissimi fratelli, io non vi vo' dire
molte parole, ma voi dovete considerare che lo stato della Religione ch'io ho
avuto, voi avete, e questo ch'io ho ora, voi averete ancora. E truovo questo
nell'anima mia, che per mille mondi eguali a questo io non vorrei non avere
servito altro signore che nostro Signore Gesù Cristo. E d'ogni offesa che io ho
fatta, m'accuso e rendo in colpa al mio Salvatore Gesù Cristo e a voi. Priegovi,
fratelli miei carissimi, che voi v'amiate insieme».
E dopo queste parole e altri buoni ammaestramenti riponendosi in sul letto,
diventò la faccia sua isplendida e lieta oltremodo, di che tutti i frati forte
si maravigliarono; e in quella letizia la sua anima santissima, coronata di
gloria, passa della presente vita alla beata degli Agnoli.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo settimo
Come santo Francesco fece una Quaresima in una isola del lago di Perugia, dove digiunò quaranta dì e quaranta notti e non mangiò più che un mezzo pane.
Il verace servo
di Cristo santo Francesco, però che in certe cose fu quasi un altro Cristo, dato
al mondo per salute della gente, Iddio Padre il volle fare in molti atti
conforme e simile al suo figliuolo Gesù Cristo, siccome ci dimostra nel
venerabile collegio de' dodici compagni e nel mirabile misterio delle sacrate
Istimmate e nel continuato digiuno della santa Quaresima, la qual'egli si fece
in questo modo.
Essendo una volta santo Francesco il dì del carnasciale allato al lago di
Perugia, in casa d'un suo divoto col quale era la notte albergato fu ispirato da
Dio ch'egli andasse a fare quella Quaresima in una isola del lago. Di che santo
Francesco pregò questo suo divoto, che per amor di Cristo lo portasse colla sua
navicella in una isola del lago dove non abitasse persona, e questo facesse la
notte del dì della Cenere, sì che persona non se ne avvedesse. E costui, per
l'amore della grande divozione ch'aveva a santo Francesco, sollecitamente
adempiette il suo priego e portollo alla detta isola; e santo Francesco non
portò seco se non due panetti. Ed essendo giunto nell'isola, e l'amico
partendosi per tornare a casa, santo Francesco il pregò caramente che non
rivelasse a persona come fosse ivi, ed egli non venisse per lui se non il
Giovedì santo. E così si partì colui, e santo Francesco rimase solo.
E non essendovi nessuna abitazione nella quale si potesse riducere, entrò in una
siepe molto folta, la quale molti pruni e arbuscelli aveano acconcio a modo
d'uno covacciolo ovvero d'una capannetta, e in questo cotale luogo si puose in
orazione e a contemplare le cose celestiali. E ivi stette tutta la Quaresima
senza mangiare e senza bere, altro che la metà d'un di quelli panetti, secondo
che trovò il suo divoto il Giovedì santo, quando tornò a lui; il quale trovò di
due panetti uno intero e mezzo, e l'altro mezzo si crede che santo Francesco
mangiasse per reverenza del digiuno di Cristo benedetto, il quale digiunò
quaranta dì e quaranta notti senza pigliare nessuno cibo materiale. E così con
quel mezzo pane cacciò da sé il veleno della vanagloria, e ad esempio di Cristo
digiunò quaranta di e quaranta notti. Poi in quello luogo, ove santo Francesco
avea fatta così maravigliosa astinenza, fece Iddio molti miracoli per li suoi
meriti; per la qual cosa cominciarono gli uomini a edificarvi delle case e
abitarvi; e in poco tempo si fece un castello buono e grande, ed èvvi il luogo
de' frati, che si chiama il luogo dell'Isola; e ancora gli uomini e le donne di
quello castello hanno grande reverenza e devozione in quello luogo dove santo
Francesco fece la detta Quaresima.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo ottavo.
Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.
Venendo una volta
santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo
di verno, e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il
quale andava innanzi, e disse così: «Frate Lione, avvegnadioché li frati Minori
in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione
nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia». E
andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: «O frate Lione,
benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le
dimonia, renda l'udir alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli
e, ch'è maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò
perfetta letizia».
E andando un poco, santo Francesco grida forte: «O frate Lione, se 'l frate
Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che
sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li
segreti delle coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta
letizia».
Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: «O frate
Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Agnolo, e
sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti
li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di
tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò
perfetta letizia».
E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: «O frate Lione, benché
'l frate Minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl'infedeli alla
fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia».
E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione, con grande
ammirazione il domandò e disse: «Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu
mi dica dove è perfetta letizia». E santo Francesco sì gli rispuose: «Quando noi
saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per
lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello
luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi
siamo due de' vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due
ribaldi ch'andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate
via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo
e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e
tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di
lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio
il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E
se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come
gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi
quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi,
né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con
buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur
costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e
pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure
dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li
pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e
piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e
batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo
pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali
dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è
perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie
e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di
vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie
e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci
possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo:
Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne
glorii come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e
dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio
gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo».
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo nono.
Come santo Francesco insegnava rispondere a frate Lione, e non poté mai dire se non contrario di quello Francesco volea.
Essendo santo
Francesco una volta nel principio dell'Ordine con fra Lione in un luogo dove non
aveano libri da dire l'Ufficio divino quando venne l'ora del mattutino sì disse
santo Francesco a frate Lione: «Carissimo, noi non abbiamo breviario, col quale
noi possiamo dire il mattutino, ma acciò che noi ispendiamo il tempo a laudare
Iddio, io dirò e tu mi risponderai com'io t'insegnerò: e guarda che tu non muti
le parole altrimenti ch'io t'insegnerò. Io dirò così: O frate Francesco, tu
facesti tanti mali e tanti peccati nel secolo, che tu se' degno dello 'nferno; e
tu, frate Lione, risponderai: Vera cosa è che tu meriti lo 'nferno
profondissimo».
E frate Lione con semplicità colombina rispuose: «Volentieri, padre; incomincia
al nome di Dio».
Allora santo Francesco cominciò a dire: «O frate Francesco, tu facesti tanti
mali e tanti peccati nel secolo, che tu se' degno dello 'nferno».
E frate Lione risponde: «Iddio farà per te tanti beni, che tu ne andrai in
Paradiso».
Disse santo Francesco: «Non dire così, frate Lione, ma quando io dirò: Frate
Francesco, tu che hai fatte tante cose inique contro Dio, che tu se' degno
d'esser maladetto da Dio; e tu rispondi così: Veramente tu se' degno d'essere
messo tra' maladetti».
E frate Lione risponde: «Volentieri padre». Allora santo Francesco, con molte
lagrime e sospiri e picchiare di petto, dice ad alta voce: «O Signore mio del
cielo e della terra, io ho commesso contro a te tante iniquità e tanti peccati,
che al tutto son degno d'esser da te maledetto».
E frate Lione risponde: «O frate Francesco, Iddio ti farà tale, che tra li
benedetti tu sarai singolarmente benedetto».
E santo Francesco maravigliandosi che frate Lione rispondea per lo contrario di
quello che 'mposto gli avea, sì lo riprese dicendo «Perché non rispondi come io
t'insegno? Io ti comando per santa ubbidienza che tu rispondi come io
t'insegnerò. Io dirò così: O frate Francesco cattivello, pensi tu che Dio arà
misericordia di te? con ciò sia cosa che tu abbi commessi tanti peccati contra
'l Padre della misericordia e Dio d'ogni consolazione, che tu non se' degno di
trovare misericordia. E tu, frate Lione pecorella, risponderai: Per nessun modo
se' degno di trovare misericordia».
Ma poi quando santo Francesco disse: «O frate Francesco cattivello» etc.; frate
Lione si rispuose: «Iddio Padre, la cui misericordia è infinita più che il
peccato tuo, farà teco grande misericordia e sopra essa t'aggiugnerà molte
grazie». A questa risposta santo Francesco, dolcemente adirato e pazientemente
turbato, disse a frate Lione: «E perché hai tu avuto presunzione di fare contr'all'ubbidienza,
e già cotante volte hai risposto il contrario di quello ch'io t'ho imposto?».
Risponde frate Lione molto umilmente e riverentemente: «Iddio il sa, padre mio,
ch'ogni volta io m'ho posto in cuore di rispondere come tu m'hai comandato; ma
Iddio mi fa parlare secondo che gli piace non secondo piace a me». Di che santo
Francesco si maravigliò, e disse a frate Lione: «Io ti priego carissimamente che
tu mi risponda questa volta com'io t'ho detto». Risponde frate Lione: «Di' al
nome di Dio, che per certo io risponderò questa volta come tu vuogli». E santo
Francesco lagrimando disse: «O frate Francesco cattivello, pensi tu che Iddio
abbia misericordia di te?». Risponde frate Lione: «Anzi grazia grande riceverai
da Dio, ed esalteratti e glorificheratti in eterno, imperò che chi sé umilia
sarà esaltato. E io non posso altro dire, imperò che Iddio parla per la bocca
mia». E così in questa umile contenzione, con molte lagrime e con molta
consolazione ispirituale, si vegghiarono infino a dì.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo decimo.
Come frate Masseo quasi proverbiando, disse a santo Francesco che a lui tutto il mondo andava dirieto; ed egli rispuose che ciò era a confusione del mondo e grazia di Dio; perch'io sono il più vile del mondo.
Dimorando una
volta santo Francesco nel luogo della Porziuncola con frate Masseo da Marignano,
uomo di grande santità, discrezione e grazia nel parlare di Dio, per la qual
cosa santo Francesco molto l'amava; uno dì tornando santo Francesco dalla selva
e dalla orazione, e sendo allo uscire della selva, il detto frate Masseo volle
provare sì com'egli fusse umile, e fecieglisi incontra, e quasi proverbiando
disse: «Perché a te, perché a te, perché a te?». Santo Francesco risponde: «Che
è quello che tu vuoi dire?». Disse frate Masseo: «Dico, perché a te tutto il
mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e
d'ubbidirti? Tu non se' bello uomo del corpo, tu non se' di grande scienza, tu
non se' nobile onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?». Udendo
questo santo Francesco, tutto rallegrato in ispirito, rizzando la faccia al
cielo, per grande spazio istette colla mente levata in Dio, e poi ritornando in
sé, s'inginocchiò e rendette laude e grazia a Dio, e poi con grande fervore di
spirito si rivolse a frate Masseo e disse: «Vuoi sapere perché a me? vuoi sapere
perché a me? vuoi sapere perché a me tutto 'l mondo mi venga dietro? Questo io
ho da quelli occhi dello altissimo Iddio, li quali in ogni luogo contemplano i
buoni e li rei: imperciò che quelli occhi santissimi non hanno veduto fra li
peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me;
e però a fare quell'operazione maravigliosa, la quale egli intende di fare, non
ha trovato più vile creatura sopra la terra, e perciò ha eletto me per
confondere la nobilità e la grandigia e la fortezza e bellezza e sapienza del
mondo, acciò che si conosca ch'ogni virtù e ogni bene è da lui, e non dalla
creatura, e nessuna persona si possa gloriare nel cospetto suo; ma chi si
gloria, si glorii nel Signore, a cui è ogni onore e gloria in eterno». Allora
frate Masseo a così umile risposta, detta con fervore, sì si spaventò e conobbe
certamente che santo Francesco era veramente fondato in umiltà.
A laude di Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo undicesimo.
Come santo Francesco fece aggirare intorno intorno più volte frate Masseo, e poi n'andò a Siena.
Andando un dì
santo Francesco per cammino con frate Masseo, il detto frate Masseo andava un
po' innanzi, e giungendo a un trivio di via, per lo quale si potea andare a
Firenze, a Siena e Arezzo, disse frate Masseo: «Padre, per quale via dobbiamo
noi andare?». Risponde santo Francesco: «Per quella che Iddio vorrà». Disse
frate Masseo: «E come potremo noi sapere la volontà di Dio?». Risponde santo
Francesco: «Al segnale ch'io ti mostrerò, onde io ti comando per lo merito della
santa obbidienza, che in questo trivio nello luogo ove tu tieni i piedi,
t'aggiri intorno, intorno, come fanno i fanciulli, e non ristare di volgerti
s'io non tel dico». Allora frate Masseo incominciò a volgersi in giro, e tanto
si volse, che per la vertigine del capo, la quale si suole generare per cotale
girare, egli cadde più volte in terra; ma non dicendogli santo Francesco che
ristesse ed egli volendo fedelmente ubbidire, si rizzava. Alla fine, quando si
volgeva forte, disse santo Francesco: «Sta' fermo e non ti muovere». Ed egli
stette; e santo Francesco il domanda: «Inverso che parte tieni la faccia?».
Risponde frate Masseo: «Inverso Siena». Disse santo Francesco: «Quella è la via
per la quale Iddio vuole che noi andiamo».
Andando per quella via, frate Masseo fortemente si maravigliò di quello che
santo Francesco gli avea fatto fare, come fanciulli, dinanzi a' secolari che
passavano; nondimeno per riverenza non ardiva di dire niente al padre santo.
Appressandosi a Siena, il popolo della città udì dello avvenimento del santo, e
fecionglisi incontro e per divozione il portarono lui e 'l compagno insino al
vescovado, che non toccò niente terra co' piedi. In quell'ora alquanti uomini di
Siena combatteano insieme, e già n'erano morti due di loro; giungendo ivi, santo
Francesco predicò loro sì divotamente e sì santamente, che li ridusse tutti
quanti a pace e grande umiltà e concordia insieme. Per la qual cosa, udendo il
Vescovo di Siena quella santa operazione ch'avea fatta santo Francesco, lo 'nvitò
a casa, e ricevettelo con grandissimo onore quel dì e anche la notte. E la
mattina seguente santo Francesco, vero umile, il quale nelle sue operazioni non
cercava se non la gloria di Dio, si levò per tempo col suo compagno, e partissi
sanza saputa del Vescovo.
Di che il detto frate Masseo andava mormorando tra se medesimo, per la via,
dicendo: «Che è quello ch'ha fatto questo buono uomo? Me fece aggirare come uno
fanciullo, e al vescovo, che gli ha fatto tanto onore, non ha detto pure una
buona parola, né ringraziatolo.».
E parea a frate Masseo che santo Francesco si fusse portato così
indiscretamente. Ma poi per divina ispirazione, ritornando in se medesimo e
riprendendosi, disse fra suo cuore: «Frate Masseo, tu se' troppo superbo, il
quale giudichi l'opere divine, e se' degno dello 'nferno per la tua indiscreta
superbia: imperò che nel dì di ieri frate Francesco si fece sì tante operazioni,
che se le avesse fatte l'Agnolo di Dio, non sarebbono state più maravigliose.
Onde se ti comandasse che gittassi le pietre, sì lo doveresti fare e ubbidirlo,
che ciò ch'egli ha fatto in questa via è proceduto dall'operazione divina,
siccome si dimostra nel buono fine ch'è seguito; però che s'e' non avesse
rappacificati coloro che combattevano insieme, non solamente molti corpi, come
già aveano cominciato, sarebbero istati morti di coltello, ma eziandio molte
anime il diavolo arebbe tratte allo 'nferno. E però tu se' stoltissimo e
superbo, che mormori di quello che manifestamente procede dalla volontà di Dio».
E tutte queste cose che dicea frate Masseo nel cuore suo, andando innanzi,
furono da Dio rivelate a santo Francesco. Onde appressandosi santo Francesco a
lui disse così: «A quelle cose che tu pensi ora t'attieni, però ch'elle sono
buone e utili e da Dio spirate: ma la prima mormorazione che tu facevi era cieca
e vana e superba e futti messa nell'animo dal demonio».
Allora frate Masseo chiaramente s'avvide che santo Francesco sapea li secreti
del suo cuore, e certamente comprese che lo spirito della divina Sapienza
dirizzava in tutti i suoi atti il padre santo.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
San Francesco d'Assisi
I "Fioretti"
Capitolo dodicesimo
Come santo Francesco puose frate Masseo allo ufficio della porta, della limosina e della cucina; poi a priego degli altri frati ne lo levò.
Santo Francesco,
volendo aumiliare frate Masseo, acciò che per molti doni e grazie che Iddio gli
dava non si levasse in vanagloria, ma per virtù della umiltà crescesse con essi
di virtù in virtù, una volta ch'egli dimorava in luogo solitario con que' primi
suoi compagni veramente santi, de' quali era il detto frate Masseo, disse un dì
a frate Masseo dinanzi a tutti i compagni: «O frate Masseo, tutti questi tuoi
compagni hanno la grazia della contemplazione e della orazione: ma tu hai la
grazia della predicazione della parola di Dio a soddisfare al popolo. E però io
voglio, acciò che costoro possano intendere alla contemplazione, che tu faccia
l'ufficio della porta e della limosina e della cucina: e quando gli altri frati
mangeranno, e tu mangerai fuori della porta del luogo, sicché a quelli che
verranno al luogo, innanzi che picchino, tu soddisfaccia loro di qualche buone
parole di Dio, sicché non bisogni niuno andare fuori allora altri che tu. E
questo fa per lo merito di santa obbidienza».
Allora frate Masseo si trasse il cappaccio e inchinò il capo, e umilemente
ricevette e perseguitò questa obbedienza per più dì, facendo l'ufficio della
porta, della limosina e della cucina.
Di che li compagni, come uomini alluminati da Dio, cominciarono a sentire ne'
cuori loro grande rimordimento, considerando che frate Masseo era uomo di grande
perfezione com'eglino o più, e a lui era posto tutto il peso del luogo e non a
loro. Per la qual cosa eglino si mossono tutti di uno volere, e andarono a
pregare il padre santo che gli piacesse distribuire fra loro quelli uffici,
imperò che le loro coscienze per nessuno mondo poteano sostenere che frate
Masseo portasse tante fatiche. Udendo cotesto, santo Francesco sì credette a'
loro consigli e acconsenti alle loro volontà. E chiamato frate Masseo, sì gli
disse: «Frate Masseo, li tuoi compagni vogliono fare parte degli uffici ch'io
t'ho dati; e però io voglio che li detti uffici si dovidano». Dice frate Masseo
con grande umiltà e pazienza: «Padre, ciò che m'imponi, o di tutto o di parte,
io il reputo fatto da Dio tutto».
Allora santo Francesco, vedendo la carità di coloro e la umiltà di frate Masseo,
fece loro una predica maravigliosa e grande della santissima umiltà,
ammaestrandoli che quanto maggiori doni e grazie ci dà Iddio, tanto noi dobbiamo
esser più umili; imperò che sanza l'umiltà nessuna virtù è accettabile a Dio. E
fatta la predica, distribuì gli uffici con grandissima carità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo tredicesimo
Come santo Francesco e frate Masseo il pane che aveano accattato puosono in su una pietra allato a una fonte, e santo Francesco lodò molto la povertà. Poi pregò Iddio e santo Pietro e santo Paulo che gli mettesse in amore la santa povertà, e come gli apparve santo Pietro e santo Paulo.
Il maraviglioso
servo e seguitatore di Cristo, cioè messere santo Francesco, per conformarsi
perfettamente a Cristo in ogni cosa, il quale, secondo che dice il Vangelo,
mandò li suoi discepoli a due a due a tutte quelle città e luoghi dov'elli dovea
andare; da poi che ad esempio di Cristo egli ebbe radunati dodici compagni, sì
li mandò per lo mondo a predicare a due a due. E per dare loro esempio di vera
obbidienza, egli in prima incominciò a fare, che 'nsegnare. Onde avendo
assegnato a' compagni l'altre partì del mondo, egli prendendo frate Masseo per
compagno prese il cammino verso la provincia di Francia. E pervenendo un dì a
una villa assai affamati, andarono, secondo la Regola, mendicando del pane per
l'amore di Dio; e santo Francesco andò per una contrada, e frate Masseo per
un'altra. Ma imperò che santo Francesco era uomo troppo disprezzato e piccolo di
corpo, e perciò era riputato un vile poverello da chi non lo conosceva, non
accattò se non parecchi bocconi e pezzuoli di pane secco, ma frate Masseo,
imperò che era uomo grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi e
grandi e assai e del pane intero.
Accattato ch'egli ebbono, si si raccolsono insieme fuori della villa in uno
luogo per mangiare, dov'era una bella fonte, e allato avea una bella pietra
larga, sopra la quale ciascuno puose tutte le limosme ch'avea accattate. E
vedendo santo Francesco che li pezzi del pane di frate Masseo erano più e più
belli e più grandi che li suoi fece grandissima allegrezza e disse così: «O
frate Masseo, noi non siamo degni di così grande tesoro».
E ripetendo queste parole più volte, rispose frate Masseo: «Padre, come si può
chiamare tesoro, dov'è tanta povertà e mancamento di quelle cose che bisognano?
Qui non è tovaglia, né coltello, né taglieri, né scodelle, né casa, né mensa, né
fante, né fancella».
Disse santo Francesco: «E questo è quello che io riputo grande tesoro, dove non
è cosa veruna apparecchiata per industria umana; ma ciò che ci è, è
apparecchiato dalla provvidenza divina, siccome si vede manifestamente nel pane
accattato, nella mensa della pietra così bella, e nella fonte così chiara. E
però io voglio che 'l tesoro della santa povertà così nobile il quale ha per
servidore Iddio, ci faccia amare con tutto il cuore».
E dette queste parole, e fatta orazione e presa la refezione corporale di questi
pezzi del pane e di quella acqua, si levarono per camminare in Francia.
E giungendo ad una chiesa, disse santo Francesco al compagno: «Entriamo in
questa chiesa ad orare».
E vassene santo Francesco dietro all'altare, e puosesi in orazione, e in quella
orazione ricevette dalla divina visitazione sì eccessivo fervore, il quale
infiammò sì fattamente l'anima sua ad amore della santa povertà, che tra per lo
colore della faccia e per lo nuovo isbadigliare della bocca parea che gittasse
fiamme d'amore. E venendo così infocato al compagno gli disse: «A, A, A, frate
Masseo, dammi te medesimo».
E così disse tre volte, e nella terza volta santo Francesco levò col fiato frate
Masseo in aria, e gittollo dinanzi a sé per ispazio d'una grande asta di che
esso frate Masseo ebbe grandissimo stupore. Recitò poi alli compagni che in
quello levare e sospignere col fiato il quale gli fece santo Francesco, egli
sentì tanta dolcezza d'animo e consolazione dello Spirito Santo, che mai in vita
sua non ne sentì tanta. E fatto questo disse santo Francesco: «Compagno mio
carissimo, andiamo a santo Pietro e a santo Paulo, e preghiamoli ch'eglino
c'insegnino e aiutino a possedere il tesoro ismisurato della santissima povertà
imperò ch'ella è tesoro sì degnissimo e sì divino, che noi non siamo degni di
possederlo nelli nostri vasi vilissimi, con ciò sia cosa che questa sia quella
virtù celestiale, per la quale tutte le cose terrene e transitorie si calcano, e
per la quale ogni impaccio si toglie dinanzi all'anima, acciò ch'ella si possa
liberamente congiungere con Dio eterno. Questa è quella virtù la quale fa
l'anima, ancor posta in terra, conversare in cielo con gli Agnoli. Questa è
quella ch'accompagnò Cristo in sulla croce; con Cristo fu soppellita, con Cristo
resuscitò, con Cristo salì in cielo; la quale eziandio in questa vita concede
all'anime, che di lei innamorano, agevolezza di volare in cielo; con ciò sia
cosa ch'ella guardi l'armi della vera umiltà e carità. E però preghiamo li
santissimi Apostoli di Cristo, li quali furono perfetti amatori di questa perla
evangelica, che ci accattino questa grazia dal nostro Signore Gesù Cristo, che
per la sua santissima misericordia ci conceda di meritare d'essere veri amatori,
osservatori ed umili discepoli della preziosissima, amatissima ed evangelica
povertà».
E in questo parlare giunsono a Roma, ed entrarono nella chiesa di santo Pietro;
e santo Francesco si puose in orazione in uno cantuccio della chiesa, e frate
Masseo nell'altro. E stando lungamente in orazione con molte lagrime e divozione,
apparvono a santo Francesco li santissimi apostoli Pietro e Paulo con grande
splendore, e dissono: «Imperò che tu addimandi e disideri di osservare quello
che Cristo e li santi Apostoli osservarono, il nostro Signore Gesù Cristo ci
manda a te annunziarti che la tua orazione è esaudita, ed ètti conceduto da Dio
a te e a' tuoi seguaci perfettissimamente il tesoro della santissima povertà. E
ancora da sua parte ti diciamo, che qualunque a tuo esempio seguiterà
perfettamente questo disiderio, egli è sicuro della beatitudine di vita eterna;
e tu e tutti i tuoi seguaci sarete da Dio benedetti». E dette queste parole
disparvono, lasciando santo Francesco pieno di consolazione. Il quale si levò
dalla orazione e ritornò al suo compagno e domandollo se Iddio gli avea rivelato
nulla, ed egli rispuose che no. Allora santo Francesco sì gli disse come li
santi Apostoli gli erano appariti e quello che gli aveano rivelato. Di che
ciascuno pieno di letizia diterminarono di tornare nella valle di Spulito,
lasciando l'andare in Francia.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo quattordicesimo.
Come istando santo Francesco con suoi frati a parlare di Dio, Iddio apparve in mezzo di loro.
Essendo santo
Francesco in un luogo, nel cominciamento della religione, raccolto co' suoi
compagni a parlare di Cristo, egli in fervore di spirito comandò a uno di loro
che nel nome di Dio aprisse la sua bocca e parlasse di Dio ciò che lo Spirito
Santo gli spirasse. Adempiendo il frate il comandamento e parlando di Dio
maravigliosamente, sì gl'impose santo Francesco silenzio, e comanda il
simigliante a un altro frate.
Ubbidendo colui e parlando di Dio sottilmente, e santo Francesco
simigliantemente sì gli impuose silenzio; e comandò al terzo che parli di Dio.
Il quale simigliantemente cominciò a parlare sì profondamente delle cose segrete
di Dio, che certamente santo Francesco conobbe ch'egli, siccome gli altri due,
parlava per Ispirito Santo. E questo anche sì si dimostrò per esempio e per
espresso segnale; imperò che istando in questo parlare, apparve Cristo benedetto
nel mezzo di loro in ispezie e 'n forma di un giovane bellissimo, e
benedicendoli tutti li riempi di tanta grazia e dolcezza, che tutti furono ratti
fuori di se medesimi, e giacevano come morti, non sentendo niente di questo
mondo. E poi tornando in se medesimi, disse loro santo Francesco: «Fratelli miei
carissimi, ringraziate Iddio, il quale ha voluto per le bocche de' semplici
rivelare i tesori della divina sapienza; imperò che Iddio è colui il quale apre
la bocca ai mutoli, e le lingue delli semplici fa parlare sapientissimamente».
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo quindicesimo
Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co' suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli.
Santo Francesco,
quando stava a Sciesi, ispesse volte visitava Santa Chiara dandole santi
ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimi desideri di mangiare una volta con
lui, e di ciò pregandolo molte volte, egli non le volle mai fare questa
consolazione. Onde vedendo li suoi compagni il desiderio di santa Chiara,
dissono a santo Francesco: «Padre, a noi non pare che questa rigidità sia
secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio diletta tu
non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiare teco e spezialmente
considerando ch'ella per le tue predicazioni abbandonò le ricchezze e le pompe
del mondo. E di vero, s'ella ti domandasse maggiore grazia che questa non è, sì
la doveresti fare alla tua pianta spirituale».
Allora santo Francesco rispuose: «Pare a voi ch'io la debba esaudire?».
Rispondono li compagni: «Padre, si degna cosa è che tu le faccia questa grazia e
consolazione».
Disse allora santo Francesco: «Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciò
ch'ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si faccia in Santa
Maria degli Agnoli, imperò ch'ella è stata lungo tempo rinchiusa in santo
Damiano, sicché le gioverà di vedere il luogo di santa Maria, dov'ella fu
tonduta e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio».
Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara escì del monistero con una
compagna, accompagnata di compagni di santo Francesco, e venne a Santa Maria
degli Agnoli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare,
dov'ella era stata tonduta e velata, sì la menorono vedendo il luogo, infino a
tanto che fu ora da desinare. E in questo mezzo santo Francesco fece
apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta
l'ora di desinare si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e
uno delli compagni di santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti
gli altri compagni s'acconciarono alla mensa umilmente. E per la prima vivanda
santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente,
maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l'abbondanza della divina
grazia, tutti furono in Dio ratti.
E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da
Sciesi e da Bettona e que' della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria
degli Agnoli e tutto il luogo e la selva ch'era allora allato al luogo, ardeano
fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e 'l luogo
e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù
per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch'ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al
luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco
con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e
sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che,
quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto
apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco de divino amore,
del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache; onde si
partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa edificazione. Poi,
dopo grande spazio tornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme con li
altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del
cibo corporale. E così compiuto quel benedetto disinare, santa Chiara bene
accompagnata si ritornò a Santo Damiano. Di che le suore veggendola ebbono
grande allegrezza; però ch'elle temeano che santo Francesco non l'avesse mandata
a reggere qualche altro monisterio, siccome egli avea già mandata suora Agnese,
santa sua sirocchia, abbadessa a reggere il monisterio di Monticelli di Firenze;
e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: «Apparecchiati, se
bisognasse ch'io ti mandassi in alcuno luogo»; ed ella come figliuola di santa
obbidienza avea risposto: «Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare
dovunque voi mi manderete».
E però le suore sì si rallegrarono fortemente, quando la riebbono; e santa
Chiara rimase d'allora innanzi molto consolata.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo sedicesimo.
Come santo Francesco ricevuto il consiglio di santa Chiara e del santo frate Silvestro, che dovesse predicando convertire molta gente, e' fece il terzo Ordine e predicò agli uccelli e fece stare quete le rondini.
L'umile servo di
Cristo santo Francesco, poco tempo dopo la sua conversione, avendo già radunati
molti compagni e ricevuti all'Ordine, entrò in grande pensiero e in grande
dubitazione di quello che dovesse fare: ovvero d'intendere solamente ad orare,
ovvero alcuna volta a predicare, e sopra ciò disiderava molto di sapere la
volontà di Dio. E però che la santa umiltà, ch'era in lui, non lo lasciava
presumere di sé né di sue orazioni, pensò di cercarne la divina volontà con le
orazioni altrui. Onde egli chiamò frate Masseo e dissegli così: «Va' a suora
Chiara e dille da mia parte ch'ella con alcune delle più spirituali compagne
divotamente preghino Iddio, che gli piaccia dimostrarmi qual sia il meglio;
ch'io intenda a predicare o solamente all'orazione. E poi va' a frate Silvestro
e digli il simigliante».
Quello era stato nel secolo messere Silvestro, il quale avea veduto una croce
d'oro procedere dalla bocca di santo Francesco, la quale era lunga insino al
cielo e larga insino alla stremità del mondo; ed era questo frate Silvestro di
tanta divozione e di tanta santità, che di ciò che chiedeva a Dio, e' impetrava
ed era esaudito, e spesse volte parlava con Dio, e però santo Francesco avea in
lui grande divozione.
Andonne frate Masseo e, secondo il comandamento di santo Francesco, fece
l'ambasciata prima a santa Chiara e poi a frate Silvestro. Il quale, ricevuta
che l'ebbe, immantenente si gittò in orazione e orando ebbe la divina risposta,
e tornò frate Masseo e disse così: «Questo dice Iddio che tu dica a frate
Francesco: che Iddio non l'ha chiamato in questo stato solamente per sé, ma
acciò che faccia frutto delle anime e molti per lui sieno salvati». Avuta questa
risposta, frate Masseo tornò a santa Chiara a sapere quello ch'ella avea
impetrato da Dio. Ed ella rispuose ch'ella e l'altre compagne aveano avuta da
Dio quella medesima risposta, la quale avea avuto frate Silvestro.
Con questo ritorna frate Masseo a santo Francesco, e santo Francesco il riceve
con grandissima carità, lavandogli li piedi e apparecchiandogli desinare. E dopo
'l mangiare, santo Francesco chiamò frate Masseo nella selva e quivi dinanzi a
lui s'inginocchia e trassesi il cappuccio, facendo croce delle braccia, e
domandollo: «Che comanda ch'io faccia il mio Signore Gesù Cristo?». Risponde
frate Masseo: «Sì a frate Silvestro e sì a suora Chiara colle suore, che Cristo
avea risposto e rivelato che la sua volontà si è che tu vada per lo mondo a
predicare, però ch'egli non t'ha eletto pure per te solo ma eziandio per salute
degli altri».
E allora santo Francesco, udito ch'egli ebbe questa risposta e conosciuta per
essa la volontà di Cristo, si levò su con grandissimo fervore e disse: «Andiamo
al nome di Dio». E prende per compagno frate Masseo e frate Agnolo, uomini
santi.
E andando con empito di spirito, sanza considerare via o semita, giunsono a uno
castello che si chiamava Savurniano. E santo Francesco si puose a predicare, e
comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto ch'egli avesse
predicato. E le rondini l'ubbidirono. Ed ivi predicò in tanto fervore che tutti
gli uomini e le donne di quel castello per divozione gli volsono andare dietro e
abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: «Non
abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che vo' dobbiate fare per
salute dell'anime vostre».
E allora pensò di fare il terzo ordine per universale salute di tutti. E così
lasciandoli molto consolati bene disposti a penitenza, si partì quindi e venne
tra Cannaio e Bevagno.
E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori
allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli; di che
santo Francesco si maravigliò e disse a' compagni: «Voi m'aspetterete qui nella
via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli». E entrò nel campo e
cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli
ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono
fermi, mentre che santo Francesco compiè di predicare, e poi anche non si
partivano infino a tanto ch'egli diè loro la benedizione sua. E secondo che
recitò poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando santo Francesco fra
loro, toccandole colla cappa, nessuna perciò si movea. La sustanza della predica
di santo Francesco fu questa: «Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a
Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo il dovete laudare, imperò che v'ha
dato la libertà di volare in ogni luogo; anche v'ha dato il vestimento duplicato
e triplicato; appresso, perché elli riserbò il seme di voi in nell'arca di Noè,
acciò che la spezie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli siete tenute
per lo elemento dell'aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non
seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per vostro
bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio, e gli alberi alti per fare
li vostri nidi. E con ciò sia cosa che voi non sappiate filare né cucire, Iddio
vi veste, voi e' vostri figliuoli. Onde molto v'ama il vostro Creatore, poi
ch'egli vi dà tanti benefici, e però guardatevi, sirocchie mie, del peccato
della ingratitudine, e sempre vi studiate di lodare Iddio».
Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quelli uccelli
cominciarono ad aprire i becchi e distendere i colli e aprire l'alie e
riverentemente inchinare li capi infino in terra, e con atti e con canti
dimostrare che 'l padre santo dava loro grandissimo diletto. E santo Francesco
con loro insieme si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta
moltitudine d'uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e
famigliarità; per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il Creatore.
Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della
Croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono
in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la Croce ch'avea fatta loro santo
Francesco si divisono in quattro partì; e l'una parte volò inverso l'oriente e
l'altra parte verso occidente, e l'altra parte verso lo meriggio, e la quarta
parte verso l'aquilone, e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti;
in questo significando che come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di
Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della Croce,
secondo il quale egli si divisono in quattro partì del mondo; così la
predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo Francesco si dovea per
lui e per li suoi frati portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che
gli uccelli, non possedendo nessuna cosa propria in questo mondo, alla sola
provvidenza di Dio commettono la lor vita.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo diciassettesimo.
Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco di notte, vide Cristo e la Vergine Maria e molti altri santi parlare con lui.
Uno fanciullo
molto puro e innocente fu ricevuto nell'Ordine, vivendo santo Francesco; e stava
in uno luogo piccolo, nel quale i frati per necessità dormivano in campoletti.
Venne santo Francesco una volta al detto luogo; e la sera, detta Compieta,
s'andò a dormire per potersi levare la notte ad orare, quando gli altri frati
dormissono, come egli era usato di fare. Il detto fanciullo si puose in cuore di
spiare sollecitamente le vie di santo Francesco, per potere conoscere la sua
santità e spezialmente di potere sapere quello che facea la notte quando si
levava.
E acciò che 'l sonno non lo ingannasse, sì si puose quello fanciullo a dormire
allato a santo Francesco e legò la corda sua con quella di santo Francesco, per
sentirlo quando egli si levasse e di questo santo Francesco non sentì niente. Ma
la notte in sul primo sonno, quando tutti gli altri frati dormivano, si levò e
trovò la corda sua così legata e sciolsela.
Pianamente, perché il fanciullo non si sentisse, e andossene santo Francesco
solo nella selva ch'era presso al luogo, ed entra in una celluzza che v'era e
puosesi in orazione.
E dopo alcuno spazio si desta il fanciullo e trovando la corda isciolta e santo
Francesco levato, levossi su egli e andò cercando di lui; e trovando aperto
l'uscio donde s'andava nella selva, pensò che santo Francesco fusse ito là, ed
entra nella selva. E giungendo presso al luogo dove santo Francesco orava,
cominciò a udire un grande favellare; e appressandosi più, per vedere e per
intendere quello ch'egli udiva, gli venne veduta una luce mirabile la quale
attorniava santo Francesco, e in essa vide Cristo e la Vergine Maria e santo
Giovanni Battista e l'Evangelista e grandissima moltitudine d'Angeli, li quali
parlavano con santo Francesco.
Vedendo questo il fanciullo e udendo, cadde in terra tramortito. Poi, compiuto
il misterio di quella santa apparizione e tornando santo Francesco al luogo,
trovò il detto fanciullo, col piè, giacere nella via come morto, e per
compassione si lo levò e arrecollosi in braccia e portollo come fa il buono
pastore alle sue pecorelle.
E poi sapendo da lui com'egli avea veduta la detta visione, sì gli comandò che
non lo dicesse mai a persona, cioè mentre che egli fosse vivo. Il fanciullo poi,
crescendo in grazia di Dio e divozione di santo Francesco, fu uno valente uomo
in nello Ordine, ed esso dopo la morte di santo Francesco, rivelò alli frati la
detta visione.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo diciottesimo.
Del maraviglioso Capitolo che tenne santo Francesco a Santa Maria degli Angeli dove furono oltre a cinquemila frati.
Il fedele servo
di Cristo santo Francesco tenne una volta un Capitolo generale a Santa Maria
degli Angeli, al quale Capitolo si raunò oltre cinquemila frati; e vennevi santo
Domenico, capo e fondamento dell'Ordine de' frati Predicatori, il quale allora
andava di Borgogna a Roma, e udendo la congregazione del Capitolo che santo
Francesco facea in nel piano di Santa Maria degli Angeli, si lo andò a vedere
con sette frati dell'Ordine suo. Fu ancora al detto Capitolo uno Cardinale
divotissimo di santo Francesco, al quale egli avea profetato ch'egli dovea
essere Papa, e così fu, il quale Cardinale era venuto istudiosamente da Perugia,
dov'era la corte ad Ascesi; e ogni dì veniva a vedere santo Francesco e' suoi
frati, e alcuna volta cantava la messa, alcuna volta faceva il sermone a' frati
in Capitolo; e prendea il detto Cardinale grandissimo diletto e divozione,
quando venia a visitare quel santo collegio. E veggendo sedere in quella pianura
intorno a Santa Maria i frati a schiera a schiera, qui quaranta, ove cento, dove
ottanta insieme, tutti occupati nel ragionare di Dio, in orazioni, in lagrime,
in esercizi di carità, e stavano con tanto silenzio e con tanta modestia, che
ivi non si sentia uno romore, nessuno stropiccìo e maravigliandosi di tanta
moltitudine in uno così ordinata, con lagrime e con grande devozione diceva:
«Veramente questo si è il campo e lo esercito de' cavalieri di Dio!».
Non si udiva in tanta moltitudine niuno parlare favole o bugie, ma dovunque si
raunava ischiera di frati, quelli oravano, o eglino diceano ufficio, o piagneano
i peccati loro o dei loro benefattori, o l'ragionavano della salute delle anime.
Erano in quel campo tetti di graticci e di stuoie, e distinti per torme, secondo
i frati di diverse Provincie; e però si chiamava quel Capitolo, il Capitolo di
graticci ovvero di stuoie. I letti loro si era la piana terra e chi avea un poco
di paglia; i capezzali si erano o pietre o legni. Per la qual ragione si era
tanta divozione di loro, a chiunque li udiva o vedeva, e tanto la fama della
loro santità, che della corte del Papa, ch'era allora a Perugia, e delle altre
terre della Valle di Spulito veniano a vedere molti conti, baroni e cavalieri ed
altri gentili uomini e molti popolani e cardinali e vescovi e abati e con molti
altri cherici, per vedere quella così santa e grande congregazione e umile, la
quale il mondo non ebbe mai, di tanti santi uomini insieme; e principalmente
veniano a vedere il capo e padre santissimo di quella santa gente, il quale avea
rubato al mondo così bella preda e raunato così bello e divoto gregge a
seguitare l'orme del vero pastore Gesù Cristo.
Essendo dunque raunato tutto il Capitolo generale, il santo padre di tutti e
generale ministro santo Francesco in fervore di spirito propone la parola di
Dio, e predica loro in alta voce quello che lo Spirito Santo gli facea parlare;
e per tema del sermone propuose queste parole: «Figliuoli miei, gran cose
abbiamo promesse a Dio, troppo maggiori sono da Dio promesse a noi se osserviamo
quelle che noi abbiamo promesse a lui; e aspettiamo di certo quelle che sono
promesse a noi. Brieve è il diletto del mondo, ma la pena che seguita ad esso è
perpetua. Piccola è la pena di questa vita, ma la gloria dell'altra vita è
infinita». E sopra queste parole predicando divotissimamente, confortava e
induceva tutti i frati a obbidienza e a riverenza della santa madre Chiesa e
alla canta fraternale, e ad orare per tutto il popolo Iddio, ad avere pazienza
nelle avversità del mondo e temperanza nelle prosperità, e tenere mondizia e
castità angelica, e ad avere concordia e pace con Dio e con gli uomini e con la
propria coscienza, e amore e osservanza della santissima povertà. E quivi disse
egli: «lo comando, per merito della santa obbedienza, che tutti voi che siete
congregati che nessuno di voi abbia cura né sollecitudine di veruna cosa di
mangiare o di bere o di cose necessarie al corpo, ma solamente intendere a orare
e laudare Iddio; e tutta la sollecitudine del corpo vostro lasciate a lui,
imperò ch'egli ha spezialmente cura di voi». E tutti quanti ricevettono questo
comandamento con allegro cuore e lieta faccia. E compiuto il sermone di santo
Francesco, tutti si gettarono in orazione.
Di che santo Domenico, il quale era presente a tutte queste cose, fortemente si
maravigliò del comandamento di santo Francesco e riputavalo indiscreto, non
potendo pensare come tanta moltitudine si potesse reggere, sanza avere nessuna
cura e sollocitudine e cose necessarie al corpo. Ma 'l principale pastore Cristo
benedetto, volendo mostrare com'egli ha cura delle sue pecore e singulare amore
a' poveri suoi, immantanente ispirò alle genti di Perugia, di di Spulito e di
Foligno, di Spello e d'Ascesi e delle altre terre intorno, che portassono da
mangiare e da bere a quella santa congregazione. Ed eccoti subitamente venire
delle predette terre uomini con somieri, cavalli, carri, carichi di pane e di
vino, di fave, di cacio e d'altre buone cose da mangiare, secondo ch'a' poveri
di Cristo era di bisogno. Oltre a questo, recavano tovaglie, orciuli, ciotole,
bicchieri e altri vasi che faceano mestieri a tanta moltitudine. E beato si
riputava chi più cose potesse portare, o più sollecitamente servire, in tanto
ch'eziandio i cavalieri e li baroni e altri gentili uomini che veniano a vedere,
con grande umiltà e divozione servirono loro innanzi. Per la qual cosa santo
Domenico, vedendo queste cose e conoscendo veramente che la provvidenza divina
si adoperava in loro, umilmente si riconobbe ch'avea falsamente giudicato santo
Francesco di comandamento indiscreto, e inginocchiossi andandogli innanzi e
umilmente ne disse sua colpa e aggiunse: «Veramente Iddio ha cura speziale di
questi santi poverelli, e io non lo sapea, e io da ora innanzi prometto
d'osservare la evangelica povertà e santa; e maladico dalla parte di Dio tutti
li frati dell'Ordine mio, li quali nel detto Ordine presumeranno d'avere
proprio». Sicché santo Domenico fu molto edificato della fede del santissimo
Francesco, e della obbidienza e della povertà di così grande e ordinato
collegio, e della provvidenza divina e della copiosa abbondanza d'ogni bene.
In quello medesimo Capitolo fu detto a santo Francesco che molti frati portavano
il cuoretto in sulle carni e cerchi di ferro, per la qual cosa molti ne
infermavano, onde ne morivano, e molti n'erano impediti dallo orare. Di che
santo Francesco, come discretissimo padre, comandò per la santa obbidienza, che
chiunque avesse o cuoretto o cerchio di ferro, si se lo traesse e ponesselo
dinanzi a lui. E così fecero. E furono annoverati bene cinquecento cuoretti di
ferro e troppo più cerchi tra da braccia e da ventri, in tanto che feciono un
grande monticello e santo Francesco tutti li fece lasciare ivi.
Poi compiuto lo Capitolo, santo Francesco confortandoli tutti in bene e
ammaestrandoli come dovessino iscampare e sanza peccato di questo mondo
malvagio, con la benedizione di Dio e la sua li rimandò alle loro provincie,
tutti consolati di letizia spirituale.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo diciannovesimo.
Come dalla vigna del prete da Rieti in casa di cui orò santo Francesco, per la molta gente che venia a lui furono tratte e colte l'uve, e poi miracolosamente fece più vino che mai sì come santo Francesco gli avea promesso. E come Iddio rivelò a santo Francesco ch'egli arebbe paradiso alla sua partita.
Sendo una volta
santo Francesco gravemente infermo degli occhi messere Ugolino, cardinale
protettore dell'Ordine, per grande tenerezza ch'avea di lui, sì gli iscrisse
ch'egli andasse a lui a Rieti dov'erano ottimi medici d'occhi. Allora santo
Francesco ricevuta la lettera del Cardinale, se ne andò in prima a Santo
Damiano, dove era santa Chiara divotissima isposa di Cristo, per darle alcuna
consolazione e poi andare al Cardinale. Essendo ivi santo Francesco, la notte
seguente peggiorò sì degli occhi ch'e' non vedea punto di lume; di che non
potendosi partire, e santa Chiara gli fece una celluzza di cannucce, nella quale
egli si potesse meglio riposare. Ma santo Francesco tra per lo dolore della
infermità e per la moltitudine de surci che gli faceano grandissima noia, punto
del mondo non si potea posare, né di dì, né di notte. E sostenendo più dì quella
pena e tribulazione, cominciò a pensare e a conoscere che quello era un flagello
di Dio per li suoi peccati; e incominciò a ringraziare Iddio con tutto il cuore
e con la bocca: e poi gridava ad alte voci e disse: «Signore mio Iddio, io sono
degno di questo e di troppo peggio. Signore mio Gesù Cristo, pastore buono, il
quale a noi peccatori hai posta la tua misericordia in diverse pene e angoscie
corporali, concedi grazia e virtù tu a me tua pecorella, che per nessuna
infermità e angoscia e dolore io mi parta da te».
E fatta questa orazione, gli venne una voce dal cielo che disse: «Francesco,
rispondimi. Se tutta la terra fosse oro, e tutti li mari e fonti e fiumi fossino
balsimo, e tutti li monti, colli e li sassi fussono pietre preziose, e tu
trovassi un altro tesoro più nobile che queste cose, quanto l'oro è più nobile
che la terra, e 'l balsimo che l'acqua, e le pietre preziose più che i monti o i
sassi, e fusseti dato per questa infermità quello più nobile tesoro, non ne
dovresti tu essere contento e bene allegro?».
Risponde santo Francesco: «Signore, io sono indegno di così prezioso tesoro». E
la voce di Dio dicea a lui: «Rallegrati, Francesco, però che quello è il tesoro
di vita eterna, il quale io ti riserbo e insino a ora io te ne investisco; e
questa infermità e afflizione è arra di quello tesoro beato». Allora santo
Francesco chiamò il compagno con grandissima allegrezza di così gloriosa
promessa, e disse: «Andiamo al Cardinale». E consolando in prima santa Chiara
con sante parole e da lei umilmente accomiatandosi, prese il cammino verso
Rieti.
E quando vi giunse presso, tanta moltitudine di popolo gli si feciono incontro,
che perciò egli non volle entrare nella città ma andossene a una chiesa ch'era
presso la città forse a due miglia. Sappiendo li cittadini ch'egli era alla
detta chiesa, correvano tanto intorno a vederlo, che la vigna della chiesa tutta
si guastava e l'uve erano tutte colte. Di che il prete forte si dolea nel cuore
suo, e pentessi ch'egli avea ricevuto santo Francesco nella sua chiesa. Essendo
da Dio rivelato a santo Francesco il pensiero del prete, sì lo fece chiamare a
sé e dissegli: «Padre carissimo, quante some di vino ti rende questa vigna
l'anno, quand'ella ti rende meglio?». Rispuose, che dodici some. Dice santo
Francesco: «Io ti priego, padre, che tu sostenga pazientemente il mio dimorare
qui alquanti dì, però ch'io ci truovo molto riposo, e lascia torre a ogni
persona dell'uva di questa tua vigna per lo amore di Dio e di me poverello; e io
ti prometto dalla parte del mio Signore Gesù Cristo, ch'ella te ne renderà
uguanno venti some». E questo faceva santo Francesco dello stare ivi, per lo
grande frutto delle anime che si vedea fare delle genti che vi veniano, dei
quali molti partivano inebriati del divino amore e abbandonavano il mondo.
Confidossi il prete della promessa di santo Francesco e lasciò liberamente la
vigna a coloro che venivano a lui. Maravigliosa cosa! La vigna fu al tutto
guasta, sicché appena vi rimasono alcuni racimoli d'uve. Viene il tempo della
vendemmia, e 'l prete raccoglie cotali racimoli e metteli nel tino e pigia, e
secondo la promessa di santo Francesco, ricoglie venti some d'ottimo vino. Nel
quale miracolo manifestamente si diè ad intendere che, come per merito di santo
Francesco la vigna spogliata d'uve era abbondata in vino, così il popolo
cristiano sterile di virtù per lo peccato, per li meriti e dottrina di santo
Francesco spesse volte abbondava di buoni frutti di penitenza.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo ventesimo.
D'una molto bella visione che vide uno frate giovane, a quale avea in tanta abbominazione la cappa, ch'era disposto di lasciare l'abito e uscire dell'Ordine.
Un giovane molto
nobile e delicato venne all'Ordine di santo Francesco; il quale dopo alquanti
dì, per istigazione del demonio, cominciò ad avere in tanta abbominazione
l'abito che portava, che gli parea portare un sacco vilissimo; avea orrore delle
maniche e abbominava il cappuccio, e la lunghezza e la asprezza gli parea una
soma incomportabile. E crescendo pure il dispiacere della religione, egli
finalmente si diliberò di lasciare l'abito e tornare al mondo.
Avea costui già preso per usanza, secondo che gli avea insegnato il suo maestro,
qualunque ora egli passava dinanzi all'altare del convento, nel quale si
conservava il corpo di Cristo, d'inginocchiarsi con gran riverenza e trarsi il
cappuccio e colle braccia cancellate inchinarsi. Addivenne che la notte, nella
quale si dovea partire e uscire dell'Ordine, convenne ch' e' passasse dinanzi
all'altare del convento; e passandovi secondo l'usanza s'inginocchiò e fece
riverenza. E subitamente fu ratto in ispirito, e fugli mostrata da Dio
maravigliosa visione; imperò che vide dinanzi a sé quasi moltitudine infinita di
santi a modo di processione a due a due, vestiti di bellissimi e preziosi
vestimenti di drappi, e la faccia loro e le mani risplendeano come il sole, e
andavano con canti e con suoni d'angeli; fra' quali santi erano due più
nobilemente vestiti e adorni che tutti gli altri, ed erano attorniati di tanta
chiarezza, che grandissimo stupore davano a chi li riguardava; e quasi nel fine
della processione, vide uno adornato di tanta gloria, che parea cavaliere
novello, più onorato che gli altri. Vedendo questo giovane la detta visione, si
maravigliava e non sapea che quella processione si volesse dire, e non era
ardito di domandarne e istava stupefatto per dolcezza. Essendo nientedimento
passata tutta la processione, costui pure prende ardire e corre dritto agli
ultimi e con grande timore li domanda dicendo: «O carissimi, io vi priego che vi
piaccia di dirmi chi sono quelli così maravigliosi, i quali sono in questa
processione così venerabile». Rispondono costoro: «Sappi, figliuolo, che noi
siamo tutti frati Minori, li quali veniamo ora della gloria di paradiso». E così
costui domanda: «Chi sono quelli due che risplendono più che gli altri?».
Rispondono costoro: «Questi sono santo Francesco e santo Antonio, e quello
ultimo che tu vedesti così onorato, è uno santo frate che morì nuovamente; il
quale però che valentemente conbattette contro alle tentazioni e perseverò
insino alla fine, noi il meniamo con trionfo alla gloria di paradiso. E questi
vestimenti di drappi così belli che noi portiamo, ci sono dati da Dio in
iscambio delle aspre toniche le quali noi pazientemente portavamo nella
religione, e la gloriosa chiarità che tu vedi in noi, ci è data da Dio per la
umiltà e pazienza e per la santa povertà e obbedienza e castità, le quali noi
servammo insino alla fine. E però, figliuolo, non ti sia duro portare il sacco
della religione così fruttuoso, però che se col sacco di santo Francesco per lo
amore di Cristo tu disprezzerai il mondo e mortificherai la carne e contro al
demonio combatterai valentemente, tu avrai insieme con noi simile vestimento e
chiarità di gloria». E dette queste parole, il giovane tornò in se medesimo, e
confortato della visione, cacciò da sé ogni tentazione. Riconobbe la colpa sua
dinanzi al guardiano e alli frati; e da indi innanzi desiderò l'asprezza della
penitenza e de' vestimenti, e finì la vita sua nell'Ordine in grande santità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo ventunesimo.
Del santissimo miracolo che fece santo Francesco, quando convertì il ferocissirno lupo d'Agobbio.
Al tempo che
santo Francesco dimorava nella città di Agobbio nel contado di Agobbio appari un
lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli
animali ma eziandio gli uomini, in tanto che tutti i cittadini stavano in gran
paura, però che spesse volte s'appressava alla città, e tutti andavano armati
quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere; e con tutto
ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura
di questo lupo e' vennono a tanto, che nessuno era ardito d'uscire fuori della
terra.
Per la qual cosa avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì
volle uscire fuori a questo lupo, bene che li cittadini al tutto non gliel
consigliavano; e facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della
terra egli co' suoi compagni, tutta la sua confidanza ponendo in Dio. E
dubitando gli altri di andare più oltre, santo Francesco prese il cammino
inverso il luogo dove era il lupo. Ed ecco che, vedendo molti cittadini li quali
erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo
Francesco, con la bocca aperta; ed appressandosi a lui, santo Francesco gli fa
il segno della croce, e chiamollo a sé e disse così: «Vieni qui, frate lupo, io
ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona».
Mirabile cosa a dire!
Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse
la bocca e ristette di correre: e fatto il comandamento, venne mansuetamente
come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. E santo
Francesco gli parlò così:
«Frate lupo, tu fai molti danni in queste partì, e hai fatti grandi malifici,
guastando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza; e non solamente hai
uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d'uccidere uomini fatti alla
immagine di Dio; per la qual cosa tu se' degno delle forche come ladro e omicida
pessimo, e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t'è nemica. Ma
io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda
più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e né li omini né li canti ti
perseguitino più». E dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e
di orecchi e con inchinare il capo mostrava d'accettare ciò che santo Francesco
dicea e di volerlo osservare. Allora santo Francesco disse: «Frate lupo, poiché
ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto ch'io ti farò dare le
spese continuamente, mentre tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché tu
non patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai fatto ogni
male. Ma poich'io t'accatto questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi
imprometta che tu non nocerai a nessuna persona umana né ad animale, promettimi
tu questo?».
E il lupo, con inchinate di capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E
santo Francesco sì dice: «Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa
promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare». E distendendo la mano santo
Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e
dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello
segnale ch'egli potea di fede.
E allora disse santo Francesco: «Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù
Cristo, che tu venga ora meco sanza dubitare di nulla, e andiamo a fermare
questa pace al nome di Dio». E il lupo ubbidiente se ne va con lui a modo d'uno
agnello mansueto, di che li cittadini, vedendo questo, fortemente si
maravigliavano. E subitamente questa novità si seppe per tutta la città, di che
ogni gente maschi e femmine, grandi e piccoli, giovani e vecchi, traggono alla
piazza a vedere il lupo con santo Francesco. Ed essendo ivi bene raunato tutto
'l popolo, levasi su santo Francesco e predica loro dicendo, tra l'altre cose,
come per li peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze, e troppo è più
pericolosa la fiamma dello inferno la quale ci ha a durare eternalemente alli
dannati, che non è la rabbia dello lupo, il quale non può uccidere se non il
corpo: «quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta
moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca d'un piccolo animale. Tornate
dunque, carissimi, a Dio e fate degna penitenza de' vostri peccati, e Iddio vi
libererà del lupo nel presente e nel futuro dal fuoco infernale». E fatta la
predica, disse santo Francesco: «Udite, fratelli miei: frate lupo, che è qui
dinanzi da voi, sì m'ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non
offendervi mai in cosa nessuna, e voi gli promettete di dargli ogni dì le cose
necessarie; ed io v'entro mallevadore per lui che 'l patto della pace egli
osserverà fermamente». Allora tutto il popolo a una voce promise di nutricarlo
continuamente. E santo Francesco, dinanzi a tutti, disse al lupo: «E tu, frate
lupo, prometti d'osservare a costoro il patto della pace, che tu non offenda né
gli uomini, né gli animali né nessuna creatura?». E il lupo inginocchiasi e
inchina il capo e con atti mansueti di corpo e di coda e d'orecchi dimostrava,
quanto è possibile, di volere servare loro ogni patto. Dice santo Francesco:
«Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della
porta, così dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa, che tu non
mi ingannerai della mia promessa e malleveria ch'io ho fatta per te». Allora il
lupo levando il piè ritto, sì 'l puose in mano di santo Francesco. Onde tra
questo atto e gli altri detti di sopra fu tanta allegrezza e ammirazione in
tutto il popolo, sì per la divozione del Santo e sì per la novità del miracolo e
sì per la pace del lupo, che tutti incominciarono a gridare al cielo, laudando e
benedicendo Iddio, il quale si avea loro mandato santo Francesco, che per li
suoi meriti gli avea liberati dalla bocca della crudele bestia.
E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per
le case a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui;
e fu nutricato cortesemente dalla gente, e andandosi così per la terra e per le
case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente dopo due anni frate
lupo sì si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono, imperò che
veggendolo andare così mansueto per la città, si raccordavano meglio della virtù
e santità di santo Francesco.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo ventiduesimo.
Come santo Francesco dimesticò le tortole salvatiche.
Un giovane aveva
preso un dì molte tortole, e portavale a vendere. Iscontrandosi in lui santo
Francesco, il quale sempre avea singolare pietà agli animali mansueti,
riguardando quelle tortole con l'occhio pietoso, disse al giovane: «O buono
giovane, io ti priego che tu me le dia, e che uccelli così innocenti le quali
nella Scrittura sono assomigliate all'anime caste e umili e fedeli, non vengano
alle mani de' crudeli che gli uccidano». Di subito colui, ispirato da Dio, tutte
le diede a santo Francesco: ed egli ricevendole in grembo, cominciò a parlare
loro dolcemente: «O sirocchie mie, tortole semplici, innocenti, caste, perché vi
lasciate voi pigliare? Or ecco io vi voglio scampare da morte e farvi i nidi,
acciò che voi facciate frutto e multiplichiate secondo i comandamenti del nostro
Creatore».
E va santo Francesco e a tutte fece nido. Ed ellenò, usandosi cominciarono a
fare uova e figliare dinanzi alli frati, e così dimesticamente si stavano e
usavano con santo Francesco e con gli altri frati, come se fussono state galline
sempre nutricate da loro. E mai non si partirono, insino che santo Francesco con
la sua benedizione diede loro licenza di partirsi.
E al giovane, che gliele aveva date, disse santo Francesco: «Figliuolo, tu sarai
ancora frate in questo Ordine e servirai graziosamente a Gesù Cristo». E così
fu, imperò che 'l detto giovane si fece frate e vivette nel detto Ordine con
grande santità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo ventitreesimo.
Come santo Francesco liberò un frate ch'era in peccato col demonio.
Stando santo
Francesco una volta in orazione nel luogo della Porziuncola, vide per divina
revelazione tutto il luogo attorniato e assediato dalli demoni a modo che di
grande esercito; ma nessuno loro potea entrare dentro nel luogo, imperò che
questi frati erano di tanta santità, che li demonii non aveano a cui entrare
dentro. Ma perseverando così, un di uno di que' frati si scandalezzò con un
altro e pensava nel cuor suo come lo potesse accusare e vendicarsi di lui. Per
la qual cosa, istando costui in questo mal pensiero, il demonio, avendo
l'entrata aperta entrò nel luogo, e ponsi in sul collo di quello frate. Veggendo
ciò io pietoso e sollecito pastore, lo quale vegghiava sempre sopra le sue
greggie, che il lupo si era entrato a divorare la pecorella sua, fece
subitamente chiamare a sé quel frate, e comandògli che di presente e' dovesse
iscoprire lo veleno dell'odio conceputo contro al prossimo, per lo quale egli
era nelle mani del nimico. Di che colui impaurito, che si vedea compreso dal
padre santo, si scoperse ogni veleno e rancore e riconobbe la colpa sua, e
domandonne umilmente la penitenza con misericordia. E fatto ciò, assoluto che fu
dal peccato e ricevuto la penitenza, subito dinanzi a santo Francesco il demonio
si partì, e 'l frate così liberato delle mani della bestia crudele, per la bontà
del buono pastore, sì ringraziò Iddio, e ritornando corretto e ammaestrato alla
gregge del santo pastore, esso vivette poi in grande santità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Ventiquattresimo.
Come santo Francesco convertì alla fede il Soldano di Babilonia e la meretrice che lo richiese di peccato
Santo Francesco
istigato dallo zelo della fede di Cristo e dal desiderio del martirio, andò una
volta oltremare con dodici suoi compagni santissimi, ritti per andare al Soldano
di Babilonia. E giugnendo in alcuna contrada di Saracini, ove si guardavano i
passi da certi sì crudeli uomini, che nessuno de' cristiani, che vi passasse,
potea iscampare che non fosse morto: e come piacque a Dio non furono morti, ma
presi, battuti e legati furono e menati dinanzi al Soldano. Ed essendo dinanzi a
lui santo Francesco, ammaestrato dallo Spirito Santo predicò sì divinamente
della fede di Cristo, che eziandio per essa fede egli voleano entrare nel fuoco.
Di che il Soldano cominciò avere grandissima divozione in lui, sì per la
costanza della fede sua, sì per lo dispregio del mondo che vedea in lui, imperò
che nessuno dono volea da lui ricevere, essendo poverissimo, e sì eziandio per
lo fervore del martirio, il quale in lui vedeva. Da quel punto innanzi il
Soldano l'udiva volentieri, e pregollo che spesse volte tornasse a lui,
concedendo liberamente a lui e a' compagni ch'eglino potessono predicare
dovunque e' piacesse a loro. E diede loro un segnale, per lo quale egli non
potessono essere offesi da persona.
Avuta adunque questa licenza così libera, santo Francesco mandò quelli suoi
eletti compagni a due a due in diverse partì di Saracini a predicare la fede di
Cristo; ed egli con uno di loro elesse una contrada, alla quale giugnendo entrò
in uno albergo per posarsi. Ed ivi si era una femmina bellissima del corpo ma
sozza dell'anima, la quale femmina maldetta richiese santo Francesco di peccato.
E dicendole santo Francesco: "Io accetto, andiamo a letto"; ed ella lo menava in
camera. E disse santo Francesco: "Vieni con meco, io ti menerò a uno letto
bellissimo". E menolla a uno grandissimo fuoco che si facea in quella casa; e in
fervore di spirito si spoglia ignudo, e gittasi allato a questo fuoco in su lo
spazzo affocato, e invita costei che ella si spogli e vada a giacersi con lui in
quello letto ispiumacciato e bello. E istandosi così santo Francesco per grande
ispazio con allegro viso, e non ardendo né punto abbronzando, quella femmina per
tale miracolo ispaventata e compunta nel cuor suo, non solamente sì si penté del
peccato e della mala intenzione, ma eziandio si convertì perfettamente alla fede
di Cristo, e diventò di tanta santità, che per lei molte anime si salvarono in
quelle contrade.
Alla perfine, veggendosi santo Francesco non potere fare più frutto in quelle
contrade, per divina revelazione sì dispuose con tutti li suoi compagni di
ritornare tra i fedeli; e raunatili tutti insieme, ritornò al Soldano e
prendette commiato da lui. E allora gli disse il Soldano: "Frate Francesco, io
volentieri mi convertirei alla fede di Cristo, ma io temo di farlo ora: imperò
che, se costoro il sentissino, eglino ucciderebbono te e me con tutti li tuoi
compagni, e conciò sia cosa che tu possa ancora fare molto bene, e io abbia a
spacciare certe cose di molto grande peso, non voglio ora inducere la morte tua
e la mia; ma insegnami com'io mi possa salvare: io sono apparecchiato a fare ciò
che tu m'imponi". Disse allora santo Francesco: "Signore, io mi parto ora da
voi, ma poi ch'io sarò tornato in mio paese e ito in cielo, per la grazia di
Dio, dopo la morte mia, secondo che piacerà a Dio, ti manderò due de' miei frati
da' quali tu riceverai il santo battesimo di Cristo, e sarai salvo, siccome m'ha
rivelato il mio Signore Gesù Cristo. E tu in questo mezzo ti sciogli d'ogni
impaccio, acciò che quando verrà a te la grazia di Dio, ti muovi apparecchiato a
fede e divozione". E così promise di fare e fece.
Fatto questo, santo Francesco torna con quello venerabile collegio de' suoi
compagni santi; e dopo alquanti anni santo Francesco per morte corporale rendé
l'anima a Dio. E 'l Soldano infermando si aspetta la promessa di santo
Francesco, e fa istare guardie a certi passi, e comanda che se due frati
v'apparissono in abito di santo Francesco, di subito fussino menati a lui. In
quel tempo apparve santo Francesco a due frati e comandò loro che sanza indugio
andassono al Soldano e procurino la sua salute, secondo che gli avea promesso.
Li quali frati subito si mossono, e passando il mare, dalle dette guardie furono
menati al Soldano. E, veggendoli, il Soldano ebbe grandissima allegrezza e
disse: "Ora so io veramente che Iddio ha mandato a me li servi suoi per la mia
salute, secondo la promessa che mi fece santo Francesco per revelazione divina".
Ricevendo adunque informazione della fede di Cristo e 'l santo battesimo dalli
detti frati, così ringenerato in Cristo sì morì in quella infermità e fu salva
l'anima sua per meriti e per orazioni di santo Francesco.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Venticinquesimo.
Come santo Francesco miracolosamente sanò il lebbroso dell'anima e del corpo, e quel che l'anima gli disse andando in cielo.
vero discepolo di
Cristo messer santo Francesco, vivendo in questa miserabile vita, con tutto il
suo isforzo s'ingegnava di seguitare Cristo perfetto maestro: onde addivenia
ispesse volte per divina operazione, che a cui egli sanava il corpo, Iddio gli
sanava l'anima a una medesima ora, siccome si legge di Cristo. E però ch'egli
non solamente servia alli lebbrosi volentieri, ma oltre a questo avea ordinato
che li frati del suo Ordine, andando o stando per lo mondo, servissono alli
lebbrosi per lo amore di Cristo, il quale volle per noi essere riputato
lebbroso; addivenne una volta, in uno luogo presso a quello dove dimorava allora
santo Francesco, li frati servivano in uno ispedale a' lebbrosi infermi: nel
quale era uno lebbroso sì impaziente e sì incomportabile e protervo, ch'ogni uno
credeva di certo e così era, che fusse invasato del dimonio, imperò ch'egli
isvillaneggiava di parole e di battiture sì sconciamente chiunque lo serviva, e,
ch'è peggio, ch'egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua
santissima madre Vergine Maria, che per nessuno modo si trovava chi lo potesse o
volesse servire. E avvegna che le ingiurie e villanie proprie i frati
studiassono di portare pazientemente per accrescere il merito della pazienza;
nientedimeno quelle di Cristo e della sua Madre non potendo sostenere le
coscienze loro, al tutto diterminarono d'abbandonare il detto lebbroso: ma non
lo vollono fare insino a tanto ch'eglino il significarono ordinatamente a santo
Francesco, il quale dimorava allora in uno luogo quivi presso.
E significato che gliel'ebbono, e santo Francesco se ne viene a questo lebbroso
perverso; e giugnendo a lui, sì lo saluta dicendo: "Iddio ti dia pace, fratello
mio carissimo". Risponde il lebbroso: "Che pace posso io avere da Dio, che m'ha
tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente?". E santo
Francesco disse: "Figliuolo, abbi pazienza, imperò che le infermità de' corpi ci
sono date da Dio in questo mondo per salute dell'anima, però ch'elle sono di
grande merito, quand'elle sono portate pazientemente". Risponde lo infermo: "E
come poss'io portare pazientemente la pena continova che m'affligge il di e la
notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia, ma peggio mi fanno
i frati che tu mi desti perché mi servissono, e non mi servono come debbono".
Allora santo Francesco, conoscendo per rivelazione che questo lebbroso era
posseduto da maligno spirito, andò e posesi in orazione e pregò Iddio
divotamente per lui.
E fatta l'orazione, ritorna a lui e dice così:
"Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri".
"Piacemi, dice lo 'nfermo: ma che mi potrai tu fare più che gli altri?" Risponde
santo Francesco: "Ciò che tu vorrai, io farò". Dice il lebbroso: "Io voglio che
tu mi lavi tutto quanto, imperò ch'io puto si fortemente' ch'io medesimo non mi
posso patire". Allora santo Francesco di subito fece iscaldare dell'acqua con
molte erbe odorifere, poi sì spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani,
e un altro frate metteva su l'acqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco
toccava con le sue mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente
sanata. E come s'incominciò la carne a sanicare, così s'incominciò a sanicare
l'anima: onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere
grande compunzione e pentimento de' suoi peccati, e cominciò a piagnere
amarissimamente; sicché mentre che 'l corpo si mondava di fuori della lebbra per
lo lavamento dell'acqua, l'anima si mondava dentro del peccato per contrizione e
per le lagrime.
Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto all'anima, umilmente si
rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta voce: "Guai a me, ch'io sono degno
dello inferno per le villanie e ingiurie ch'io ho fatte e dette a' frati, e per
la impazienza e bestemmie ch'io ho avute contro a Dio". Onde per quindici dì
perseverò in amaro pianto de' suoi peccati e in chiedere misericordia a Dio,
confessandosi al prete interamente. E santo Francesco veggendo così espresso
miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le sue mani, ringraziò Iddio e
partissi indi, andando in paesi assai di lunge; imperò che per umiltà volea
fuggire ogni gloria e in tutte le sue operazioni solo cercava l'onore e la
gloria di Dio e non la propria.
Poi com'a Dio piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dell'anima, dopo
quindici dì della sua penitenza, infermò d'altra infermità: e armato delli
Sacramenti ecclesiastici sì si morì santamente. E la sua anima, andando in
paradiso, apparve in aria a santo Francesco che si stava in una selva in
orazione, e dissegli: "Riconoscimi tu?". "Qual se' tu?", disse santo Francesco.
"Io sono il lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per li tuoi meriti, e oggi
me ne vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia
l'anima e 'l corpo tuo, e benedette le tue sante parole e operazioni, imperò che
per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non è dì nel mondo, nel
quale li santi Agnoli e gli altri santi non ringrazino Iddio de' santi frutti
che tu e l'Ordine tuo fate in diverse partì del mondo; e però confortati e
ringrazia Iddio, e sta' con la sua benedizione". E dette queste parole, se
n'andò in cielo; e santo Francesco rimase molto consolato.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Ventiseiesimo
Come santo Francesco convertì tre ladroni micidiali e fecionsi frati; e della nobilissima visione che vide l'uno di loro, il quale fu santissimo frate.
Santo Francesco
andò una volta per lo diserto del Borgo a Santo Sipolcro e passando per uno
castello che si chiama Monte Casale, venne a lui un giovane nobile e delicato e
dissegli: "Padre, io vorrei molto volentieri essere de' vostri frati". Risponde
santo Francesco: "Figliuolo tu se' giovane e delicato e nobile; forse tu non
potresti sostenere la povertà e l'asprezza nostra". Ed egli disse: "Padre, non
siete voi uomini com'io? Dunque come la sostenete voi, così potrò io con la
grazia di Cristo". Piacque molto a santo Francesco quella risposta; di che
benedicendolo, immantanente lo ricevette all'Ordine e puosegli nome frate Agnolo.
E portossi questo giovane così graziosamente, che ivi a poco tempo santo
Francesco il fece guardiano nel luogo detto di Monte Casale.
In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, li quali faceano
molti mali nella contrada, li quali vennono un dì al detto luogo de' frati e
pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro da mangiare. E 'l
guardiano rispuose loro in questo modo, riprendendoli aspramente: "Voi, ladroni
e crudeli e omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio,
come presuntuosi e isfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate alli
servi di Dio, che non siete pure degni che la terra vi sostenga, però che voi
non avete nessuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate adunque per
li fatti vostri, e qui non apparite più". Di che coloro turbati, partirono con
grande sdegno.
Ed ecco santo Francesco tornare di fuori con la tasca del pane e con un
vaselletto di vino ch'egli e 'l compagno aveano accattato, e recitandogli il
guardiano com'egli avea cacciato coloro, santo Francesco fortemente lo riprese,
dicendo che s'era portato crudelmente, "impero ch'elli meglio si riducono a Dio
con dolcezza che con crudeli riprensioni; onde il nostro maestro Gesù Cristo, il
cui evangelo noi abbiamo promesso d'osservare, dice che non è bisogno a' sani il
medico ma agli infermi, e che non era venuto a chiamare li giusti ma li
peccatori a penitenze, e però ispesse volte egli mangiava con loro. Conciò sia
cosa adunque che tu abbi fatto contra alla carità e contro al santo evangelo di
Cristo, io ti comando per santa obbedienza, che immantanente tu sì prenda questa
tasca del pane ch'io ho accattato e questo vasello del vino, e va' loro dietro
sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi, e presenta loro
tutto questo pane e questo vino per mia parte; e poi t'inginocchia loro dinanzi
e di' loro umilmente tua colpa della crudeltà tua, e poi li priega da mia parte
che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s'egli
faranno questo, io prometto di provvederli nelli loro bisogni e di dare loro
continuamente e da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo,
ritornati in qua umilmente." Mentre che il detto guardiano andò a fare il
comandamento di santo Francesco, ed egli si puose in orazione e pregava Iddio
ch'ammorbidasse i cuori di quelli ladroni e convertisseli a penitenza. Giugne
loro l'ubbidiente guardiano ed appresenta loro il pane e 'l vino, e fa e dice
ciò che santo Francesco gli ha imposto. E, come piacque a Dio, mangiando que'
ladroni la limosina di santo Francesco, cominciarono a dire insieme: "Guai a noi
miseri isventurati! E come dure pene dello inferno ci aspettiamo, i quali
andiamo non solamente rubando li prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio
uccidendo; e nientedimeno di tanti mali e così scellerate cose, come noi
facciamo, noi non abbiamo nessuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed
ecco questo frate santo, ch'è venuto a noi per parecchie parole che ci disse
giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilemente sua colpa e oltre a
ciò ci ha recato il pane e lo vino e così liberale promessa del santo padre.
Veramente questi si sono frati santi di Dio li quali meritano paradiso di Dio, e
noi siamo figliuoli della eternale perdizione, li quali meritiamo le pene dello
inferno, e ogni indì accresciamo alla nostra perdizione, e non sappiamo se de'
peccati che abbiamo fatti insino qui noi potremo tornare alla misericordia di
Dio". Queste e somiglianti parole dicendo l'uno di loro, dissono gli altri due:
"Per certo tu di' il vero; ma ecco che dobbiamo noi fare?". "Andiamo, disse
costui, a santo Francesco, e s'egli ci dà speranza che noi possiamo tornare a
misericordia di Dio de' nostri peccati, facciamo ciò ch'e' ci comanda, e
possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno." Piacque questo
consiglio agli altri; e così tutti e tre accordati se ne vengono in fretta a
santo Francesco e dicongli: "Padre, noi per molti iscellerati peccati che noi
abbiamo fatti, noi non crediamo potere tornare alla misericordia di Dio; ma se
tu hai nessuna isperanza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco che noi siamo
apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e di fare penitenza teco". Allora santo
Francesco ricevendoli caritativamente e con benignità, sì li confortò con molti
esempi e, rendendoli certi della misericordia di Dio, promise loro di certo
d'accattarla loro da Dio e mostrando loro la misericordia di Dio essere
infinita: "e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la misericordia divina è
maggiore ch'e' nostri peccati, secondo il Vangelo, e lo apostolo santo Paulo
disse: Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare li peccatori. Per
quali parole e simiglianti ammaestramenti, li detti tre ladroni renunziarono al
dimonio e alle sue opere, e santo Francesco li ricevette all'Ordine, e
cominciarono a fare grande penitenza; e due di loro poco vissono dopo la loro
conversione e andaronsi a Paradiso. Ma il terzo sopravvivendo e ripensando alli
suoi peccati, si diede a fare tale penitenza, che per quindici anni continovi,
eccetto le quaresime comuni, le quali egli facea con gli altri frati, d'altro
tempo sempre tre dì la settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre
scalzo e con una sola tonica indosso, e mai non dormia dopo Mattutino.
Fra questo tempo santo Francesco passò di questa misera vita. E avendo dunque
costui per molti anni continovato cotale penitenza, ecco ch'una notte dopo 'l
Mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno, che per nessuno modo egli potea
resistere al sonno e vegghiare come soleva. Finalmente, non potendo egli
resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire; e subito
com'egli ebbe posto giù il capo, fu ratto e menato in ispirito in su uno monte
altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi ispezzati
e ischeggiosi e iscogli disuguali ch'uscivano fuori de' sassi; di che infra
questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l'Agnolo che menava questo frate
sì lo sospinse e gittollo giù per quella ripa; il quale trabalzando e percotendo
di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di
questa ripa, tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui parea. E giacendosi
così male acconcio in terra, dicea colui che 'l menava: "Lieva su, che ti
conviene fare ancora grande viaggio". Rispuose il frate: "Tu mi pari molto
indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta, che m'ha così
ispezzato, e dimmi; lieva su!". E l'Agnolo s'accosta a lui e toccandolo gli
salda perfettamente tutti li membri e sanalo. E poi gli mostra una grande
pianura di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che
per tutto questo piano gli conviene correre e passare a piedi ignudi infino che
giunga al fine, nel quale e' vedea una fornace ardente nella quale gli convenia
entrare.
E avendo il frate passato tutta la pianura con grande angoscia e pena, e l'Agnolo
gli dice: "Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare". Risponde
costui: "Oime, quanto sei crudele guidatore, che mi vedi esser presso che morto
per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di' che io entri in questa
fornace ardente". E ragguardando costui, vide intorno alla fornace molti demoni
con le forche di ferro in mano, con le quali costui, perché indugiava d'entrare,
sospinsono dentro subitamente. Entrato che fu nella fornace, ragguarda e vide
uno ch'era stato suo compare, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda:
"O compare sventurato, e come venisti tu qua?". Ed egli risponde: "Va' un poco
più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione
della nostra dannazione". Andando il frate più oltre, eccoti apparire la detta
comare tutta affocata, rinchiusa in una misura di grano tutta di fuoco; ed egli
la domanda: "O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudele
tormento". Ed ella rispuose: "Imperò che al tempo della grande fame, la quale
santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la
biada che noi vendevamo nella misura, e però io ardo stretta in questa misura".
E dette queste parole, l'Agnolo che menava il frate sì lo sospinse fuore della
fornace, e poi gli disse: "Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale
tu hai a passare". E costui rammaricandosi dicea: "O durissimo conduttore, il
quale non m'hai nessuna compassione, tu vedi ch'io sono quasi tutto arso in
questa fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile?". E
allora l'Agnolo il toccò, e fecelo sano e forte; poi il menò ad uno ponte, il
quale non si potea passare sanza grande pericolo, imperò ch'egli era molto
sottile e stretto e molto isdrucciolente e sanza sponde d'allato, e di sotto
passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e di scarpioni, e
gittava uno grandissimo puzzo. E dissegli l'Agnolo: "Passa questo ponte, e al
tutto te lo conviene passare" Risponde costui: "E come lo potrò io passare,
ch'io non caggia in quello pericoloso fiume?". Dice l'Agnolo: "Vieni dopo me e
poni il tuo piè dove tu vedrai ch'io porrò il mio, e così passerai bene" Passa
questo frate dietro all'Agnolo, come gli avea insegnato, tanto che giunge a
mezzo il ponte; ed essendo così in sul mezzo l'Agnolo si volò via e, partendosi
da lui, se ne andò in su uno monte altissimo di là assai dal ponte. E costui
considera bene il luogo dov'era volato l'Agnolo, ma rimanendo egli sanza
guidatore e riguardando in giù vedea quegli animali tanto terribili istare con
li capi fuori dell'acqua e con le bocche aperte, apparecchiati a divorarlo s'e'
eadesse; ed era in tanto tremore, che per nessuno modo non sapea che si fare né
che si dire, però che non potea tornare addietro né andare innanzi.
Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro refugio che solo in
Dio, sì si inchinò e abbracciò il ponte e con tutto il cuore e con lagrime si
raccomanda a Dio, che per la sua santissima misericordia il dovesse soccorrere.
E fatta l'orazione, gli parve cominciare a mettere ale; di che egli con grande
allegrezza aspettava ch'elle crescessono per potere volare di là dal ponte
dov'era volato l'Agnolo. Ma dopo alcuno tempo, per la grande voglia ch'egli avea
di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l'alie non gli erano tanto
cresciute, egli cadde in sul ponte e le penne gli caddono: di che costui da capo
abbraccia il ponte e come prima raccomandasi a Dio. E fatta l'orazione, e anche
gli parve di mettere ale; ma come in prima non aspettò ch'elle crescessono
perfettamente, onde mettendosi a volare innanzi tempo, ricadde dal capo in sul
ponte, e le penne gli caddono. Per la qual cosa, veggendo che per la fretta
ch'egli avea di volare innanzi al tempo cadeva, così incominciò a dire fra se
medesimo: "Per certo che se io metto alie la terza volta, ch'io aspetterò tanto
ch'elle saranno sì grandi ch'io potrò volare senza ricadere". E stando in questi
pensieri, ed egli Si vide la terza volta mettere ali; e aspetta grande tempo,
tanto ch'ell'erano bene grandi; e pareali, per lo primo e secondo e terzo
mettere ali, avere aspettato bene cento cinquanta anni o più. Alla perfine si
lieva questa terza volta, con tutto il suo isforzo a volito, e volò insino al
luogo dov'era volato l'Agnolo.
E bussando alla porta del palagio nel quale egli era, il portinaio il domanda:
"Chi se' tu che se' venuto qua?". Rispuose: "Io son frate Minore". Dice il
portinaio: "Aspettami ch'io sì ci voglio menare santo Francesco a vedere se ti
conosce. Andando colui per santo Francesco, e questi comincia a sguardare le
mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tanto lucenti
e di tanta chiarità, che vedea chiaramente li cori de' santi e ciò che dentro si
faceva. E istando costui istupefatto in questo ragguardare, ecco venire santo
Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo santo Francesco tanta
moltitudine di santi e di sante ch'aveano seguitato la via sua, che quasi
pareano innumerabili. E giugnendo santo Francesco, disse al portinaio: "Lascialo
entrare, imperò ch'egli è de' miei frati".
E sì tosto come e' vi fu entrato, e' sentì tanta consolazione e tanta dolcezza,
che egli dimenticò tutte le tribulazioni ch'avea avute, come mai non fussino
state. E allora santo Francesco menandolo per dentro sì gli mostrò molte cose
maravigliose, e poi sì gli disse: "Figliuolo, e' ti conviene ritornare al mondo
e starai sette dì, ne' quali tu sì ti apparecchi diligentemente con grande
divozione, imperò che dopo li sette dì, io verrò per te, e allora tu ne verrai
meco a questo luogo di beati". Ed era santo Francesco ammantato d'uno mantello
maraviglioso, adornato di stelle bellissime, e le sue cinque stimate erano
siccome cinque stelle bellissime e di tanto splendore, che tutto il palagio
alluminavano con li loro raggi. E frate Bernardo avea in capo una corona di
stelle bellissime, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti
altri santi fra' tra loro conobbe, li quali al mondo non avea mai veduti
Licenziato dunque da santo Francesco, sì si ritornò, benché mal volentieri, a
mondo.
Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, li frati suonavano a Prima, sicché
non era stato in quella se non da Mattutino a Prima benché a lui fusse paruto
istare molti anni. E recitando al guardiano suo questa visione per ordine, infra
li sette dì si incominciò a febbricitare, e l'ottavo di venne per lui santo
Francesco, secondo la promessa, con grandissima moltitudine di gloriosi santi, e
menonne l'anima sua al regno de' beati, a vita eterna.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Ventisettesimo.
Come santo Francesco convertì a Bologna due scolari, e fecionsi frati; e poi all'uno di loro levò una grande tentazione da dosso.
Giugnendo una
volta santo Francesco alla città di Bologna, tutto il popolo della città correa
per vederlo; ed era sì grande la calca della gente, che a grande pena potea
giugnere alla piazza. Ed essendo tutta la piazza piena d'uomini e di donne e di
scolari, e santo Francesco si leva suso nel mezzo del luogo, alto, e comincia a
predicare quello che lo Spirito Santo gli toccava. E predicava sì
maravigliosamente, che parea piuttosto che predicasse Agnolo che uomo, e pareano
le sue parole celestiali a modo che saette acute, le quali trapassavano sì il
cuore di coloro che lo udivano, che in quella predica grande moltitudine di
uomini e di donne si convertirono a penitenza.
Fra li quali si furono due nobili studianti della Marca d'Ancona; e l'uno avea
nome Pellegrino e l'altro Rinieri; i quali due per la detta predica toccati nel
cuore dalla divina ispirazione, vennono a santo Francesco, dicendo ch'al tutto
voleano abbandonare il mondo ed essere de' suoi frati. Allora santo Francesco,
conoscendo per nvelazione che costoro erano mandati da Dio e che nello Ordine
doveano tenere santa vita e considerando il loro grande fervore, li ricevette
allegramente, dicendo a loro: "Tu, Pellegrino, tieni nell'Ordine la via
dell'umiltà; e tu, frate Rinieri, servi a' frati". E così fu: imperò che frate
Pellegrino mai non volle andare come chierico, ma come laico, benché fosse molto
litterato e grande decretalista; per la quale umiltà pervenne in grande
perfezione di virtù, in tanto che frate Bernardo, primogenito di santo
Francesco, disse di lui ch'egli era uno de' più perfetti frati di questo mondo.
E finalmente il detto frate Pellegrino, pieno di virtù passò di questa vita alla
vita beata, con molti miracoli innanzi alla morte e dopo. E detto frate Rinieri
divotamente e fedelmente serviva a' frati, vivendo in grande santità e umiltà; e
diventò molto famigliare di san Francesco, e molti secreti gli rivelava santo
Francesco. Essendo fatto ministro della Marca d'Ancona, ressela grande tempo in
grandissima pace e discrezione.
Dopo alcuno tempo, Iddio gli permise una grandissima tentazione nell'anima sua;
di che egli tribolato e angosciato, fortemente s'affligea con digiuni, con
discipline e con lagrime e orazioni il dì e la notte, e non potea però cacciare
quella tentazione; ma ispesse volte era in grande disperazione, imperò che per
essa si riputava abbandonato da Dio. Istando in questa disperazione, per ultimo
rimedio si determinò d'andare a santo Francesco, pensando così: Se santo
Francesco mi mostrerà buono viso, e mostrerammi famigliarità, sì come si suole,
io credo che Iddio m'averà ancor pietà, ma se non, sarà segnale ch'io sarò
abbandonato da Dio". Muovesi adunque costui e va a santo Francesco.
Il quale in quel tempo era nel pelagio del vescovo d'Ascesi, gravemente infermo;
e Iddio gli rivelò tutto il modo della tentazione e della disperazione del detto
frate Rinieri e 'l suo proponimento e 'l suo venire. E immantanente santo
Francesco chiama frate Lione e frate Masseo, e dice loro: "Andate tosto incontro
al mio figliuolo carissimo frate Rinieri, e abbracciatelo da mia parte, e
salutatelo e ditegli che tra tutti i frati che sono nel mondo io amo lui
singolarmente". Vanno costoro e trovano per la via frate Rinieri e abbraccianlo,
dicendogli ciò che santo Francesco aveva loro imposto. Onde tanta consolazione e
dolcezza gli fu nell'anima, che quasi egli usci di sé; e ringraziando Iddio con
tutto il cuore, andò e giunse al luogo dove santo Francesco giaceva infermo. E
benché santo Francesco fusse gravemente infermo, nientedimeno sentendo venire
frate Rinieri si levò e feceglisi incontro e abbracciollo dolcissimamente e sì
gli disse: "Figliuolo mio carissimo, frate Rinieri, tra tutti i frati che sono
nel mondo io amo te singularmente". E detto questo, gli fece il segno della
santissima croce nella sua fronte e ivi il baciò e poi gli disse: "Figliuolo
carissimo, questa tentazione t'ha permesso Iddio per tuo grande guadagno di
merito; ma se tu non vuogli più questo guadagno, non l'abbi". E maravigliosa
cosa! sì tosto come santo Francesco ebbe dette queste parole, subitamente si
partì da lui ogni tentazione, come se mai in vita sua non l'avesse sentita, e
rimase tutto consolato.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Ventottesimo.
D'uno rapimento che venne a frate Bernardo, ond'egli stette dalla mattina insino a nona ch'egli non si sentì.
grazia Iddio
facea ispesse volte a' poveri evangelici i quali abbandonavano il mondo per lo
amore di Cristo, si dimostrò in frate Bernardo da Quintavalle, il quale, poi
ch'ebbe preso l'abito di santo Francesco, sì era ratto ispessissime volte in Dio
per contemplazione delle cose celestiali. Tra l'altre avvenne che una volta,
essendo egli in chiesa ad udire la messa e stando con tutta la mente sospesa in
Dio, diventò si assorto e ratto in contemplazione che, levandosi il Corpo di
Cristo, non se ne avvide niente, né si inginocchiò, né si trasse il cappuccio,
come facevano gli altri che v'erano, ma senza battere gli occhi, così fisso
guatando, stette, dalla mattina insino a nona insensibile. E dopo nona
ritornando in sé, sì andava per lo luogo gridando con voce ammirativa: "O frati!
o frati! o frati! non è uomo in questa contrada sì grande né sì nobile, al quale
si gli fosse promesso uno palagio bellissimo pieno d'oro, non gli fosse agevole
di portare un sacco pieno di letame per guadagnare quello tesoro così nobile".
A questo tesoro celestiale, promesso agli amadori di Dio, fu frate Bernardo
predetto sì elevato con la mente, che per quindici anni continovi sempre andò
con la mente e con la faccia levata in cielo. E in quel tempo mai non si tolse
fame alla mensa, benché mangiasse, di ciò che gli era posto innanzi, un poco;
imperò ch'e' dicea che di quello che l'uomo non gusta, non fa perfetta astinenza
ma la vera astinenza è temperarsi dalle cose che sanno buone alla bocca. E con
questo venne ancora a tanta chiarità e lume d'intelligenza, che eziandio li
grandi chierici ricorreano a lui per soluzioni di fortissime quistioni e di
malagevoli passi della Scrittura; ed egli d'ogni difficoltà li dichiarava. E
imperò che la mente sua sì era al tutto sciolta e astratta delle cose terrene,
egli a modo di rondine volava molto in alto per contemplazlone; onde alcuna
volta venti dì, e alcuna volta trenta dì si stava solo in sulle cime de' monti
altissimi contemplando le cose celestiali. Per la qual cosa diceva di lui frate
Egidio che non era dato agli altri uomini questo dono ch'era dato a frate
Bernardo di Quintavalle, cioè che volando si pascesse come la rondine. E per
questa eccellente grazia ch'egli avea da Dio, santo Francesco volentieri e
spesse volte sì parlava con lui di dì e di notte; onde alcuna volta furono
trovati insieme, per tutta la notte, ratti in Dio nella selva, ove s'erano
amendue raccolti a parlare con Dio.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Ventinovesimo.
Come il demonio in forma di Crocifisso apparve più volte a frate Ruffino, dicendogli che perdea il bene che facea, però ch'egli non era degli eletti di vita eterna. Di che santo Francesco per rivelazione di Dio il seppe, e fece riconoscere a frate Ruffino il suo errore e ch'egli avea creduto.
Frate Ruffino,
uno de' più nobili uomini d'Ascesi, compagno di santo Francesco, uomo di grande
santità, fu uno tempo fortissimamente combattuto e tentato nell'anima dallo
demonio della predestinazione, di che egli stava tutto malinconioso e tristo;
imperò che l'demonio gli metteva pure in cuore ch'egli era dannato, e non era
delli predestinati a vita eterna, e che sì perdeva ciò ch'egli faceva
nell'Ordine. E durando questa tentazione più e più dì ed egli per vergogna non
rivelandolo a santo Francesco, nientedimeno egli non lasciava l'orazioni e le
astinenze usate; di che il nimico gli cominciò aggiugnere tristizia sopra
tristizia; oltra alla battaglia dentro, di fuori combattendolo anche con false
apparizioni.
Onde una volta gli apparve in forma di Crocifisso e dissegli: "O frate Ruffino,
perché t'affliggi in penitenza e in orazione, con ciò sia cosa che tu non sia
delli predestinati a vita eterna? E credimi, che io so ciò io ho eletto e
predestinato, e non credere al figliuolo di Pietro Bernardoni, s'egli ti dicesse
il contrario, e anche non lo domandare di cotesta materia, però che né egli né
altri il sa, se non io che sono figliuolo di Dio; e però credimi per certo che
tu se' del numero delli dannati; e 'l figliuolo di Pietro Bernardoni, tuo padre,
e anche il padre suo sono dannati, e chiunque il seguita è ingannato". E dette
queste parole, frate Ruffino comincia a essere sì ottenebrato dal principe delle
tenebre, che già perdeva ogni fede e amore ch'egli avea avuto a santo Francesco,
e non si curava di dirgliene nulla.
Ma quello ch'al padre santo non disse frate Ruffino, rivelò lo Spirito Santo.
Onde veggendo in ispirito santo Francesco tanto pericolo del detto frate, mandò
frate Masseo per lui, al quale frate Ruffino rispuose rimbrottando: "Che ho io a
fare con frate Francesco?". E allora frate Masseo tutto ripieno di sapienza
divina, conoscendo la fallanza del dimonio, disse: "O frate Ruffino, non sai tu
che frate Francesco è come uno agnolo di Dio, il quale ha illuminate tante anime
nel mondo e dal quale noi abbiamo avuto la grazia di Dio? Ond'io voglio ch'a
ogni partito tu venga con meco a lui, imperò ch'io ti veggio chiaramente esser
ingannato dal dimonio". E detto questo, frate Ruffino si mosse e andò a santo
Francesco.
E veggendolo dalla lunga santo Francesco venire, cominciò a gridare: "O frate
Ruffino cattivello, a cui hai tu creduto?". E giugnendo a lui frate Ruffino,
egli sì gli disse per ordine tutta la tentazione ch'egli avea avuta dal demonio
dentro e di fuori, e mostrandogli chiaramente che colui che gli era apparito era
il demonio e non Cristo, e che per nessuno modo ei dovea acconsentire alle
suggestioni: "ma quando il demonio ti dicesse più: Tu se' dannato, si gli
rispondi: Apri la bocca; mo' vi ti caco. E questo ti sia segnale, ch'egli è il
demonio e non Cristo, ché dato tu gli arai tale risposta, immantanente fuggirà.
Anche a questo cotale dovevi tu ancora conoscere ch'egli era il demonio, imperò
che t'indurò il cuore a ogni bene; la qual cosa è proprio suo ufficio: ma Cristo
benedetto non indura mai il cuore dell'uomo fedele, anzi l'ammorbida secondo che
dice per la bocca del profeta: lo vi torrò il cuore di pietra e darovvi il cuore
di carne". Allora frate Ruffino, veggendo che frate Francesco gli diceva per
ordine tutt'l modo della sua tentazione, compunto per le sue parole, cominciò a
lagrimare fortissimamente e adorare santo Francesco e umilemente riconoscere la
colpa sua in avergli celato la sua tentazione. E così rimase tutto consolato e
confortato per gli ammonimenti del padre santo e tutto mutato in meglio. Poi
finalmente gli disse santo Francesco: "Va' figliuolo, e confessati e non
lasciare lo studio della orazione usata, e sappi per certo che questa tentazione
ti sarà grande utilità e consolazione, e in breve il proverai".
Tornasi frate Ruffino alla cella sua nella selva, e standosi con molte lagrime
in orazione, eccoti venire il nemico in persona di Cristo, secondo l'apparenza
di fuori, e dicegli: "O frate Ruffino, non t'ho io detto che tu non gli creda al
figliuolo di Pietro Bernardoni, e che tu non ti affatichi in lagrime e in
orazioni, però che tu se' dannato? Che ti giova affligerti mentre tu se' vivo, e
poi quando tu morrai sarai dannato?". E subitamente frate Ruffino risponde:
"Apri la bocca; mo' vi ti caco". Di che il demonio isdegnato, immantanente si
partì con tanta tempesta e commozione di pietre di monte Subasio ch'era in alto,
che per grande spazio bastò il rovinio delle pietre che caddono giuso; ed era sì
grande il percuotere che faceano insieme nel rotolare, che sfavillavano fuoco
orribile per la valle; e al romore terribile ch'elle faceano, santo Francesco
con li compagni con grande ammirazione uscirono fuori del luogo a vedere che
novità fosse quella; e ancora vi si vede quella ruina grandissima di pietre.
Allora frate Ruffino manifestamente s'avvide che colui era stato il demonio, il
quale l'avea ingannato. E tornato a santo Francesco anche da capo, si gitta in
terra e riconosce la colpa sua. Santo Francesco il riconforta con dolci parole e
mandanelo tutto consolato alla cella Nella quale standos'egli in orazione
divotissimamente, Cristo benedetto gli apparve, e tutta l'anima sua gli riscaldò
del divino amore, e disse: "Bene facesti, figliuolo che credesti a frate
Francesco, però che colui che ti aveva contristato era il demonio. ma io sono
Cristo tuo maestro, e per rendertene ben certo io ti do questo segnale, che
mentre che tu viverai, non sentirai mai tristizia veruna né malinconia". E detto
questo, si partì Cristo, lasciandolo con tanta allegrezza e dolcezza di spirito
ed allevazione di mente, che 'l di e la notte era assorto e ratto in Dio E
d'allora innanzi fu sì confermato in grazia e in sicurtà della sua salute, che
tutto diventò mutato in altro uomo, e sarebbesi stato il dì e la notte in
orazione a contemplare le cose divine s'altri l'avesse lasciato stare. Onde
dicea santo Francesco di lui, che frate Ruffino era in questa vita canonizzato
da Cristo, e che, fuori che dinanzi da lui, egli non dubiterebbe di dire santo
Ruffino, benché fusse ancora vivo in terra.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentesimo.
Della bella predica che feceno in Ascesi santo Francesco e frate Ruffino, quando eglino predicarono ignudi
Era il detto
frate Ruffino, per continova contemplazione, sì assorto in Dio, che quasi
insensibile e mutolo diventò, radissime volte parlava, e appresso non aveva la
grazia né lo ardire né la facundia del predicare. E nientedimeno santo Francesco
gli comandò una volta che egli andasse a Sciesi, e predicasse al popolo ciò che
Iddio gli spirasse. Di che Frate Ruffino rispuose: "Padre reverendo, io ti
priego che tu mi perdoni e non mi mandi; imperò che, come tu sai lo non ho la
grazia del predicare e sono semplice e idiota" E allora disse santo Francesco:
"Però che tu non hai ubbidito prestamente ti comando per santa obbidienza che
ignudo come nascesti, colle sole brache, tu vada a Sciesi, ed entri in una
chiesa così ignudo e predichi al popolo". A questo comandamento il detto frate
Ruffino si spoglia, e vanne a Sciesi, ed entra in una chiesa, e fatta la
riverenza allo altare, salette in sul pergamo e comincia a predicare. Della qual
cosa li fanciulli e gli uomini cominciarono a ridere e diceano: "Or ecco che
costoro fanno tanta penitenza, che diventano istolti e fuori di sé".
In questo mezzo santo Francesco, ripensando della pronta obbedienza di frate
Ruffino, il quale era dei più gentili uomini d'Ascesi, ed al comandamento duro
che gli avea fatto, cominciò a riprendere se medesimo dicendo: "Onde a te tanta
prosunzione, figliuolo di Pietro Bernardoni, vile omicciuolo, a comandare a
frate Ruffino, il quale è de' più gentili uomini d'Ascesi, che vada ignudo a
predicare al popolo siccome comandare a frate Ruffino, il quale è de' più
gentili uomini d'Ascesi, che vada ignudo a predicare al popolo siccome pazzo?
Per Dio, che tu proverai in te quello che tu comandi ad altri". E di subito in
fervore di spirito si spoglia egli ignudo simigliantemente e vassene ad Ascesi,
e mena seco frate Leone, che recasse l'abito suo e quello di frate Ruffino. E
veggendolo similemente gli Ascesani, sì lo ischernirono, riputando ch'egli e
frate Ruffino fussono impazzati per la troppa penitenza. Entra santo Francesco
nella chiesa dove frate Ruffino predicava queste parole: "Carissimi, fuggite il
mondo e lasciate il peccato; rendete l'altrui, se voi volete schifare lo 'nferno;
servate li comandamenti di Dio, amando Iddio e 'l prossimo, se voi volete andare
al cielo; fate penitenza, se voi volete possedere il reame del cielo" E allora
santo Francesco monta in sul pergamo, ignudo, e cominciò a predicare così
maravigliosamente dello dispregio del mondo, della penitenza santa, della
povertà volontaria, del desiderio del reame celestiale e della ignudità e
obbrobrio della passione del nostro Signore Gesù Cristo, che tutti quelli
ch'erano alla predica, maschi e femmine in grande moltitudine, cominciarono a
piagnere fortissimamente con mirabile divozione e compunzione di cuore; e non
solamente ivi, ma per tutto Ascesi fu in quel dì tanto pianto della passione di
Cristo, che mai non v'era stato somigliante. E così edificato e consolato il
popolo dello atto di santo Francesco e di frate Ruffino, santo Francesco rivestì
frate Ruffino e sé, e così rivestiti si ritornarono al luogo della Porziuncola,
lodando e glorificando Iddio ch'aveva loro data grazia di vincere se medesimi
per dispregio di sé e edificare le pecorelle di Cristo con buono esempio, e
dimostrare quanto è da dispregiare il mondo. E in quel dì crebbe tanto la
divozione del popolo inverso di loro, che beato si reputava chi potea toccare
loro l'orlo dell'abito.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen
Capitolo Trentunesimo.
Come santo Francesco conosceva li segreti delle coscienze di tutti i suoi frati ordinatamente.
Siccome il nostro
Signore Gesù Cristo dice nell'Evangelico: lo conosco le mie pecorelle ed elleno
conoscono me ecc.; così il beato padre santo Francesco, come buono pastore,
tutti li meriti e le virtù delli suoi compagni, per divina rivelazione sapea, e
così conoscea i loro difetti; per la qual cosa egli sapea a tutti provvedere
d'ottimo rimedio, cioè umiliando li superbi, esaltando gli umili, vituperando i
vizi e laudando le virtù; siccome si legge nelle mirabili rivelazioni le quali
egli avea di quella sua famiglia primitiva.
Fra le quali si truova ch'una volta, essendo santo Francesco con la detta
famiglia in uno luogo in ragionamento di Dio, e frate Ruffino non essendo con
loro in quello ragionamento ma era nella selva in contemplazione, procedendo in
quello ragionare di Dio ecco frate Ruffino esce della selva e passò alquanto di
lungi a costoro. Allora santo Francesco, veggendolo, si rivolse alli compagni e
domandolli dicendo: "Ditemi, quale credete voi che sia la più santa anima, la
quale Iddio abbia nel mondo?". E rispondendogli costoro, dissono che credeano
che fusse la sua. E santo Francesco disse loro: "Carissimi frati, i' sono da me
il più indegno e il più vile uomo che Iddio abbia in questo mondo ma vedete voi
quel frate Ruffino il quale esce ora della selva? Iddio m'ha rivelato che
l'anima sua è l'una delle tre più sante anime del mondo, e fermamente io vi dico
che io non dubiterei di chiamarlo santo Ruffino in vita sua, con ciò sia cosa
che l'anima sua sia confermata in grazia e santificata e canonizzata in cielo
dal nostro Signore Gesù Cristo" E queste parole non diceva mai santo Francesco
in presenza del detto frate Ruffino.
Similemente, come santo Francesco conoscesse li difetti de' frati suoi, sì si
comprendé chiaramente in frate Elia, il quale spesse volte riprendea della sua
superbia; e in frate Giovanni della Cappella al quale egli predisse che si dovea
impiccare per la gola se medesimo e in quello frate al quale il demonio tenea
stretta la gola quando era corretto della sua disubbidienza; e in molti altri
frati, i cui difetti segreti e le virtù chiaramente conosceva per rivelazione di
Cristo.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentaduesimo
Come frate Masseo impetrò da Cristo la virtù della santa umiltà.
I primi compagni di
santo Francesco con tutto isforzo s'ingegnavano d'essere poveri delle cose
terrene e ricchi di virtù, per le quali si perviene alle vere ricchezze
celestiali ed eterne Addivenne un dì che, essendo eglino raccolti insieme a
parlare di Dio, l'uno di loro disse quest'esempio: "E' fu uno il quale era
grande amico di Dio, e avea grande grazia di vita attiva e di vita
contemplativa, e con questo avea sì eccessiva umiltà ch'egli si riputava
grandissimo peccatore: la quale umiltà il santificava e confermava in grazia e
facevalo continuamente crescere in virtù e doni di Dio, e mai non lo lasciava
cadere in peccato". Udendo frate Masseo così maravigliose cose della umiltà e
conoscendo ch'ella era un tesoro di vita eterna, cominciò ad essere sì
infiammato d'amore e di desiderio di questa virtù della umiltà, che in grande
fervore levando la faccia in cielo, fece voto e proponimento fermissimo di non
si rallegrare mai in questo mondo, insino a tanto che la detta virtù sentisse
perfettamente nell'anima sua. E d'allora innanzi si stava quasi di continuo
rinchiuso in cella, macerandosi con digiuni, vigilie, orazioni, e pianti
grandissimi dinanzi a Dio, per impetrare da lui questa virtù, sanza la quale
egli si reputava degno dello inferno e della quale quello amico di Dio, ch'egli
avea udito, era così dotato.
E standosi frate Masseo per molti dì in questo disiderio, addivenne ch'un dì
egli entrò nella selva e in fervore di spirito andava per essa gittando lagrime,
sospiri e voci, domandando con fervente desiderio a Dio questa virtù divina. E
però che Iddio esaudisce volentieri le orazioni degli umili e contriti, istando
così frate Masseo, venne una voce dal cielo la quale il chiamò due volte: "Frate
Masseo, frate Masseo!". Ed egli conoscendo per ispirito che quella era voce di
Cristo, sì rispuose: "Signore mio!". E Cristo a lui: "E che vuoi tu dare per
avere questa grazia che tu domandi.".
Risponde frate Masseo: "Signore, voglio dare gli occhi del capo mio". E Cristo a
lui: "E io voglio che tu abbi la grazia e anche gli occhi". E detto questo, la
voce disparve; e frate Masseo rimase pieno di tanta grazia della disiderata
virtù della umiltà e del lume di Dio, che d'allora innanzi egli era sempre in
giubilo; e spesse volte quand'egli orava, faceva sempre un giubilo informe e con
suono a modo di colomba ottuso: U U U, e con faccia lieta e cuore giocondo
istava così in contemplazione. E con questo, essendo divenuto umilissimo, si
riputava minore di tutti gli uomini del mondo.
Domandato da frate Iacopo da Fallerone, perché nel suo giubilo egli non mutava
verso, rispuose con grande letizia che, quando in una cosa si truova ogni bene,
non bisogna mutare verso.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentatreesimo.
Come santa Chiara, per comandamento del Papa, benedisse il pane il quale era in tavola; di che in ogni pane apparve il segno della santa croce.
Santa Chiara, divotissima discepola della croce di Cristo
e nobile pianta di messer santo Francesco, era di tanta santità che non
solamente i Vescovi e' Cardinali, ma eziandio il Papa disiderava con grande
affetto di vederla e di udirla e ispesse volte la visitava personalmente.
Infra l'altre volte andò il Padre santo una volta al munistero a lei per udirla
parlare delle cose celestiali e divine; ed essendo così insieme in diversi
ragionamenti, santa Chiara fece intanto apparecchiare le mense e porvi suso il
pane, acciò che il Padre santo il benedicesse. Onde, compiuto il ragionamento
ispirituale, santa Chiara inginocchiandosi con grande reverenza sì lo priega che
gli piaccia benedire il pane posto a mensa. Risponde il santo Padre:
"Suora Chiara fedelissima, io voglio che tu benedica cotesto pane tu e faccia
sopra ad essi il segno della santissima croce di Cristo, al quale tu ti se'
tutta data". E santa Chiara dice: "Santissimo Padre, perdonatemi, ch'io sarei
degna di troppo grande riprensione, se innanzi al Vicario di Cristo io, che sono
una vile femminella, presumessi di fare cotale benedizione". E 'l Papa rispuose:
"Acciò che questo non sia imputato a presunzione, ma a merito d'ubbidienza, io
ti comando per santa obbidienza che sopra questo pane tu faccia il segno della
santissima croce e benedicalo nel nome di Dio". Allora santa Chiara, siccome
vera figliuola della obbidienza, que' pani divotissimamente benedisse col segno
della santissima croce di Cristo. Mirabile cosa! subitamente in tutti quelli
pani apparve il segno della croce intagliato bellissimo. E allora di que' pani
parte ne fu mangiato e parte per lo miracolo riserbati. E il Padre santo veduto
ch'ebbe il miracolo, prendendo del detto pane e ringraziando Iddio si partì,
lasciando santa Chiara colla sua benedizione.
In quel tempo dimorava in quel monastero suora Ortulana madre di santa Chiara, e
suora Agnese sua sirocchia, amendue insieme con santa Chiara piene di virtù e di
Spirito Santo, e con molte altre sante monache. Alle quali santo Francesco
mandava di molti infermi; ed elleno con le loro orazioni e col segno della
santissima croce a tutti rendevano sanità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentaquattresimo.
Come santo Lodovico re di Francia personalmente, in forma di pellegrino, andò a Perugia a visitare il santo frate Egidio.
Andò santo Lodovico re di Francia in peregrinaggio a
visitare li Santuari per lo mondo, e udendo la fama grandissima della santità.
di frate Egidio, il quale era stato de' primi compagni di santo Francesco, si
puose in cuore e diterminò al tutto di visitarlo personalmente. Per la qual cosa
egli venne a Perugia, ove dimorava allora il detto frate Egidio.
E giugnendo alla porta del luogo de' frati, come un povero pellegrino e
sconosciuto, con pochi compagni, domanda con grande istanza frate Egidio, non
dicendo niente al portinaio chi egli fussi che 'l domandava. Va adunque il
portinaio a frate Egidio e dice che alla porta è uno pellegrino che n'addimanda,
e da Dio gli fu ispirato e rivelato in ispirito ch'egli era il re di Francia; di
che subitamente con grande fervore esce di cella e corre alla porta, e senza
altro domandare, o che mai eglino s'avessino veduti, insieme con grandissima
divozione inginocchiandosi, s'abbracciarono insieme e baciaronsi con tanta
dimestichezza, come se per lungo tempo avessino tenuta grande amistà insieme, ma
per tutto questo non parlavano nulla l'uno all'altro, ma stavano così
abbracciati con quelli segni d'amore caritativo in silenzio. Ed istati che
furono per grande spazio nel detto modo senza dirsi parola insieme, si partirono
l'uno dall'altro; e santo Lodovico se n'andò al suo viaggio, e frate Egidio si
tornò alla cella. Partendosi il re, un frate domandò alcuno de' suoi compagni
chi era colui che s'era cotanto abbracciato con santo Egidio; e colui rispuose
ch'egli era Lodovico re di Francia, lo quale era venuto per vedere frate Egidio.
Di che dicendolo costui agli altri frati, eglino n'ebbono grandissima malinconia
che frate Egidio non gli avea parlato parola; e rammaricandosene, sì gli
dissono: "O frate Egidio, perché se' tu stato tanto villano, che uno così fatto
re, il quale è venuto di Francia per vederti e per udire da te qualche buona
parola, e tu non gli hai parlato niente?". Rispuose frate Egidio: "O carissimi
frati, non vi maravigliate di ciò; imperò che né egli a me né io a lui pote'
dire parola, però che sì tosto come noi ci abbracciammo insieme, la luce della
divina sapienza rivelò e manifestò a me il cuore suo e a lui il mio; e così per
divina operazione ragguardandoci ne' cuori, ciò ch'io volea dire a lui ed egli a
me troppo meglio conoscemmo che se noi ci avessimo parlato con la bocca, e con
maggiore consolazione, e se noi avessimo voluto esplicare con voce quello che
noi sentivamo nel cuore, per lo difetto della lingua umana, la quale non può
chiaramente esprimere li misteri segreti di Dio, ci sarebbe stato piuttosto a
sconsolazione che a consolazione. E però sappiate di certo che il re si partì
mirabilmente consolato".
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentacinquesimo.
Come essendo inferma santa Chiara, fu miracolosamente portata la notte della pasqua di Natale alla chiesa di santo Francesco, ed ivi udì l'ufficio.
Essendo una volta santa Chiara gravemente inferma, sicché
ella non potea punto andare a dire l'ufficio in chiesa con l'altre monache,
vegnendo la solennità della natività di Cristo, tutte l'altre andarono al
mattutino; ed ella si rimase nel letto, mal contenta ch'ella insieme con l'altre
non potea andare ad avere quella consolazione ispirituale. Ma Gesù Cristo suo
sposo, non volendola lasciare così sconsolata, sì la fece miracolosamente
portare alla chiesa di santo Francesco ed essere a tutto l'ufficio del mattutino
e della messa della notte, e oltre a questo ricevere la santa comunione, e poi
riportarla al letto suo.
Tornando le monache a santa Chiara, compiuto l'ufficio in santo Damiano, sì le
dissono: "O madre nostra suora Chiara, come grande consolazione abbiamo avuta in
questa santa natività! Or fusse piaciuto a Dio, che voi fossi stata con noi!". E
santa Chiara risponde: "Grazie e laude ne rendo al nostro Signore Gesù Cristo
benedetto, sirocchie mie e figliuole carissime, imperò che ad ogni solennità di
questa santa notte, e maggiori che voi non siate state, sono stata io con molta
consolazione dell'anima mia; però che, per procurazione del padre mio santo
Francesco e per la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, io sono stata presente
nella chiesa del venerabile padre mio santo Francesco, e con li miei orecchi
corporali e mentali ho udito tutto l'ufficio e il sonare degli organi ch'ivi s'è
fatto, ed ivi medesimo ho presa la santissima comunione. Onde di tanta grazia a
me fatta rallegratevi e ringraziate Iddio".
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
San Francesco d'Assisi
I "Fioretti"
Capitolo Trentaseiesimo.
Come santo Francesco dispuose a frate Lione una bella visione ch'avea veduta.
Una volta che santo Francesco era gravemente infermo e
frate Lione gli servia, il detto frate Lione, stando in orazione presso a santo
Francesco, fu ratto in estasi e menato in ispirito ad uno fiume grandissimo,
largo e impetuoso. E istando egli a guatare chi passava, egli vide alquanti
frati incaricati entrare in questo fiume, li quali subitamente erano abbattuti
dallo empito del fiume ed affogavano, alquanti altri s'andavano insino al terzo
del fiume, alquanti insino al mezzo del fiume, alquanti insino appresso alla
proda, i quali tutti, per l'empito del fiume e per li pesi che portavano
addosso, finalmente cadevano e annegavano. Veggendo ciò, frate Lione avea loro
grandissima compassione; e subitamente, stando così, eccoti venire una grande
moltitudine di frati e sanza nessuno incarico o peso di cosa nessuna, ne' quali
rilucea la santa povertà ed entrano in questo fiume e passano di là sanza nessun
pericolo. E veduto questo, frate Lione ritornò in sé. E allora santo Francesco,
sentendo in ispirito che frate Lione avea veduta alcuna visione, sì lo chiamò a
sé e domandollo di quello ch'egli avea veduto; e detto che gli ebbe frate Lione
predetto tutta la visione per ordine, disse santo Francesco: "Ciò che tu hai
veduto è vero. Il grande fiume è questo mondo, i frati ch'affogavano nel fiume
sì son quelli che non seguitano la evangelica professione e spezialmente quanto
all'altissima povertà, ma coloro che sanza pericolo passavano, sono que' frati
li quali nessuna cosa terrena né carnale cercano né posseggono in questo mondo,
ma avendo solamente il temperato vivere e vestire, sono contenti seguitando
Cristo ignudo in croce, e il peso e il giogo soave di Cristo e della santissima
obbidienza portano allegramente e volentieri; e però agevolmente della vita
temporale passano a vita eterna"
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentasettesimo
Come Gesù Cristo benedetto, a priego di santo Francesco, fece convertire uno ricco e gentile cavaliere e farsi frate, il quale avea fatto grande onore e profferta a santo Francesco.
Santo Francesco servo di Cristo, giugnendo una sera al
tardi a casa d'un grande gentile uomo e potente, fu da lui ricevuto ad albergo,
egli e 'l compagno, come agnoli di Dio, con grandissima cortesia e divozione.
Per la qual cosa santo Francesco gli puose grande amore, considerando che nello
entrare della casa egli sì lo avea abbracciato e baciato amichevolmente, e poi
gli avea lavati i piedi e rasciutti e baciati umilemente, e racceso un grande
fuoco e apparecchiata la mensa di molti buoni cibi, e mentre costui manglava,
con allegra faccia serviva continovamente. Or, mangiato ch'ebbe santo Francesco
e 'l compagno, sì disse questo gentile uomo: "Ecco, padre mio, io vi proffero me
e le mie cose, quandunque avete bisogno di tonica o di mantello o di cosa
veruna, comperate e io pagherò; e vedete che io sono apparecchiato di
provvedervi in tutti i vostri bisogni, però che per la grazia di Dio io posso,
con ciò sia così che io abbondi in ogni bene temporale, e però per amore di Dio,
che me l'ha dato, io ne fo volentieri beni alli poveri suoi".
Di che veggendo santo Francesco tanta cortesia e amorevolezza in lui e le larghe
profferte, concedettegli tanto amore, che poi partendosi egli andava dicendo col
compagno suo: "Veramente questo gentile uomo sarebbe buono per la nostra
religione e compagnia, il quale è così grato e conoscente inverso Iddio e così
amorevole e cortese allo prossimo e alli poveri. Sappi, frate carissimo, che la
cortesia è una delle proprietà di Dio, il quale dà il suo sole e la sua piova
alli giusti e agli ingiusti per cortesia; e la cortesia si è sirocchia della
carità, la quale spegne l'odio e conserva l'amore. E perché io ho conosciuto in
questo buono uomo tanta virtù divina, volentieri lo vorrei per compagno; e però
io voglio che noi torniamo un dì a lui, se forse Iddio gli toccasse il cuore a
volersi accompagnare con noi nel servigio di Dio; e in questo mezzo noi
pregheremo Iddio che gli metta in cuore questo desiderio e diagli grazia di
metterlo in effetto". Mirabile cosa! ivi a pochi dì, fatto ch'ebbe santo
Francesco l'orazione, Iddio mise questo desiderio nel cuore di questo gentile
uomo; e disse santo Francesco al compagno: "Andiamo, fratello mio, all'uomo
cortese, imperò ch'io ho certa speranza in Dio ch'egli con la cortesia delle
cose temporali, donerà se medesimo e sarà nostro compagno". E andarono. Vegnendo
appresso alla casa sua, disse santo Francesco al compagno: "Aspettami un poco,
imperò che io voglio in prima pregare a Dio che faccia prospero il nostro
cammino, che la nobile preda, la quale noi pensiamo di torre al mondo, piaccia a
Cristo di concedere a noi poverelli e deboli, per la virtù della sua santissima
passione". E detto questo, si puose in orazione in luogo ch'e' poteva essere
veduto dal detto uomo cortese; onde, come piacque a Dio, guatando colui in là e
in qua, ebbe veduto santo Francesco stare in orazione divotissimamente dinanzi a
Cristo, il quale con grande chiarità gli era apparito nella detta orazione e
stava dinanzi a lui; e in questo istare così, vedea santo Francesco essere per
buono spazio levato da terra corporalmente. Per la qual cosa egli fu sì toccato
da Dio e ispirato a lasciare il mondo, che di presente egli uscì fuori dal
palagio suo e in fervore di spirito corre verso santo Francesco, e giugnendo a
lui, il quale stava in orazione, gli si inginocchiò a' piedi e con grandissima
istanza e divozione il pregò che gli piacesse di riceverlo e fare penitenza
insieme con seco. Allora santo Francesco, veggendo che la sua orazione era
esaudita da Dio - e che quello ch'e' disiderava, quello gentile uomo addomandava
con grande istanza, lievasi suso in fervore e in letizia di spirito e abbraccia
e bacia costui, divotissimamente ringraziando Iddio, il quale uno così fatto
cavaliere avea accresciuto alla sua compagnia. E dicea quello gentile uomo a
santo Francesco: "Che comandi tu, che io faccia, padre mio? Ecco ch'io sono
apparecchiato al tuo comandamento, dare a' poveri ciò ch'io posseggo, e teco
seguitare Cristo, così iscaricato d'ogni cosa temporale".
E così fece, secondo il consiglio di santo Francesco, ch'egli distribuì il suo
a' poveri ed entrò nell'Ordine, e vivette in grande penitenza e santità di vita
e conversazione onesta.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentottesimo.
Come santo Francesco conobbe in ispirito che frate Elia era dannato e dovea morire fuori dell'Ordine; il perché a' prieghi di frate Elia fece orazione a Cristo per lui e fu esaudito.
Dimorando una volta in un luogo insieme di famiglia santo
Francesco e frat'Elia, fu rivelato da Dio a santo Francesco che frate Elia era
dannato e dovea apostolare dall'Ordine e finalmente morire fuori dell'Ordine.
Per la qual cosa santo Francesco concepette una cotale displicenza inverso di
lui, in tanto che non gli parlava né conversava con lui; e se avvenia alcuna
volta che frate Elia andasse inverso di lui egli torcea la via e andava
dall'altra parte per non si scontrare con lui. Di che frate Elia si cominciò ad
avvedere e comprendere che santo Francesco avea dispiacere di lui; onde volendo
sapere la cagione, un di s'accostò a santo Francesco per parlargli; e ischifando
santo Francesco, frate Elia sì lo ritenne cortesemente per forza e cominciollo a
pregare discretamente che gli piacesse di significargli la cagione per la quale
egli ischifava così la sua compagnia e 'l parlare con seco. E santo Francesco
gli risponde: "La cagione si è questa, imperò che a me è suto rivelato da Dio
che tu per li tuoi peccati apostaterai dell'Ordine e morrai fuori dell'Ordine, e
anche m'ha Iddio rivelato che tu sei dannato". Udendo questo, frate Elia si dice
così: "Padre mio reverendo, io ti priego per lo amore di Cristo, che per questo
tu non mi ischifi né iscacci da te; ma come buono pastore, ad esempio di Cristo,
ritruova e ricevi la pecora che perisce, se tu non l'aiuti; e priega Iddio per
me che, se può essere, e' rivochi la sentenza della mia dannazione; imperò che
si truova scritto che Iddio sa mutare la sentenza, se il peccatore ammenda il
suo peccato; e io ho tanta fede nelle tue orazioni, che se io fossi nel mezzo
dello inferno, e tu facessi per me orazione a Dio, io sentirei alcun rifrigerio;
onde ancora io ti priego che me peccatore tu raccomandi a Dio, il quale si venne
per salvare i peccatori, che mi riceva alla sua misericordia". E questo dicea
frate Elia con grande divozione e lagrime; di che santo Francesco come pietoso
padre, gli promise di pregare Iddio per lui; e così fece.
E pregando Iddio divotissimamente per lui, intese per rivelazione che la sua
orazione era da Dio esaudita quanto alla revocazione della sentenza della
dannazione di frate Elia, che finalmente l'anima sua non sarebbe dannata, ma che
per certo egli s'uscirebbe dell'Ordine e fuori dell'Ordine morrebbe. E così
addivenne; imperò che, ribellandosi dalla Chiesa Federigo re di Cicilia ed
essendo iscomunicato dal Papa egli e chiunque gli dava aiuto o consiglio; il
detto frate Elia, il quale era reputato uno de' più savi uomini del mondo,
richiesto dal detto re Federigo, s'accostò a lui e diventò ribelle della Chiesa
e apostata dell'Ordine; per la quale cosa fu iscomunicato dal Papa e privato
dell'abito di santo Francesco.
E stando così iscomunicato, infermò gravemente; la cui infermità udendo uno suo
fratello frate laico, il quale era rimasto nell'Ordine ed era uomo di buona vita
e onesta, sì lo andò a visitare, e tra l'altre cose si gli disse: "Fratello mio
carissimo, molto mi dolgo che tu se' iscomunicato e fuori dell'Ordine tuo, e
così ti morrai; ma se tu vedessi o via o modo per lo quale io ti potessi trarre
di questo pericolo, volentieri ne prenderei per te ogni fatica". Risponde frate
Elia: "Fratello mio, non ci veggo altro modo se non che tu vadi al Papa, e
priegalo che per lo amore di Dio e di santo Francesco suo servo, per li cui
ammaestramenti io abbandonai il mondo, m'assolva della sua iscomunicazione e
restituiscami l'abito della Religione". Dice questo suo fratello che volentieri
s'affaticherà per la sua salute: e partendosi da lui, se ne andò alli piè del
santo Papa, pregandolo umilemente che faccia grazia al suo fratello per lo amore
di Cristo e di san Francesco suo servo. E come piacque a Dio, il Papa gliel
concedette: che tornasse e, se e' ritrovasse vivo frate Elia, si lo assolvesse
dalla sua parte della iscomunicazione e ristituissegli l'abito. Di che costui si
parte lieto e con grande fretta ritorna a frate Elia, e trovalo vivo, ma quasi
in su la morte, e si lo assolvette della scomunicazione; e rimettendogli
l'abito, frate Elia passò di questa vita, e l'anima sua fu salva per li meriti
di santo Francesco e per la sua orazione, nella quale frate Elia avea avuta sì
grande isperanza.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Trentanovesimo
Della maravigliosa predica la quale fece santo Antonio da Padova frate minore in consistorio.
Il maraviglioso vasello dello Spirito Santo messer santo
Antonio da Padova, uno degli eletti discipoli e compagni di santo Francesco, il
quale santo Francesco chiamava suo vescovo, una volta predicando in consistorio
dinanzi al Papa e a' Cardinali, nel quale consistorio erano uomini di diverse
nazioni, cioè greca, latina, francesca, tedesca, ischiavi e inghilesi e d'altre
diverse lingue del mondo, infiammato dallo Spirito Santo, sì effcacemente, sì
divotamente, sì sottilemente, sì dolcemente, sì chiaramente e sì intendevolmente
propuose la parola di Dio, che tutti quelli che erano in consistorio, quantunque
fossino di diversi linguaggi, chiaramente intendeano tutte le sue parole
distintamente, siccome egli avesse parlato in linguaggio di ciascuno di loro; e
tutti stavano istupefatti, e parea che fusse rinnovato quello antico miracolo
degli Apostoli al tempo della Pentecoste, li quali parlavano per la virtù dello
Spirito Santo in ogni lingua.
E diceano insieme l'uno coll'altro con ammirazione: "Non è di Spagna costui che
predica? e come udiamo tutti noi in suo parlare il nostro linguaggio delle
nostre terre?". Il Papa simigliantemente, considerando e maravigliandosi della
profondità delle sue parole, disse: "Veramente costui è arca del Testamento e
armario della Iscrittura divina".
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantesimo.
Del miracolo che Iddio fece quando santo Antonio, essendo a Rimino, predicò a' pesci del mare.
Volendo Cristo benedetto dimostrare la grande santità del
suo fedelissimo servo messere santo Antonio, e come divotamente era da udire la
sua predicazione e la sua dottrina santa; per gli animali non ragionevoli una
volta tra l'altre, cioè per li pesci, riprese la sciocchezza degli infedeli
eretici, a modo come anticamente nel vecchio Testamento per la bocca dell'asina
avea ripresa la ignoranza di Balaam. Onde essendo una volta santo Antonio a
Rimino, ove era grande moltitudine d'eretici, volendoli riducere al lume della
vera fede e alla via della verità, per molti dì predicò loro e disputò della
fede di Cristo e della santa Scrittura, ma eglino, non solamente non
acconsentendo alli suoi santi parlari, ma eziandio come indurati e ostinati non
volendolo udire, santo Antonio un dì per divina ispirazione sì se ne andò alla
riva del fiume allato al mare; e standosi così alla riva tra 'l mare e 'l fiume,
cominciò a dire a modo di predica, dalla parte di Dio alli pesci: "Udite la
parola di Dio voi, pesci del mare e del fiume, dappoi che gl'infedeli eretici la
schifano d'udire". E detto ch'egli ebbe così, subitamente venne alla riva a lui
tanta moltitudine di pesci grandi, piccoli e mezzani, che mai in quel mare né in
quel fiume non ne fu veduta sì grande moltitudine; e tutti teneano i capi fuori
dell'acqua e tutti stavano attenti verso la faccia di santo Antonio, e tutti in
grandissima pace e mansuetudine e ordine: imperò che dinanzi e più presso alla
riva istavano i pesciolini minori, e dopo loro istavano i pesci mezzani, poi di
dietro, dov'era l'acqua più profonda, istavano i pesci maggiori.
Essendo dunque in cotale ordine e disposizione allogati li pesci, santo Antonio
cominciò a predicare solennemente e dice così: "Fratelli miei pesci, molto siete
tenuti, secondo la vostra possibilità, di ringraziare il Creatore che v'ha dato
così nobile elemento per vostra abitazione, sicché, come vi piace, avete l'acque
dolci e salse e havvi dati molti refugi a schifare le tempeste, havvi ancora
dato elemento chiaro e trasparente e cibo per lo quale voi possiate vivere.
Iddio vostro creatore cortese e benigno quando vi creò, sì vi diede comandamento
di crescere e di multiplicare, e diedevi la sua benedizione. Poi quando fu il
diluvio generalmente, tutti quanti gli altri animali morendo, voi soli riserbò
Iddio senza danno. Appresso v'ha date l'ali per potere discorrere dovunque vi
piace. A voi fu conceduto, per comandamento di Dio, di serbare Giona profeta e
dopo il terzo dì gittarlo a terra sano e salvo. Voi offeriste lo censo al nostro
Signore Gesù Cristo, il quale egli come poverello non aveva di che pagare. Voi
fusti cibo dello eterno re Gesù Cristo innanzi resurrezione e dopo, per
singolare mistero. Per le quali tutte cose molto siete tenuti di lodare e di
benedire Iddio, che v'ha dati e tanti e tali benefici più che all'altre
creature". A queste e simiglianti parole e ammaestramenti di santo Antonio,
cominciarono li pesci aprire la bocca e inchinaron li capi, e con questi e altri
segnali di reverenza, secondo li modi a loro possibili, laudarono Iddio. Allora
santo Antonio vedendo tanta reverenza de' pesci inverso di Dio creatore,
rallegrandosi in ispirito, in alta voce disse: "Benedetto sia Iddio eterno, però
che più l'onorano i pesci acquatici che non fanno gli uomini eretici, e meglio
odono la sua parola gli animali non ragionevoli che li uomini infedeli". E
quanto santo Antonio più predicava, tanto la moltitudine de' pesci più crescea,
e nessuno si partia del luogo ch'avea preso.
A questo miracolo cominciò a correre il popolo della città fra li quali vi
trassono eziandio gli eretici sopraddetti; i quali vedendo lo miracolo così
maraviglioso e manifesto, compunti ne' cuori, tutti si gittavano a' piedi di
santo Antonio per udire la sua predica. E allora santo Antonio cominciò a
predicare della fede cattolica, e sì nobilemente ne predicò, che tutti quegli
eretici convertì e tornarono alla vera fede di Cristo, e tutti li fedeli ne
rimasono con grandissima allegrezza confortati e fortificati nella fede. E fatto
questo, santo Antonio licenziò li pesci colla benedizione di Dio, e tutti si
partirono con maravigliosi atti d'allegrezza, e similemente il popolo. E poi
santo Antonio stette in Arimino per molti dì, predicando e facendo molto frutto
spirituale d'anime.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantunesimo.
Come il venerabile frate Simone liberò di una grande tentazione un frate, il quale per questa cagione voleva uscire fuori dell'Ordine.
Intorno al principio dell'Ordine, vivendo santo Francesco,
venne all'Ordine uno giovane d'Ascesi, il quale fu chiamato frate Simone, il
quale Iddio adornò e dotò di tanta grazia e di tanta contemplazione e elevazione
di mente, che tutta la sua vita era specchio di santità, secondo ch'io udii da
coloro che lungo tempo furono con lui. Costui rarissime volte era veduto fuori
di cella e, se alcuna volta stava co' frati, sempre parlava di Dio. Costui non
avea mai apparato grammatica, e nientedimeno sì profondamente e sì altamente
parlava di Dio e dell'amore di Cristo, che le sue parole pareano parole
soprannaturali. Onde una sera egli essendo ito nella selva con frate Iacopo da
Massa per parlare di Dio e parlando dolcissimamente del divino amore, istettono
tutta la notte in quel parlare, e la mattina parea loro essere stato pochissimo
ispazio di tempo, secondo che mi recitò il detto frate Iacopo. E 'l detto frate
Simone sì aveva in tanta soavità e dolcezza di spirito le divine illuminazioni e
visitazioni amorose di Dio, che ispesse volte, quando le sentiva venire, si
ponea in sul letto; imperò che la tranquilla soavità dello Ispirito Santo
richiedeva in lui non solo riposo dell'anima, ma eziandio del corpo. E in quelle
cotali visitazioni divine egli era molte volte ratto in Dio e diventava tutto
insensibile alle cose corporali. Onde una volta ch'egli era così ratto in Dio e
insensibile al mondo, ardea dentro del divino amore e non sentia niente di fuori
con sentimenti corporali, un frate vogliendo avere isperienza di ciò, a vedere
se fusse come parea, andò e prese uno carbone di fuoco, e si gliel puose in sul
piede ignudo: e frate Simone non ne sentì niente, e non gli fece nessuno segnale
in sul piede, benché vi stesse su per grande spazio, tanto che si spense da se
medesimo. Il detto frate Simone quando si ponea a mensa, innanzi che prendesse
cibo corporale, prendeva per sé e dava il cibo ispirituale parlando di Dio.
Per lo cui divoto parlare, si convertì una volta un giovane da San Severino, il
quale era nel secolo un giovane vanissimo e mondano, ed era nobile di sangue e
molto dilicato del suo corpo. E frate Simone ricevendo il detto giovane
all'Ordine, si serbò li suoi vestimenti secolari appo sé, ed esso istava con
frate Simone per essere informato da lui nelle osservanze regolari. Di che il
demonio, il quale s'ingegnava di storpiare ogni bene, gli mise addosso sì forte
stimolo e sì ardente tentazione di carne, che per nessuno modo costui potea
resistere. Per la qual cosa egli se ne andò a frate Simone e dissegli: "Rendimi
li miei panni ch'io ci recai del secolo imperò ch'io non posso più sostenere la
tentazione carnale". E frate Simone, avendogli grande compassione, gli dicea:
"Siedi qui, figliuolo, un poco con meco". E cominciava a parlargli di Dio,
permodo ch'ogni tentazione sì si partia, e poi a tempo ritornando la tentazione,
ed egli richiedea li panni, e frate Simone la cacciava con parlare di Dio.
E fatto così più volte, finalmente una notte l'assalì sì forte la detta
tentazione più ch'ella non solea, che per cosa del mondo non potendo resistere,
andò a frate Simone raddomandandogli al tutto li panni suoi secolari, che per
nessuno partito egli ci potea più stare. Allora frate Simone, secondo ch'egli
avea usato di fare, li fece sedere allato a sé; e parlandogli di Dio, il giovane
inchinò il capo in grembo a frate Simone per malinconia e per tristizia. Allora
frate Simone, per grande compassione che gli aveva, levò gli occhi in cielo e
pregando Iddio divotissimamente per lui, fu ratto e esaudito da Dio; onde
ritornando egli in sé, il giovane si sentì al tutto liberato di quella
tentazione, come se mai non l'avesse punto sentita.
Anzi essendosi mutato l'ardore della tentazione in ardore di Spirito Santo, però
che s'era accostato al carbone affocato, cioè a frate Simone, tutto diventò
infiammato di Dio e del prossimo, intanto ch'essendo preso una volta uno
malfattore, a cui doveano essere tratti amenduni gli occhi, costui, per
compassione se ne andò arditamente al rettore in pieno Consiglio, e con molte
lagrime e prieghi divoti addomandò che a sé fusse tratto un occhio, e al
malfattore un altro, acciò ch'e' non rimanesse privato d'amenduni. Ma veggendo
il Rettore e il Consiglio il grande fervore della carità di questo frate, si
perdonarono all'uno e all'altro.
Standosi un dì il sopradetto frate Simone nella selva in orazione e sentendo
grande consolazione nell'anima sua, una schiera di cornacchie con loro gridare
gl'incominciarono a fare noia, di che egli comandò loro nel nome di Gesù Cristo
ch'elle si dovessono partire e non tornarvi più. E partendosi allora li detti
uccelli, da indi innanzi non vi furono mai più veduti né uditi, né ivi né in
tutta la contrada d'intorno. E questo miracolo fu manifesto a tutta la custodia
di Fermo, nella quale era il detto luogo.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantaduesimo.
Di belli miracoli che fece Iddio per li santi frati frate Bentivoglia, frate Pietro da Monticello, frate Currado da Offida e come frate Bentivoglia portò un lebbroso quindici miglia in pochissimo tempo, e all'altro parlò santo Michele, e all'altro venne la Vergine Maria e puosegli il figliuolo in braccio.
La provincia della Marca d'Ancona fu anticamente, a modo
che 'l cielo di stelle, adornata di santi ed esemplari frati, li quali, a modo
che luminari di cielo, hanno alluminato e adornato l'Ordine di santo Francesco e
il mondo con esempi e con dottrina. Tra gli altri furono in prima frate Lucido
Antico, lo quale fu veramente lucente per santità e ardente per carità divina;
la cui gloriosa lingua, informata dallo Spirito Santo, facea maravigliosi frutti
in predicazione.
Un altro fu frate Bentivoglia da Santo Severino, il quale fu veduto da frate
Masseo da San Severino essere levato in aria per grande spazio istando egli in
orazione nella selva; per lo quale miracolo il devoto frate Masseo, essendo
allora piovano, lasciato il piovanato, fecesi frate Minore; e fu di tanta
santità, che fece molti miracoli in vita e in morte, ed è riposto il corpo suo a
Murro. Il sopraddetto frate Bentivoglia, dimorando una volta a Trave Bonanti
solo, a guardare e a servire a uno lebbroso, essendogli in comandamento del
Prelato di partirsi indi e andare a un altro luogo, lo quale era di lungi
quindici miglia, non volendo abbandonare quello lebbroso, con grande fervore di
carità sì lo prese e puoselosi in sulla ispalla e portollo dall'aurora insino al
levare del sole tutta quella via delle quindici miglia infino al detto luogo,
dov'egli era mandato, che si chiamava Monte Sancino. Il quale viaggio, se fusse
istato aquila, non avrebbe potuto in così poco tempo volare: e di questo divino
miracolo fu grande istupore e ammirazione in tutto quello paese.
Un altro fu frate Pietro da Monticello, il quale fu veduto da frate Servodio da
Urbino (allora essendo guardiano nel luogo vecchio d'Ancona) levato da terra
corporalmente cinque ovvero sei braccia insino appiè dello Crocifisso della
chiesa, dinanzi al quale stava in orazione. E questo frate Pietro, digiunando
una volta la quaresima di santo Michele Arcagnolo con grande divozione, e
l'ultimo dì di quella quaresima istandosi in chiesa in orazione, fu udito da un
frate giovane, il quale istudiosamente stava nascosto sotto l'altare maggiore
per vedere qualche atto della sua santità, e udito parlare con santo Michele
Arcagnolo, e le parole che diceano erano queste. Dicea santo Michele: "Frate
Pietro, tu ti se' affaticato fedelemente per me, e in molti modi hai afflitto il
tuo corpo; ecco io sono venuto a consolarti acciò che tu domandi qualunque
grazia tu vuogli, e io te la voglio impetrare da Dio". Rispondea frate Pietro:
"Santissimo Prencipe della milizia celestiale e fedelissimo zelatore dello amore
divino e pietoso protettore delle anime, io t'addomando questa grazia, che tu mi
impetri da Dio la perdonanza delle miei peccati". Rispuose santo Michele:
"Chiedi altra grazia, ché questa t'accatterò io agevolissimamente". E frate
Pietro non domandando nessuna altra cosa, l'Arcagnolo conchiuse: "Io, per la
fede e divozione la quale tu hai in me, ti procaccio cotesta grazia che tu
addimandi e molte altre". E compiuto il loro parlare, il quale durò per grande
spazio, l'Arcagnolo santo Michele si partì, lasciandolo sommamente consolato.
Al tempo di questo santo frate Pietro, fu il santo frate Currado da Offida, il
quale essendo insieme di famiglia nel luogo di Forano della custodia d'Ancona,
il detto frate Currado se ne andò un dì nella selva a contemplare di Dio, e
frate Pietro segretamente andò dirietro a lui per vedere ciò che gli
addivenisse. E frate Currado cominciò a stare in orazione e pregare
divotissimamente la Vergine Maria con grande pietà ch'ella gli accattasse questa
grazia dal suo benedetto Figliuolo, ch'egli sentisse un poco di quella dolcezza
la quale sentì santo Simeone il dì della Purificazione quand'egli portò in
braccio Gesù Salvatore benedetto. E fatta questa orazione, la misericordiosa
Vergine Maria lo esaudì: eccoti ch'apparve la Reina del cielo col suo Figliuolo
benedetto in braccio, con grandissima chiarità di lume; e appressandosi a frate
Currado, sì gli puose in braccio quello benedetto Figliuolo, il quale egli
ricevendo, divotissimamente abbracciandolo e baciandolo e strignendolosi al
petto, tutto si struggeva e risolveva in amore divino e inesplicabile
consolazione. E frate Pietro simigliantemente, il quale di nascosto vedea ogni
cosa, sentì nell'anima sua una grandissima dolcezza e consolazione. E partendo
la Vergine Maria da frate Currado, frate Pietro in fretta si ritornò al luogo,
per non essere veduto da lui; ma poiché quando frate Currado tornava tutto
allegro e giocondo, gli disse frate Pietro: "O cielico, grande consolazione hai
avuta oggi"; dicea frate Currado: "Che è quello che tu dici, frate Pietro, e che
sai tu quello che io m'abbia avuto?". "Ben so io, ben so, dicea frate Pietro,
come la Vergine Maria col suo benedetto figliuolo t'ha visitato". Allora frate
Currado, il quale come veramente umile desiderava d'essere segreto nelle grazie
di Dio, sì lo pregò che non lo dicesse a persona. E fu sì grande l'amore
d'allora innanzi tra loro due, che un cuore e una anima parea che fusse infra
loro in ogni cosa.
E 'l detto frate Currado una volta, nello luogo di Siruolo, con le sue orazioni
liberò una femmina indemoniata orando per lei tutta la notte e apparendo alla
madre sua; e la mattina si fuggì per non essere trovato e onorato dal popolo.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantatreesimo.
Come frate Currado da Offida convertì un frate giovane, molestando egli gli altri frati. E come il detto frate giovane morendo, egli apparve al detto frate Currado, pregandolo che orasse per lui. E come lo liberò per la sua orazione delle pene grandissime del purgatorio.
Il detto frate Currado da Offida, mirabile zelatore della
evangelica povertà e della regola di santo Francesco, fu di sì religiosa vita e
di sì grande merito appo Iddio, che Cristo benedetto l'onorò, nella vita e nella
morte, di molti miracoli.
Tra' quali una volta, essendo venuto al luogo d'Offida forestiere, li frati il
pregarono per l'amore di Dio e della carità, ch'egli ammonisse uno frate giovane
che era in quello luogo, lo quale si portava sì fanciullescamente e
disordinatamente e dissolutamente, che li vecchi e li giovani di quella famiglia
turbava dello ufficio divino, e delle altre regolari osservanze o niente o poco
si curava. Di che frate Currado per compassione di quello giovane e per li
prieghi de' frati, chiamò un dì a sparte il detto giovane e in fervore di carità
gli disse sì efficaci e divote parole d'ammaestramento che con la operazione
della divina grazia colui subitamente diventò, di fanciullo, vecchio di costumi
e sì obbediente e benigno e sollecito e divoto, e appresso sì pacifico e
servente e a ogni cosa virtuosa sì studioso, che come prima tutta la famiglia
era turbata per lui, così per lui tutti n'erano contenti e consolati e
fortemente l'amavano.
Addivenne, come piacque a Dio, che pochi di poi dopo questa sua conversione, il
detto giovane si morì, di che li detti frati si dolsono, e pochi di poi dopo la
sua morte, l'anima sua apparve a frate Currado, istandosi egli divotamente in
orazione dinanzi allo altare del detto convento, e sì lo saluta divotamente come
padre; e frate Currado il dimanda: "Chi se' tu?". Risponde: "Io sono l'anima di
quel frate giovane che morì in questi dì". E frate Currado: "O figliuolo mio
carissimo, che è di te?". Risponde: "Padre carissimo, per la grazia di Dio e per
la vostra dottrina, ènne bene, però ch'io non sono dannato, ma per certi miei
peccati, li quali io non ebbi tempo di purgare sofficientemente, sostegno
grandissime pene di purgatorio; ma io priego te, padre, che, come per la tua
pietà mi soccorresti, quand'io ero vivo, così ora ti piaccia di soccorrermi
nelle mie pene, dicendo per me alcuno paternostro, ché la tua orazione è molto
accettevole nel cospetto di Dio". Allora frate Currado, consentendo benignamente
alle sue preghiere e dicendo una volta il paternostro con requiem aeternam,
disse quella anima: "O padre carissimo, quanto bene e quanto refrigerio io
sento! Ora io ti priego, che tu lo dica un'altra volta". E frate Currado il dice
un'altra volta; e detto che l'ebbe, dice l'anima: "Santo padre, quando tu ori
per me, tutto mi sento alleviare; onde io ti priego che tu non resti di orare
per me". Allora frate Currado, veggendo che quella anima era così aiutata con le
sue orazioni, si disse per lui cento paternostri, e compiuti che gli ebbe, disse
quell'anima: "Io ti ringrazio, padre carissimo, dalla parte di Dio della carità
che hai avuto verso di me, imperò che per la tua orazione io sono liberato da
tutte le pene e sì me ne vo al regno celestiale". E detto questo, si part'
quella anima. Allora frate Currado, per dare allegrezza e conforto alli frati,
loro recitò per ordine tutta questa visione.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantaquattresimo.
Come a frate Currado apparve la madre di Cristo e santo Giovanni Vangelista e santo Francesco; e dissegli quale di loro portò più dolore della passione di Cristo.
tempo che dimoravano insieme nella custodia d'Ancona, nel
luogo di Forano, frate Currado e frate Pietro sopraddetti (li quali erano due
stelle lucenti nella provincia della Marca e due uomini celestiali); imperciò
che tra loro era tanto amore e tanta carità che uno medesimo cuore e una
medesima anima parea in loro due, e' si legarono insieme a questo patto, che
ogni consolazione, la quale la misericordia di Dio facesse loro, eglino se la
dovessino insieme rivelare l'uno all'altro in carità.
Fermato insieme questo patto, addivenne che un dì istando frate Pietro in
orazione e pensando divotissimamente la passione di Cristo; e come la Madre di
Cristo beatissima e Giovanni Evangelista dilettissimo discepolo e santo
Francesco erano dipinti appiè della croce, per dolore mentale crocifissi con
Cristo, gli venne desiderio di sapere quale di quelli tre avea avuto maggior
dolore della passione di Cristo, o la Madre la quale l'avea generato, o il
discepolo il quale gli avea dormito sopra il petto o santo Francesco il quale
era con Cristo crocifisso. E stando in questo divoto pensiero, gli apparve la
vergine Maria con santo Giovanni Vangelista e con santo Francesco, vestiti di
nobilissimi vestimenti di Gloria beata: ma già santo Francesco parea vestito di
più bella vista che santo Giovanni. E istando frate Pietro tutto ispaventato di
questa visione, santo Giovanni il confortò e dissegli: "Non temere, carissimo
frate, imperò che noi siamo venuti a consolarti e a dichiararti del tuo dubbio.
Sappi adunque che la Madre di Cristo ed io sopra ogni creatura ci dolemmo della
passione di Cristo, ma dopo noi santo Francesco n'ebbe maggiore dolore che
nessuno altro, e però tu lo vedi in tanta gloria". E frate Pietro il domanda:
"Santissimo Apostolo di Cristo, perché pare il vestimento di santo Francesco più
bello che'l tuo?". Risponde santo Giovanni: "La cagione si è questa: imperò che,
quando egli era nel mondo, egli portò indosso più vili vestimenti che io". E
dette queste parole, santo Giovanni diede a frate Pietro uno vestimento glorioso
il quale egli portava in mano e dissegli: "Prendi questo vestimento, il quale io
sì ho arrecato per darloti". E volendo santo Giovanni vestirlo di quello
vestimento, e frate Pietro cadde in terra istupefatto e cominciò a gridare:
"Frate Currado, frate Currado carissimo, soccorrimi tosto, vieni a vedere cose
maravigliose!". E in queste parole, questa santa visione sparve. Poi venendo
frate Currado, sì gli disse ogni cosa per ordine, e ringraziarono Iddio.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantacinquesimo
Della conversione e vita e miracoli e morte del santo frate Giovanni della Penna.
Frate Giovanni dalla Penna essendo fanciullo e scolare
nella provincia della Marca, una notte gli apparve uno fanciullo bellissimo e
chiamollo dicendo: "Giovanni, va' a santo Stefano dove predica uno de' miei
frati, alla cui dottrina credi e alle sue parole attendi, imperò che io ve l'ho
mandato; e fatto ciò, tu hai a fare uno grande viaggio e poi verrai a me". Di
che costui immantenente si levò su e sentì grande mutazione nell'anima sua. E
andando a santo Stefano, e' trovovvi una grande moltitudine di uomini e di donne
che vi stavano per udire la predica. E colui che vi dovea predicare era un frate
ch'avea nome frate Filippo, il quale era uno delli primi frati ch'era venuto
nella Marca d'Ancona, e ancora pochi luoghi erano presi nella Marca. Monta su
questo frate Filippo a predicare, e predica divotissimamente non parole di
sapienza umana, ma in virtù di spirito santo di Cristo, annunziando il reame di
vita eterna. E finita la predica, il detto fanciullo se ne andò al detto frate
Filippo, e dissegli: "Padre, se vi piacesse di ricevermi all'Ordine, io
volentieri farei penitenza e servirei al nostro Signore Gesù Cristo". Veggendo
frate Filippo e conoscendo nel detto fanciullo una maravigliosa innocenza e
pronta volontà a servire a Dio, sì gli disse: "Verrai a me cotale dì a Ricanati,
e io ti farò
ricevere". Nel quale luogo si dovea fare Capitolo provinciale. Di che il
fanciullo, il quale era purissimo, si pensò che questo fusse il grande viaggio
che dovea fare, secondo la rivelazione ch'egli avea avuto, e poi andarsene a
paradiso; così credea fare, immantanente che fusse ricevuto all'Ordine. Andò
dunque e fu ricevuto, e veggendo che li suoi pensieri non si adempievano allora,
dicendo il ministro in Capitolo che chiunque volesse andare nella provincia di
Provenza, per lo merito della santa obbidienza, egli gli darebbe la licenza;
vennegli grande desiderio di andarvi, pensando nel cuore suo che quello fusse il
grande viaggio che dovea fare inanzi ch'egli andasse a paradiso. Ma
vergognandosi di dirlo, finalmente confidandosi di frate Filippo predetto, il
quale l'avea fatto ricevere all'Ordine, sì lo pregò caramente che gli accattasse
quella grazia d'andare nella provincia di Provenza. Allora frate Filippo
veggendo la sua purità e la sua santa intenzione, sì gli accattò quella licenza
onde frate Giovanni con grande letizia si mosse a andare, avendo questa opinione
per certo che, compiuta quella via, se ne andrebbe in paradiso. Ma come piacque
a Dio, egli stette nella detta provincia venticinque anni in questa espettazione
e disiderio, vivendo in grandissima onestà e santità ed esemplarità, crescendo
sempre in virtù e grazia di Dio e del popolo, ed era sommamente amato da' frati
e da' secolari.
Istandosi un dì frate Giovanni divotamente in orazione e piangendo e
lamentandosi, perché il suo desiderio non si adempieva e che 'l suo
pellegrinaggio di cotesta vita troppo si prolungava: gli apparve Cristo
benedetto, al cui aspetto l'anima sua fu tutta liquefatta, e dissegli Cristo:
"Figliuolo frate Giovanni, addomandami ciò che tu vuogli". Ed egli risponde:
"Signore mio, io non so che mi ti addimandare altro che te, però ch'io non
disidero nessuna altra cosa, ma di questo solo ti priego, che tu mi perdoni
tutti li miei peccati e diami grazia che' io ti veggia un'altra volta quando
n'arò maggiore bisogno". Disse Cristo: "Esaudita è la tua orazione". E detto
cotesto si partì, e frate Giovanni rimase tutto consolato.
Alla perfine, udendo li frati della Marca la fama di sua santità, feciono tanto
col Generale, che gli mandò la obbedienza di tornare nella Marca, la quale
obbedienza ricevendo egli lietamente, sì si mise in cammino, pensando che,
compiuta quella via, se ne dovesse andare in cielo, secondo la promessa di
Cristo. Ma tornato ch'egli fu alla provincia della Marca, vivette in essa trenta
anni, e non era riconosciuto da nessuno suo parente, ed ogni dì aspettava la
misericordia di Dio, ch'egli gli adempiesse la promessa. E in questo tempo fece
più volte l'ufficio della guardiania con grande discrezione, e Iddio per lui
adoperò molti miracoli. E tra gli altri doni, ch'egli ebbe da Dio, ebbe spirito
di profezia; onde una volta, andando egli fuori del luogo, uno suo novizio fu
combattuto dal demonio e sì forte tentato, che egli acconsentendo alla
tentazione, diliberò in se medesimo d'uscire dell'Ordine, sì tosto come frate
Giovanni fusse tornato di fuori: la quale tentazione e deliberazione conoscendo
frate Giovanni per ispirito di profezia, immantanente ritorna a casa e chiama a
sé il detto novizio, e dice che vuole che si confessi. Ma in prima ch'egli si
confessi, sì gli recitò per ordine tutta la sua tentazione, secondo che Iddio
gli aveva rivelato, e conchiuse: "Figliuolo, imperò che tu m'aspettasti e non ti
volesti partire sanza la mia benedizione, Iddio t'ha fatta questa grazia, che
giammai di questo Ordine tu non uscirai ma morrai nell'Ordine, colla divina
grazia". Allora il detto novizio fu confermato in buona volontà e rimanendo
nell'Ordine diventò uno santo frate. E tutte queste cose recitò a me frate
Ugolino.
Il detto frate Giovanni, il quale era uomo con animo allegro e riposato e rade
volte parlava, ed era uomo di grande orazione e divozione e spezialmente dopo il
mattutino mai non tornava alla cella, ma istava in chiesa per insino a dì in
orazione; stando egli una notte dopo il mattutino in orazione, sì gli apparve l'Agnolo
di Dio e dissegli: "Frate Giovanni, egli è compiuta la via tua, la quale tu hai
tanto tempo aspettata; e però io t'annunzio dalla parte di Dio che tu addimandi
qual grazia tu vuogli. Ed anche t'annunzio che tu elegga quale tu vuogli, o uno
dì in purgatorio, o vuogli sette dì di pene in questo mondo". Ed eleggendo
piuttosto frate Giovanni li sette dì di pene di questo mondo, subitamente egli
infermò di diverse infermità, ché gli prese la febbre forte, e le gotte nelle
mani e nelli piedi, e 'l mal del fianco e molti altri mali: ma quello che peggio
gli facea si era ch'uno demonio gli stava dinanzi e tenea in mano una grande
carta iscritta di tutti li peccati ch'egli avea mai fatti o pensati e diceagli:
"Per questi peccati che tu hai fatti col pensiero e con la lingua e con le
operazioni, tu se' dannato nel profondo dello inferno". Ed egli non si ricordava
di nessuno bene ch'egli avesse mai fatto, né che fusse nell'Ordine, né che mai
vi fosse stato, ma così si pensava d'essere dannato, come il demonio gli dicea.
Onde quando egli era domandato com'egli stesse, rispondea: "Male, però che io
sono dannato". Veggendo questo i frati, sì mandarono per uno frate antico ch'avea
nome frate Matteo da Monte Robbiano, il quale era uno santo uomo e molto amico
di questo frate Giovanni. E giunto il detto frate Matteo a costui il settimo dì
della sua tribulazione, salutollo o domandollo com'egli stava. Rispuose, ched
egli stava male, perch'egli era dannato. Allora disse frate Matteo: "Non ti
ricordi tu, che tu ti se' molte volte confessato da me, ed io t'ho interamente
assolto di tutti i tuoi peccati? Non ti ricordi tu ancora che tu hai servito
sempre a Dio in questo santo Ordine molti anni?
Appresso, non ti ricordi tu che la misericordia di Dio eccede tutti i peccati
del mondo, e che Cristo benedetto nostro Salvatore pagò, per noi ricomperare
infinito prezzo? E però abbi buona isperanza, ché per certo tu se' salvo". E in
questo dire, imperò ch'egli era compiuto il termine della sua purgazione, si
partì la tentazione e venne la consolazione.
E con grande letizia disse frate Giovanni a frate Matteo: "Imperò che tu se'
affaticato e l'ora è tarda, io ti priego che tu vada a posarti". E frate Matteo
non lo volea lasciare; ma pure finalmente, a grande sua istanza, si partì da lui
ed andossi a posare. E frate Giovanni rimase solo col frate che 'l serviva. Ed
ecco Cristo benedetto viene con grandissimo splendore e con eccessiva soavità
d'odore, secondo ch'egli gli avea promesso d'apparirgli un'altra volta, cioè
quando n'avesse maggior bisogno e sì lo sanò perfettamente da ogni sua
infermità. Allora frate Giovanni con le mani giunte, ringraziando Iddio, che con
ottimo fine avea terminato il suo grande viaggio della presente misera vita, e
nelle mani di Cristo raccomandò e rendette l'anima sua a Dio, passando di questa
vita mortale a vita eterna con Cristo benedetto, il quale egli con si lungo
tempo avea disiderato e aspettato di vedere. Ed è riposto il detto frate
Giovanni nel luogo della Penna di Santo Giovanni.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantaseiesimo
Come frate Pacifico, istando in orazione, vide l'ariima di frate Umile suo fratello andare in cielo.
Nella detta provincia della Marca, dopo la morte di santo
Francesco, furono due fratelli nell'Ordine, l'uno ebbe nome frate Umile e
l'altro ebbe nome frate Pacifico; li quali furono uomini di grandissima santità
e perfezione: e l'uno, cioè frate Umile, stava in nel luogo di Soffiano ed ivi
si morì, e l'altro istava di famiglia in uno altro luogo assai lungi da lui.
Come piacque a Dio, un dì frate Pacifico, istando in orazione in luogo
solitario, fu ratto in estasi e vide l'anima del suo fratello Umile andare in
cielo diritta, sanza altra ritenzione o impedimento; la quale allora si partia
del corpo.
Avvenne che poi, dopo molti anni questo frate Pacifico che rimase, fu posto di
famiglia nel detto luogo di Soffiano, dove il suo fratello era morto. In questo
tempo li frati, a petizione de' signori di Bruforte, mutarono il detto luogo in
un altro; di che, tra l'altre cose, eglino traslatarono le reliquie de' santi
frati ch'erano morti in quello luogo. E venendo dalla sepoltura di frate Umile,
il suo fratello frate Pacifico sì prese l'ossa sue e sì le lavò con buono vino e
poi le rinvolse in una tovaglia bianca e con grande reverenza e divozione le
baciava e piagneva; di che gli altri frati si maravigliavano e non aveano di lui
buono esempio, imperò che essendo egli uomo di grande santità, parea che per
amore sensuale e secolare egli piagnesse il suo fratello, e che più divozione
egli mostrasse alle sue reliquie che a quelle degli altri frati ch'erano stati
non di minore santità che frate Umile, ed erano degne di reverenza quanto le
sue.
E conoscendo frate Pacifico la sinistra immaginazione de' frati soddisfece loro
umilmente e disse: "Frati miei carissimi, non vi maravigliate se alle ossa del
mio fratello io ho fatto quello che non ho fatto alle altre; imperò che,
benedetto sia Iddio, e' non mi ha tratto, come voi credete, amore carnale; ma ho
fatto così, però che quando il mio fratello passò di questa vita, orando io in
luogo diserto e remoto da lui, vidi l'anima sua per diritta via salire in cielo;
e però io son certo che le sue ossa sono sante e debbono essere in paradiso. E
se Iddio m'avesse conceduta tanta certezza degli altri frati, quella medesima
reverenza avrei fatta alle ossa loro". Per la quale cosa li frati, veggendo la
sua santa e divota intenzione, furono da lui bene edificati e laudarono Iddio,
il quale fa così maravigliose cose a' santi suoi frati.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantasettesimo.
Di quello santo frate a cui la Madre di Cristo apparve, quando era infermo, ed arrecogli tre bossoli di lattovaro
Nel soprannominato luogo di Soffiano fu anticamente un
frate Minore di sì grande santità e grazia, che tutto parea divino e spesse
volte era ratto in Dio. Istando alcuna volta questo frate tutto assorto in Dio
ed elevato, però ch'avea notabilmente la grazia della contemplazione, veniano a
lui uccelli di diverse maniere e dimesticamente si posavano sopra le sue spalle
e sopra il capo e in sulle mani, e cantavano meravigliosamente. Era costui molto
solitario e rade volte parlava, ma quando era domandato di cosa veruna,
rispondea sì graziosamente e sì saviamente che parea piuttosto agnolo che uomo,
ed era di grandissima orazione e contemplazione, e li frati l'aveano in grande
reverenza. Compiendo questo frate il corso della sua virtuosa vita, secondo la
divina disposizione infermò a morte, intanto che nessuna cosa potea prendere, e
con questo non volea ricevere medicina nessuna carnale, ma tutta la sua
confidenza era nel medico celestiale Gesù Cristo benedetto e nella sua benedetta
Madre; dalla quale egli meritò per divina clemenza d'essere misericordiosamente
visitato e medicato. Onde standos'egli una volta in sul letto disponendosi alla
morte con tutto il cuore e con tutta la divozione, gli apparve la gloriosa
vergine Maria madre di Cristo, con grandissima moltitudine d'agnoli e di sante
vergini, con maraviglioso splendore, e appressossi al letto suo. Ond'egli
ragguardandola prese grandissimo conforto e allegrezza, quanto all'anima e
quanto al corpo, e cominciolla a pregare umilmente ched ella prieghi il suo
diletto Figliuolo che per li suoi meriti il tragga della prigione della misera
carne. E perseverando in questo priego con molte lagrime, la vergine Maria gli
rispuose chiamandolo per nome: "Non dubitare, figliuolo, imperò ch'egli è
esaudito il tuo priego, e io sono venuta per confortarti un poco, innanzi che tu
ti parta di questa vita". Erano allato alla vergine Maria tre sante vergini, le
quali portavano in mano tre bossoli di lattovaro di smisurato odore e suavità.
Allora la Vergine gloriosa prese e aperse uno di quelli bossoli, e tutta la casa
fu ripiena d'odore; e prendendo con uno cucchiaio di quello lattovaro, il diede
allo infermo, il quale sì tosto come l'ebbe assaggiato, lo infermo sentì tanto
conforto e tanta dolcezza, che l'anima sua non parea che potesse stare nel
corpo; ond'egli incominciò a dire: "Non più, o santissima Madre vergine
benedetta, o medica benedetta e salvatrice della umana generazione; non più,
ch'io non posso sostenere tanta suavità". Ma la pietosa e benigna Madre pure
porgendo ispesso di quello lattovaro allo infermo e facendogliene prendere, votò
tutto il bossolo. Poi, votato il primo bossolo, la Vergine beata prende il
secondo e mettevi dentro il cucchiaio per dargliene; di che costui dolcemente si
rammarica dicendo: "O beatissima Madre di Dio, o se l'anima mia è quasi tutta
liquefatta per l'odore e suavità del primo lattovaro, come potrò io sostenere il
secondo? Io ti priego, benedetta sopra tutti li santi e sopra tutti gli agnoli,
che tu non me ne vogli più dare". Risponde la gloriosa donna: "Assaggia,
figliuolo, pure un poco di questo secondo bossolo". E dandogliene un poco
dissegli: "Oggimai, figliuolo, tu ne hai tanto che ti può bastare. Confortati,
figliuolo, che tosto verrò per te e menerotti al reame del mio Figliuolo, il
quale tu hai sempre desiderato e cercato".
E detto questo, accomiatandosi da lui si partì, ed egli rimase sì consolato e
confortato per la dolcezza di questo confetto, che per più dì sopravvivette
sazio e forte senza cibo nessuno corporale. E dopo alquanti dì, allegramente
parlando co' frati, con grande letizia e giubilo passò di questa misera vita.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantottesimo.
Come frate Iacopo dalla Massa vide in visione tutti i frati Minori del mondo, in visione di uno arbore, e conobbe la virtù e li meriti e li vizi di ciascuno.
Frate Iacopo della Massa, al quale Iddio aperse l'uscio
delli suoi segreti e diedegli perfetta scienza e intelligenza della divina
Scrittura e delle cose future, fu di tanta santità, che frate Egidio da Sciesi e
frate Marco da Montino e frate Ginepro e frate Lucido dissono di lui che non ne
conoscieno nessuno nel mondo appo Dio maggiore che questo frate Iacopo.
Io gli ebbi grande desiderio di vederlo, imperò che pregando io certe cose di
spirito, egli mi disse: "Se tu vuogli essere bene informato nella vita
spirituale, procaccia di parlare con frate Iacopo della Massa, imperò che frate
Egidio disiderava di essere alluminato da lui, e alle sue parole non si può
aggiugnere né scemare; imperò che la mente sua è passata a' segreti celestiali e
le parole sue sono parole dello Spirito Santo, e non è uomo sopra la terra ch'io
tanto disideri di vedere". Questo frate Iacopo, nel principio del ministero di
frate Giovanni da Parma orando una volta fu ratto in Dio e stette tre dì in
questo ratto in estasi, sospeso da ogni sentimento corporale, e istette sì
insensibile, che i frati dubitavano che non fusse morto. E in questo ratto gli
fu rivelato da Dio ciò che dovea essere e addivenire intorno alla nostra
religione; per la qual cosa, quando l'udii, mi crebbe il disiderio di udirlo e
di parlare con lui.
E quando piacque a Dio ch'io avessi agio di parlargli, io il priegai in cotesto
modo: "Se vero è questo ch'io ho udito dire di te, io ti priego che tu non me lo
tenga celato. Io ho udito che, quando tu istesti tre dì quasi morto, tra l'altre
cose che Dio ti rivelò fu ciò che dovea addivenire in questa nostra religione, e
questo ha avuto a dire frate Matteo ministro della Marca, al quale tu lo
rivelasti per obbedienza". Allora frate Iacopo con grande umiltà gli concedette
che quello che dicea frate Matteo era vero.
Il dire suo, cioè del detto frate Matteo ministro della Marca, era questo: "Io
so di frate Iacopo al quale Iddio ha rivelato ciò che addiverrà nella nostra
religione, imperò che frate Iacopo dalla Massa m'ha manifestato e detto che,
dopo molte cose che Iddio gli rivelò nello stato della Chiesa militante, egli
vide in visione un arbore bello e grande molto, la cui radice era d'oro, li
frutti suoi erano uomini e tutti erano frati Minori. Li rami suoi principali
erano distinti secondo il numero delle provincie dell'Ordine, e ciascuno ramo
avea tanti frati, quanti v'erano nella provincia improntata in quello ramo: e
allora egli seppe il numero di tutti li frati dell'Ordine e di ciascuna
provincia, e anche li nomi loro e l'età e le condizioni e gli uffici grandi e le
dignità e le grazie di tutti e le colpe. E vide frate Giovanni da Parma nel più
alto luogo del ramo di mezzo di questo arbore; e nelle vette de' rami, ch'erano
d'intorno a questo ramo di mezzo istavano li ministri di tutte le provincie. E
dopo questo vide Cristo sedere su in uno trono grandissimo e candido, il quale
Cristo chiamava santo Francesco, e davagli uno calice pieno di spirito di vita e
mandavalo dicendo: "Va' e visita li frati tuoi, e da' loro bere di questo calice
dello spirito della vita, imperò che lo ispirito di Satana si leverà contro a
loro e percoteragli, e molti di loro cadranno e non si rileveranno". E diede
Cristo a santo Francesco due Agnoli che lo accompagnassono.
E allora venne santo Francesco a porgere il calice della vita alli suoi frati, e
cominciò a porgerlo a frate Giovanni, il quale prendendolo il bevette tutto
quanto in fretta e divotamente, e subitamente diventò tutto luminoso come il
sole. E dopo lui seguentemente santo Francesco il porgeva a tutti gli altri, e
pochi ve n'erano di questi che con debita reverenza e divozione il prendessino e
bevessino tutto. Quelli che 'l prendeano divotamente e beveanlo tutto, di subito
diventavano isplendidi come il sole; e questi che tutto il versavano e non lo
prendeano con divozione diventavano neri e oscuri e isformati a vedere e
orribili, quelli che parte ne beveano e parte ne versavano, diventavano parte
luminosi e parte tenebrosi, e più e meno secondo la misura del bere e del
versare. Ma sopra tutti gli altri, il sopradetto frate Giovanni era
risplendente, il quale più compiutamente avea bevuto il calice della vita, per
lo quale egli avea più profondamente contemplato l'abisso della infinita luce
divina, e in essa avea inteso l'avversità e la tempesta la quale si dovea levare
contra la detta arbore, e crollare e commuovere i suoi rami. Per la qual cosa il
detto frate Giovanni si parte dalla cima del ramo nel quale egli stava e,
discendendo di sotto a tutti li rami, si nascose in sul sodo dello stipite dello
arbore e stavasi tutto pensoso. E frate Bonaventura, il quale avea parte preso
del calice e parte n'avea versato, salì in quello ramo e in quello luogo onde
era disceso frate Giovanni. E stando nel detto luogo, sì gli diventarono
l'unghie delle mani unghie di ferro aguzzate e taglienti come rasoi: di che egli
si mosse di quello luogo dov'egli era salito, e con empito e furore volea
gittarsi contro al detto frate Giovanni per nuocergli. Ma frate Giovanni,
veggendo questo, gridò forte e raccomandossi a Cristo, il quale sedea nel trono:
e Cristo al grido suo chiamò santo Francesco e diegli una pietra focaia
tagliente e dissegli: "Va' con questa pietra e taglia l'unghie di frate
Bonaventura, con le quali egli sì vuole graffiare frate Giovanni, sicché egli
non gli possa nuocere". Allora santo Francesco venne e fece siccome Cristo gli
avea comandato. E fatto questo, sì venne una tempesta di vento e percosse nello
arbore così forte, che li frati ne cadeano a terra, e prima ne cadeano quelli
che aveano versato tutto il calice dello spirito della vita, ed erano portati
dalli demoni in luoghi tenebrosi e penosi. Ma il detto frate Giovanni, insieme
con gli altri che aveano bevuto tutto il calice, furono traslatati dagli Agnoli
in luogo di vita e di lume eterno e di splendore beato. E sì intendea e
discernea il sopradetto frate Iacopo, che vedea la visione, particolarmente e
distintamente ciò che vedea, quanto a' nomi e condizioni e stati di ciascheduno
chiaramente. E tanto bastò quella tempesta contro allo arbore, ch'ella cadde e
il vento ne la portò. E poi, immantanente che cessò la tempesta, della radice di
questo arbore, ch'era d'oro, uscì un altro
arbore tutto d'oro, lo quale produsse foglie e fiori e frutti orati. Del quale
arbore e della sua dilatazione, profondità, bellezza e odore e virtù, è meglio a
tacere che di ciò dire al presente.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantanovesimo.
Come Cristo apparve a frate Giovanni della Vernia.
Fra gli altri
frati e santi frati e figliuoli di santo Francesco, i quali, secondo che dice
Salomone, sono la gloria del padre, fu a' nostri tempi nella detta provincia
della Marca il venerabile e santo frate Giovanni da Fermo, il quale, per lo
grande tempo che dimorò nel santo luogo della Vernia ed ivi passò di questa
vita, si chiamava pure frate Giovanni della Vernia; però che fu uomo di
singulare vita e di grande santità. Questo frate Giovanni, essendo fanciullo
secolare, disiderava con tutto il cuore la via della penitenza, la quale
mantiene la mondizia del corpo e dell'anima; onde, essendo ben piccolo
fanciullo, egli cominciò a portare il coretto di maglia e 'l cerchio di ferro
alle carni e fare grande astinenza; e spezialmente quando dimorava con li
canonici di santo Pietro di Fermo, li quali viveano splendidamente, egli fuggia
le dilizie corporali e macerava lo corpo suo con grande rigidità d'astinenza. Ma
avendo in ciò i compagni molto contrari, li quali gli spogliavano il coretto e
la sua astinenza in diversi modi impedivano; ed egli inspirato da Dio pensò di
lasciare il mondo con li suoi amadori, e offerire sé tutto nelle braccia del
Crocifisso, coll'abito del crocifisso santo Francesco. E così fece. Ed essendo
ricevuto all'Ordine così fanciullo e commesso alla cura del maestro delli
novizi, egli diventò sì ispirituale e divoto, che alcuna volta udendo il detto
maestro parlare di Dio, il cuore suo si struggea siccome la cera presso al
fuoco; e con così grande suavità di grazia sì si riscaldava nello amore divino,
ched egli, non potendo istare fermo a sostenere tanta suavità, si levava e come
ebbro di spirito si scorrea ora per l'orto, or per la selva or per la chiesa
secondo che la fiamma e l'empito dello spirito il sospignea. Poi in processo di
tempo la divina grazia continovamente fece questo angelico uomo crescere di
virtù in virtù e in doni celestiali e divine elevazioni e ratti, in tanto che
alcuna volta la mente era levata agli splendori de' Cherubini, alcuna volta agli
ardori de' Serafini, alcuna volta a' gaudii de' Beati, alcuna volta ad amorosi
ed eccessivi abbracciamenti di Cristo, non solamente per gusti ispirituali
dentro ma eziandio per espressi segni di fuori e gusti corporali. E
singularmente per eccessivo modo una volta accese il suo cuore la fiamma del
divino amore, e durò in lui cotesta fiamma ben tre anni; nel quale tempo egli
ricevea maravigliose consolazioni e visitazioni divine e ispesse volte era ratto
in Dio, e brievemente nel detto tempo egli parea tutto affocato e acceso dello
amore di Cristo. E questo fu in sul monte santo della Vernia.
Ma imperò che Iddio ha singolare cura de' suoi figliuoli, dando loro, secondo i
diversi tempi, ora consolazione, ora tribolazione ora prosperità, ora avversità,
siccome e' vede ch'abbisogna loro a mantenersi in umiltà, ovvero per accendere
più il loro desiderio alle cose celestiali; piacque alla divina bontà, dopo li
tre anni, sottrarre dello detto frate Giovanni questo raggio e questa fiamma del
divino amore, e privollo d'ogni consolazione spirituale: di che frate Giovanni
rimase sanza lume e sanza amore di Dio e tutto sconsolato e afflitto e
addolorato. Per la qual cosa egli così angoscioso se ne andava per la selva
discorrendo in qua e in là, chiamando con voce e con pianti e con sospiri il
diletto isposo dell'anima sua, il quale s'era nascosto e partito da lui, e sanza
la cui presenza l'anima sua non trovava requie né riposo; ma in nessun luogo né
in nessun modo egli potea ritrovare il dolce Gesù, né rabbattersi a quelli
soavissimi gusti ispirituali dello amore di Cristo, come gli era usato. E
durogli questa cotale tribulazione per molti dì, nelli quali egli perseverò in
continovo piagnere e in sospirare e in pregare Iddio che gli rendesse per la sua
pietà il diletto isposo dell'anima sua.
Alla perfine, quando piacque a Dio d'avere provato assai la sua pazienza e
acceso il suo desiderio, un dì che frate Giovanni, s'andava per la detta selva
così afflitto e tribolato, per lassezza si puose a sedere accostandosi ad uno
faggio, e stava colla faccia tutta bagnata di lagrime guatando inverso il cielo,
ecco subitamente apparve Gesù Cristo presso a lui nel viottolo onde esso frate
Giovanni era venuto ma non dicea nulla. Veggendolo frate Giovanni e
riconoscendolo bene che egli era Cristo, subitamente se gli gittò a' piedi e con
ismisurato pianto il pregava umilissimamente e dicea: "Soccorrimi, Signore mio,
ché sanza te, salvatore mio dolcissimo, io sto in tenebre e in pianto; e sanza
te, Agnello mansuetissimo, io sto in angoscie e in pene e in paura; sanza te,
Figliuolo di Dio altissimo, io sto in confusione e in vergogna; sanza te io sono
ispogliato d'ogni bene ed accecato, imperò che tu se' Gesù Cristo, vera luce
delle anime; sanza te io sono perduto e dannato, imperò che tu se' vita delle
anime e vita delle vite, sanza te io sono sterile e arido, però che tu se'
fontana d'ogni dono e d'ogni grazia; e sanza te io sono al tutto isconsolato;
però che tu se' Gesù nostra redenzione, amore e disiderio, pane confortativo e
vino che rallegri i cuori degli Agnoli e i cuori di tutti i Santi. Allumina me,
maestro graziosissimo e pastore piatosissimo imperò ch'io sono tua pecorella,
benché indegna sia".
Ma perché il desiderio dei santi uomini, il quale Iddio indugia ad esaudire, sì
li accende a maggiore amore e merito, Cristo benedetto si parte sanza esaudirlo
e sanza parlargli niente, e vassene per lo detto viottolo. Allora frate Giovanni
si leva suso e corregli dietro e da capo gli si gitta a' piedi, e con una santa
importunità sì lo ritiene e con divotissime lagrime il priega e dice: "O Gesù
Cristo dolcissimo, abbi misericordia di me tribolato. Esaudiscimi per la
moltitudine della tua misericordia e per la verità della tua salute, e rendimi
la letizia della faccia tua e del tuo piatoso sguardo, imperò che della tua
misericordia è piena tutta la terra". E Cristo ancora si parte e non gli parla
niente, nè gli dà veruna consolazione; e fa a modo che la madre al fanciullo
quando lo fa bramare la poppa, e fasselo venire dietro piangendo, acciò ch'egli
la prenda poi più volentieri.
Di che frate Giovanni ancora con maggiore fervore e disiderio seguita Cristo; e
giunto che egli fu a lui, Cristo benedetto si rivolge a lui e riguardollo col
viso allegro e grazioso, e aprendo le sue santissime e misericordiosissime
braccia sì lo abbracciò dolcissimamente: e in quello aprire delle braccia vide
frate Giovanni uscire dal sacratissimo petto del Salvatore raggi di luce
isplendenti, i quali alluminavano tutta la selva ed eziandio lui nell'anima e
nel corpo.
Allora frate Giovanni s'inginocchiò a' piedi di Cristo; e Gesù benedetto a modo
che alla Maddalena, gli porse il piede benignamente a baciare, e frate Giovanni,
prendendolo con somma riverenza, il bagnò di tante lagrime che veramente egli
parea un'altra Maddalena, e sì dicea divotamente: "Io ti priego, Signore mio,
che tu non ragguardi alli miei peccati, ma per la tua santissima passione e per
la isparsione del tuo santissimo sangue prezioso, resuscita l'anima mia nella
grazia del tuo amore, con ciò sia cosa che questo sia il tuo comandamento, che
noi ti amiamo con tutto il cuore e con tutto l'affetto; il quale comandamento
nessuno può adempiere sanza il tuo aiuto. Aiutami dunque, amantissimo Figliuolo
di Dio, sì ch'io ami te con tutto il mio cuore e con tutte le mie forze".
E stando così frate Giovanni in questo parlare ai pie' di Cristo, fu da lui
esaudito e riebbe da lui la prima grazia, cioè della fiamma del divino amore, e
tutto si sentì rinnovato e consolato; e conoscendo il dono della divina grazia
essere ritornato in lui, Sì cominciò a ringraziare Cristo benedetto e a baciare
divotamente li suoi piedi. E poi rizzandosi per riguardare Cristo in faccia,
Gesù gli stese e porse le sue mani santissime a baciare, e baciate che frate
Giovanni l'ebbe, sì si appressò e accostò al petto di Gesù e abbracciollo e
baciollo, e Cristo similemente abbracciò e baciò lui. E in questo abbracciare e
baciare, frate Giovanni sentì tanto odore divino, che se tutte le spezie
odorifere e tutte le cose odorose del mondo fossono istate raunate insieme,
sarebbono parute uno puzzo a comparazione di quello odore; e in esso frate
Giovanni fu ratto e consolato e illuminato, e durogli quell'odore nell'anima sua
molti mesi.
E d'allora innanzi della sua bocca, abbeverata alla fonte della divina sapienza
nel sacrato petto del Salvatore, uscivano parole maravigliose e celestiali, le
quali mutavano li cuori, che 'n chi l'udiva facevano grande frutto all'anima. E
nel viottolo della selva, nel quale stettono i benedetti piedi di Cristo, e per
buono spazio d'intorno, sentia frate Giovanni quello odore e vedea quello
isplendore sempre, quando v'andava ivi a grande tempo poi.
Ritornando in sé poi frate Giovanni dopo quel ratto e disparendo la presenza
corporale di Cristo, egli rimase così illuminato nell'anima, nello abisso della
sua divinità, che bene che non fosse uomo litterato per umano studio,
nientedimeno egli maravigliosamente solvea e dichiarava le sottilissime
quistioni ed alte della Trinità divina e li profondi misteri della santa
Iscrittura. E molte volte poi parlando dinanzi al Papa e i cardinali e re e
baroni e a' maestri e dottori, tutti li mettea in grande stupore per le alte
parole e profondissime sentenze che dicea.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantesimo.
Come dicendo messa il dì de' morti, frate Giovanni della Vernia vide molte anime liberate del purgatorio.
Dicendo una volta
il detto frate Giovanni la messa il dì dopo Ognissanti per tutte l'anime de'
morti, secondo che la Chiesa ha ordinato, offerse con tanto affetto di carità e
con tanta piatà di compassione quello altissimo Sacramento (che per la sua
efficacia l'anime de' morti desiderano sopra tutti gli altri beni che sopra
tutto a loro si possono fare) ch'egli parea tutto che si struggesse per dolcezza
di pietà e carità fraterna. Per la qual cosa in quella messa levando divotamente
il corpo di Cristo e offerendolo a Dio Padre e pregandolo che per amore del suo
benedetto figliuolo Gesù Cristo, il quale per ricomperare le anime era penduto
in croce, gli piacesse liberare delle pene del purgatorio l'anime de' morti da
lui create e ricomperate; immantanente egli vide quasi infinite anime uscire di
purgatorio, a modo che faville di fuoco innumerabili ch'uscissono d'una fornace
accesa, e videle salire in cielo per li meriti della passione di Cristo, il
quale ognindì è offerto per li vivi e per li morti in quella sacratissima ostia,
degna d'essere adorata in secula seculorum.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantunesimo
Del santo frate Iacopo da Fallerone; e come, poi che morì apparve a frate Giovanni della Vernia.
Al tempo che
frate Iacopo da Fallerone, uomo di grande santità, era gravemente infermo nel
luogo di Molliano nella custodia di Fermo; frate Giovanni della Vernia, il quale
dimorava allora al luogo della Massa, udendo della sua infermità, imperò che lo
amava come suo caro padre, si puose in orazione per lui pregando Iddio
divotamente con orazione mentale ch'al detto frate Iacopo rendesse sanità del
corpo, se fusse il meglio dell'anima. E istando in questa divota orazione, fu
ratto in estasi e vide in aria un grande esercito d'Agnoli e Santi sopra la
cella sua, ch'era nella selva, con tanto splendore, che tutta la contrada
dintorno n'era illuminata. E fra questi Agnoli vide questo frate Iacopo infermo,
per cui egli pregava, istare in vestimenti candidi tutto risplendiente. Vide
ancora tra loro il padre beato santo Francesco adornato delle sacre Istimate di
Cristo e di molta gloria. Videvi ancora e riconobbevi frate Lucido santo, e
frate Matteo antico dal monte Rubbiano e più altri frati, li quali non avea mai
veduti né conosciuti in questa vita. E ragguardando così frate Giovanni con
grande diletto quella beata schiera di Santi, sì gli fu rivelata di certo la
salvazione dell'anima del detto frate infermo, e che di quella infermità dovea
morire, ma non così di subito, e dopo la morte dovea andare a paradiso, però che
convenia un poco purgarsi in purgatorio. Della quale rivelazione il detto frate
Giovanni aveva tanta allegrezza per la salute della anima, che della morte del
corpo non si sentia niente, ma con grande dolcezza di spirito il chiamava tra se
medesimo dicendo: "Frate Iacopo, dolce padre mio; frate Iacopo, dolce mio
fratello; frate Iacopo, fedelissimo servo e amico di Dio; frate Iacopo, compagno
degli Agnoli e consorto de' Beati". E così in questa certezza e gaudio ritornò
in sé, e incontanente si partì dal luogo e andò a visitare il detto frate Iacopo
a Molliano.
E trovandolo sì gravato che appena potea parlare, sì gli annunziò la morte del
corpo e la salute e gloria dell'anima, secondo la certezza che ne aveva per la
divina rivelazione, di che frate Iacopo tutto rallegrato nello animo e nella
faccia, lo ricevette con grande letizia e con giocondo riso, ringraziandolo
delle buone novelle che gli apportava e raccomandandosi a lui divotamente.
Allora frate Giovanni il pregò caramente che dopo la morte sua dovesse tornare a
lui a parlargli del suo stato; e frate Iacopo glielo promise, se piacesse a Dio.
E dette queste parole, appressandosi l'ora del suo passamento, frate Iacopo
cominciò a dire divotamente quello verso del salmo: In pace in idipsum dormiam
et requiescam, cioè a dire: "In pace in vita eterna m'addormenterò e riposerò";
e detto questo verso, con gioconda e lieta faccia passò di questa vita. E poi
che fu soppellito, frate Giovanni si tornò al luogo della Massa e aspettava la
promessa di frate Iacopo, che tornasse a lui il di ch'avea detto. Ma il detto dì
orando egli, gli apparve Cristo con grande compagnia d'Agnoli e Santi, tra li
quali non era frate Iacopo; onde frate Giovanni, maravigliandosi molto,
raccomandollo a Cristo divotamente. Poi il dì seguente, orando frate Giovanni
nella selva, gli apparve frate Iacopo accompagnato dagli Agnoli, tutto glorioso
e tutto lieto, e dissegli frate Giovanni: "O padre carissimo, perché non se' tu
tornato a me il dì che tu mi promettesti?". Rispuose frate Iacopo: "Però ch'io
avevo bisogno d'alcuna purgazione; ma in quella medesima ora che Cristo
t'apparve e tu me gli raccomandasti, Cristo te esaudì e me liberò d'ogni pena. E
allora io apparii a frate Iacopo della Massa, laico santo, il quale serviva
messa e vide l'ostia consecrata, quando il prete la levò, convertita e mutata in
forma d'uno fanciullo vivo bellissimo, e dissigli: "Oggi con quello fanciullo me
ne vo al reame di vita eterna, al quale nessuno puote andare sanza lui". E dette
queste parole, frate Iacopo sparì e andossene in cielo con tutta quella beata
compagnia degli Agnoli; e frate Giovanni rimase molto consolato.
Morì il detto frate Iacopo da Fallerone la vigilia di santo Iacopo apostolo nel
mese di luglio, nel sopradetto luogo di Molliano, nel quale per li suoi meriti
la divina bontà adoperò dopo la sua morte molti miracoli.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantaduesimo.
Della visione di frate Giovanni della Vernia, dove egli conobbe tutto l'ordine della santa Trinità.
Il sopraddetto
frate Giovanni della Vernia, imperò che perfettamente aveva annegato ogni
diletto e consolazione mondana e temporale, e in Dio aveva posto tutto il suo
diletto e tutta la sua speranza, la divina bontà gli donava maravigliose
consolazioni e revelazioni, e spezialmente nelle solennità di Cristo, onde
appressandosi una volta la solennità della Natività di Cristo, nella quale di
certo egli aspettava consolazione da Dio della dolce umanità di Gesù, lo Spirito
santo gli mise nell'animo suo così grande ed eccessivo amore e fervore della
carità di Cristo, per la quale egli s'era aumiliato a prendere la nostra
umanità, che veramente gli parea che l'anima gli fusse tratta del corpo e
ch'ella ardesse come una fornace. Lo quale ardore non potendo sofferire,
s'angosciava e struggevasi tutto quanto e gridava ad alta voce, imperò che per
lo impeto dello Spirito santo e per lo troppo fervore dello amore non si potea
contenere del gridare. E in quell'ora che quello smisurato fervore, gli venia
con esso sì forte e certa la speranza della sua salute, che punto del mondo non
credea che, se allora fusse morto dovesse passare per lo purgatorio. E questo
amore gli durò bene da sei mesi, benché quello eccessivo fervore non avesse così
di continovo, ma gli venia a certe ore del dì.
E in questo tempo poi ricevette maravigliose visitazioni e consolazioni da Dio;
e più volte fu ratto, siccome vide quel frate il quale da prima iscrisse queste
cose. Tra le quali, una notte fu sì elevato e ratto in Dio, che vide in lui
creatore tutte le cose create e celestiali e terrene e tutte le loro perfezioni
e gradi e ordini distinti. E allora conobbe chiaramente come ogni cosa creata si
presentava al suo Creatore, e come Iddio è sopra e dentro e di fuori e dallato a
tutte le cose create. Appresso conobbe uno Iddio in tre persone e tre persone in
un Iddio, e la infinita carità la quale fece il Figliuolo di Dio incarnare per
obbidienza del Padre. E finalmente conobbe in quella visione siccome nessuna
altra via era, per la quale l'anima possa andare a Dio e avere vita eterna, se
non per Cristo benedetto, il quale è via e verità e vita dell'anima.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantatreesimo
Come, dicendo messa, frate Giovanni della Vernia cadde come fosse morto.
Al detto frate
Giovanni in nel sopraddetto luogo di Molliano, secondo che recitarono li frati
che vi erano presenti, addivenne una volta questo mirabile caso, che la prima
notte dopo l'ottava di santo Lorenzo e infra l'ottava dell'Assunzione della
Donna, avendo detto mattutino in chiesa con gli altri frati, e sopravvenendo in
lui l'unzione della divina grazia, e' se ne andò nell'orto a contemplare la
passione di Cristo e a disporsi con tutta la sua devozione a celebrare la messa,
la quale gli toccava la mattina a cantare. Ed essendo in contemplazione della
parola della consacrazione del corpo di Cristo, cioè: Hoc est corpus meum e
considerando la infinita carità di Cristo, per la quale egli ci volle non
solamente comperare col suo sangue prezioso, ma eziandio lasciarci per cibo
delle anime il suo corpo e sangue degnissimo; gli cominciò a crescere in tanto
fervore e in tanta soavità l'amore del dolce Gesù, che già non potea più
sostenere l'anima sua tanta dolcezza, ma gridava forte e come ebbro di spirito
tra se medesimo non ristava di dire: Hoc est corpas meum: però che dicendo
queste parole, gli parea vedere Cristo benedetto con la vergine Maria e con
moltitudine d'Agnoli. E in questo dire era alluminato dallo Spirito santo di
tutti i profondi e alti misteri di quello altissimo Sacramento.
E fatta che fu l'aurora egli entrò in chiesa con quel fervore di spirito e con
quella ansietà e con quello dire, non credendo essere udito né veduto da
persona, ma in coro era alcuno frate in orazione il quale udiva e vedeva tutto.
E non potendo in quello fervore contenersi per l'abbondanza della divina grazia,
gridava ad alta voce; e tanto stette in questo modo, che fu ora di dire messa;
onde egli s'andò a parare allo altare e cominciò la messa. E quanto più
procedeva oltre, tanto più gli cresceva l'amore di Cristo e quello fervore della
divozione, col quale e' gli era dato un sentimento di Dio ineffabile, il quale
egli medesimo non sapea né potea poi esprimere con la lingua. Di che temendo
egli che quello fervore e sentimento di Dio crescesse tanto che gli convenisse
lasciare la messa, fu in grande perplessità e non sapea che parte si prendere, o
di procedere oltre nella messa o di stare a aspettare. Ma imperò che altra volta
gli Capitolo Quarantottesimo.
Come frate Iacopo dalla Massa vide in visione tutti i frati Minori del mondo, in
visione di uno arbore, e conobbe la virtù e li meriti e li vizi di ciascuno.
Frate Iacopo della Massa, al quale Iddio aperse l'uscio delli suoi segreti e
diedegli perfetta scienza e intelligenza della divina Scrittura e delle cose
future, fu di tanta santità, che frate Egidio da Sciesi e frate Marco da Montino
e frate Ginepro e frate Lucido dissono di lui che non ne conoscieno nessuno nel
mondo appo Dio maggiore che questo frate Iacopo.
Io gli ebbi grande desiderio di vederlo, imperò che pregando io certe cose di
spirito, egli mi disse: "Se tu vuogli essere bene informato nella vita
spirituale, procaccia di parlare con frate Iacopo della Massa, imperò che frate
Egidio disiderava di essere alluminato da lui, e alle sue parole non si può
aggiugnere né scemare; imperò che la mente sua è passata a' segreti celestiali e
le parole sue sono parole dello Spirito Santo, e non è uomo sopra la terra ch'io
tanto disideri di vedere". Questo frate Iacopo, nel principio del ministero di
frate Giovanni da Parma orando una volta fu ratto in Dio e stette tre dì in
questo ratto in estasi, sospeso da ogni sentimento corporale, e istette sì
insensibile, che i frati dubitavano che non fusse morto. E in questo ratto gli
fu rivelato da Dio ciò che dovea essere e addivenire intorno alla nostra
religione; per la qual cosa, quando l'udii, mi crebbe il disiderio di udirlo e
di parlare con lui.
E quando piacque a Dio ch'io avessi agio di parlargli, io il priegai in cotesto
modo: "Se vero è questo ch'io ho udito dire di te, io ti priego che tu non me lo
tenga celato. Io ho udito che, quando tu istesti tre dì quasi morto, tra l'altre
cose che Dio ti rivelò fu ciò che dovea addivenire in questa nostra religione, e
questo ha avuto a dire frate Matteo ministro della Marca, al quale tu lo
rivelasti per obbedienza". Allora frate Iacopo con grande umiltà gli concedette
che quello che dicea frate Matteo era vero.
Il dire suo, cioè del detto frate Matteo ministro della Marca, era questo: "Io
so di frate Iacopo al quale Iddio ha rivelato ciò che addiverrà nella nostra
religione, imperò che frate Iacopo dalla Massa m'ha manifestato e detto che,
dopo molte cose che Iddio gli rivelò nello stato della Chiesa militante, egli
vide in visione un arbore bello e grande molto, la cui radice era d'oro, li
frutti suoi erano uomini e tutti erano frati Minori. Li rami suoi principali
erano distinti secondo il numero delle provincie dell'Ordine, e ciascuno ramo
avea tanti frati, quanti v'erano nella provincia improntata in quello ramo: e
allora egli seppe il numero di tutti li frati dell'Ordine e di ciascuna
provincia, e anche li nomi loro e l'età e le condizioni e gli uffici grandi e le
dignità e le grazie di tutti e le colpe. E vide frate Giovanni da Parma nel più
alto luogo del ramo di mezzo di questo arbore; e nelle vette de' rami, ch'erano
d'intorno a questo ramo di mezzo istavano li ministri di tutte le provincie. E
dopo questo vide Cristo sedere su in uno trono grandissimo e candido, il quale
Cristo chiamava santo Francesco, e davagli uno calice pieno di spirito di vita e
mandavalo dicendo: "Va' e visita li frati tuoi, e da' loro bere di questo calice
dello spirito della vita, imperò che lo ispirito di Satana si leverà contro a
loro e percoteragli, e molti di loro cadranno e non si rileveranno". E diede
Cristo a santo Francesco due Agnoli che lo accompagnassono.
E allora venne santo Francesco a porgere il calice della vita alli suoi frati, e
cominciò a porgerlo a frate Giovanni, il quale prendendolo il bevette tutto
quanto in fretta e divotamente, e subitamente diventò tutto luminoso come il
sole. E dopo lui seguentemente santo Francesco il porgeva a tutti gli altri, e
pochi ve n'erano di questi che con debita reverenza e divozione il prendessino e
bevessino tutto. Quelli che 'l prendeano divotamente e beveanlo tutto, di subito
diventavano isplendidi come il sole; e questi che tutto il versavano e non lo
prendeano con divozione diventavano neri e oscuri e isformati a vedere e
orribili, quelli che parte ne beveano e parte ne versavano, diventavano parte
luminosi e parte tenebrosi, e più e meno secondo la misura del bere e del
versare. Ma sopra tutti gli altri, il sopradetto frate Giovanni era
risplendente, il quale più compiutamente avea bevuto il calice della vita, per
lo quale egli avea più profondamente contemplato l'abisso della infinita luce
divina, e in essa avea inteso l'avversità e la tempesta la quale si dovea levare
contra la detta arbore, e crollare e commuovere i suoi rami. Per la qual cosa il
detto frate Giovanni si parte dalla cima del ramo nel quale egli stava e,
discendendo di sotto a tutti li rami, si nascose in sul sodo dello stipite dello
arbore e stavasi tutto pensoso. E frate Bonaventura, il quale avea parte preso
del calice e parte n'avea versato, salì in quello ramo e in quello luogo onde
era disceso frate Giovanni. E stando nel detto luogo, sì gli diventarono
l'unghie delle mani unghie di ferro aguzzate e taglienti come rasoi: di che egli
si mosse di quello luogo dov'egli era salito, e con empito e furore volea
gittarsi contro al detto frate Giovanni per nuocergli. Ma frate Giovanni,
veggendo questo, gridò forte e raccomandossi a Cristo, il quale sedea nel trono:
e Cristo al grido suo chiamò santo Francesco e diegli una pietra focaia
tagliente e dissegli: "Va' con questa pietra e taglia l'unghie di frate
Bonaventura, con le quali egli sì vuole graffiare frate Giovanni, sicché egli
non gli possa nuocere". Allora santo Francesco venne e fece siccome Cristo gli
avea comandato. E fatto questo, sì venne una tempesta di vento e percosse nello
arbore così forte, che li frati ne cadeano a terra, e prima ne cadeano quelli
che aveano versato tutto il calice dello spirito della vita, ed erano portati
dalli demoni in luoghi tenebrosi e penosi. Ma il detto frate Giovanni, insieme
con gli altri che aveano bevuto tutto il calice, furono traslatati dagli Agnoli
in luogo di vita e di lume eterno e di splendore beato. E sì intendea e
discernea il sopradetto frate Iacopo, che vedea la visione, particolarmente e
distintamente ciò che vedea, quanto a' nomi e condizioni e stati di ciascheduno
chiaramente. E tanto bastò quella tempesta contro allo arbore, ch'ella cadde e
il vento ne la portò. E poi, immantanente che cessò la tempesta, della radice di
questo arbore, ch'era d'oro, uscì un altro arbore tutto d'oro, lo quale produsse
foglie e fiori e frutti orati. Del quale arbore e della sua dilatazione,
profondità, bellezza e odore e virtù, è meglio a tacere che di ciò dire al
presente.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Quarantanovesimo.
Come Cristo apparve a frate Giovanni della Vernia.
Fra gli altri frati e santi frati e figliuoli di santo Francesco, i quali,
secondo che dice Salomone, sono la gloria del padre, fu a' nostri tempi nella
detta provincia della Marca il venerabile e santo frate Giovanni da Fermo, il
quale, per lo grande tempo che dimorò nel santo luogo della Vernia ed ivi passò
di questa vita, si chiamava pure frate Giovanni della Vernia; però che fu uomo
di singulare vita e di grande santità. Questo frate Giovanni, essendo fanciullo
secolare, disiderava con tutto il cuore la via della penitenza, la quale
mantiene la mondizia del corpo e dell'anima; onde, essendo ben piccolo
fanciullo, egli cominciò a portare il coretto di maglia e 'l cerchio di ferro
alle carni e fare grande astinenza; e spezialmente quando dimorava con li
canonici di santo Pietro di Fermo, li quali viveano splendidamente, egli fuggia
le dilizie corporali e macerava lo corpo suo con grande rigidità d'astinenza. Ma
avendo in ciò i compagni molto contrari, li quali gli spogliavano il coretto e
la sua astinenza in diversi modi impedivano; ed egli inspirato da Dio pensò di
lasciare il mondo con li suoi amadori, e offerire sé tutto nelle braccia del
Crocifisso, coll'abito del crocifisso santo Francesco. E così fece. Ed essendo
ricevuto all'Ordine così fanciullo e commesso alla cura del maestro delli
novizi, egli diventò sì ispirituale e divoto, che alcuna volta udendo il detto
maestro parlare di Dio, il cuore suo si struggea siccome la cera presso al
fuoco; e con così grande suavità di grazia sì si riscaldava nello amore divino,
ched egli, non potendo istare fermo a sostenere tanta suavità, si levava e come
ebbro di spirito si scorrea ora per l'orto, or per la selva or per la chiesa
secondo che la fiamma e l'empito dello spirito il sospignea. Poi in processo di
tempo la divina grazia continovamente fece questo angelico uomo crescere di
virtù in virtù e in doni celestiali e divine elevazioni e ratti, in tanto che
alcuna volta la mente era levata agli splendori de' Cherubini, alcuna volta agli
ardori de' Serafini, alcuna volta a' gaudii de' Beati, alcuna volta ad amorosi
ed eccessivi abbracciamenti di Cristo, non solamente per gusti ispirituali
dentro ma eziandio per espressi segni di fuori e gusti corporali. E
singularmente per eccessivo modo una volta accese il suo cuore la fiamma del
divino amore, e durò in lui cotesta fiamma ben tre anni; nel quale tempo egli
ricevea maravigliose consolazioni e visitazioni divine e ispesse volte era ratto
in Dio, e brievemente nel detto tempo egli parea tutto affocato e acceso dello
amore di Cristo. E questo fu in sul monte santo della Vernia.
Ma imperò che Iddio ha singolare cura de' suoi figliuoli, dando loro, secondo i
diversi tempi, ora consolazione, ora tribolazione ora prosperità, ora avversità,
siccome e' vede ch'abbisogna loro a mantenersi in umiltà, ovvero per accendere
più il loro desiderio alle cose celestiali; piacque alla divina bontà, dopo li
tre anni, sottrarre dello detto frate Giovanni questo raggio e questa fiamma del
divino amore, e privollo d'ogni consolazione spirituale: di che frate Giovanni
rimase sanza lume e sanza amore di Dio e tutto sconsolato e afflitto e
addolorato. Per la qual cosa egli così angoscioso se ne andava per la selva
discorrendo in qua e in là, chiamando con voce e con pianti e con sospiri il
diletto isposo dell'anima sua, il quale s'era nascosto e partito da lui, e sanza
la cui presenza l'anima sua non trovava requie né riposo; ma in nessun luogo né
in nessun modo egli potea ritrovare il dolce Gesù, né rabbattersi a quelli
soavissimi gusti ispirituali dello amore di Cristo, come gli era usato. E
durogli questa cotale tribulazione per molti dì, nelli quali egli perseverò in
continovo piagnere e in sospirare e in pregare Iddio che gli rendesse per la sua
pietà il diletto isposo dell'anima sua.
Alla perfine, quando piacque a Dio d'avere provato assai la sua pazienza e
acceso il suo desiderio, un dì che frate Giovanni, s'andava per la detta selva
così afflitto e tribolato, per lassezza si puose a sedere accostandosi ad uno
faggio, e stava colla faccia tutta bagnata di lagrime guatando inverso il cielo,
ecco subitamente apparve Gesù Cristo presso a lui nel viottolo onde esso frate
Giovanni era venuto ma non dicea nulla. Veggendolo frate Giovanni e
riconoscendolo bene che egli era Cristo, subitamente se gli gittò a' piedi e con
ismisurato pianto il pregava umilissimamente e dicea: "Soccorrimi, Signore mio,
ché sanza te, salvatore mio dolcissimo, io sto in tenebre e in pianto; e sanza
te, Agnello mansuetissimo, io sto in angoscie e in pene e in paura; sanza te,
Figliuolo di Dio altissimo, io sto in confusione e in vergogna; sanza te io sono
ispogliato d'ogni bene ed accecato, imperò che tu se' Gesù Cristo, vera luce
delle anime; sanza te io sono perduto e dannato, imperò che tu se' vita delle
anime e vita delle vite, sanza te io sono sterile e arido, però che tu se'
fontana d'ogni dono e d'ogni grazia; e sanza te io sono al tutto isconsolato;
però che tu se' Gesù nostra redenzione, amore e disiderio, pane confortativo e
vino che rallegri i cuori degli Agnoli e i cuori di tutti i Santi. Allumina me,
maestro graziosissimo e pastore piatosissimo imperò ch'io sono tua pecorella,
benché indegna sia".
Ma perché il desiderio dei santi uomini, il quale Iddio indugia ad esaudire, sì
li accende a maggiore amore e merito, Cristo benedetto si parte sanza esaudirlo
e sanza parlargli niente, e vassene per lo detto viottolo. Allora frate Giovanni
si leva suso e corregli dietro e da capo gli si gitta a' piedi, e con una santa
importunità sì lo ritiene e con divotissime lagrime il priega e dice: "O Gesù
Cristo dolcissimo, abbi misericordia di me tribolato. Esaudiscimi per la
moltitudine della tua misericordia e per la verità della tua salute, e rendimi
la letizia della faccia tua e del tuo piatoso sguardo, imperò che della tua
misericordia è piena tutta la terra". E Cristo ancora si parte e non gli parla
niente, nè gli dà veruna consolazione; e fa a modo che la madre al fanciullo
quando lo fa bramare la poppa, e fasselo venire dietro piangendo, acciò ch'egli
la prenda poi più volentieri.
Di che frate Giovanni ancora con maggiore fervore e disiderio seguita Cristo; e
giunto che egli fu a lui, Cristo benedetto si rivolge a lui e riguardollo col
viso allegro e grazioso, e aprendo le sue santissime e misericordiosissime
braccia sì lo abbracciò dolcissimamente: e in quello aprire delle braccia vide
frate Giovanni uscire dal sacratissimo petto del Salvatore raggi di luce
isplendenti, i quali alluminavano tutta la selva ed eziandio lui nell'anima e
nel corpo.
Allora frate Giovanni s'inginocchiò a' piedi di Cristo; e Gesù benedetto a modo
che alla Maddalena, gli porse il piede benignamente a baciare, e frate Giovanni,
prendendolo con somma riverenza, il bagnò di tante lagrime che veramente egli
parea un'altra Maddalena, e sì dicea divotamente: "Io ti priego, Signore mio,
che tu non ragguardi alli miei peccati, ma per la tua santissima passione e per
la isparsione del tuo santissimo sangue prezioso, resuscita l'anima mia nella
grazia del tuo amore, con ciò sia cosa che questo sia il tuo comandamento, che
noi ti amiamo con tutto il cuore e con tutto l'affetto; il quale comandamento
nessuno può adempiere sanza il tuo aiuto. Aiutami dunque, amantissimo Figliuolo
di Dio, sì ch'io ami te con tutto il mio cuore e con tutte le mie forze".
E stando così frate Giovanni in questo parlare ai pie' di Cristo, fu da lui
esaudito e riebbe da lui la prima grazia, cioè della fiamma del divino amore, e
tutto si sentì rinnovato e consolato; e conoscendo il dono della divina grazia
essere ritornato in lui, Sì cominciò a ringraziare Cristo benedetto e a baciare
divotamente li suoi piedi. E poi rizzandosi per riguardare Cristo in faccia,
Gesù gli stese e porse le sue mani santissime a baciare, e baciate che frate
Giovanni l'ebbe, sì si appressò e accostò al petto di Gesù e abbracciollo e
baciollo, e Cristo similemente abbracciò e baciò lui. E in questo abbracciare e
baciare, frate Giovanni sentì tanto odore divino, che se tutte le spezie
odorifere e tutte le cose odorose del mondo fossono istate raunate insieme,
sarebbono parute uno puzzo a comparazione di quello odore; e in esso frate
Giovanni fu ratto e consolato e illuminato, e durogli quell'odore nell'anima sua
molti mesi.
E d'allora innanzi della sua bocca, abbeverata alla fonte della divina sapienza
nel sacrato petto del Salvatore, uscivano parole maravigliose e celestiali, le
quali mutavano li cuori, che 'n chi l'udiva facevano grande frutto all'anima. E
nel viottolo della selva, nel quale stettono i benedetti piedi di Cristo, e per
buono spazio d'intorno, sentia frate Giovanni quello odore e vedea quello
isplendore sempre, quando v'andava ivi a grande tempo poi.
Ritornando in sé poi frate Giovanni dopo quel ratto e disparendo la presenza
corporale di Cristo, egli rimase così illuminato nell'anima, nello abisso della
sua divinità, che bene che non fosse uomo litterato per umano studio,
nientedimeno egli maravigliosamente solvea e dichiarava le sottilissime
quistioni ed alte della Trinità divina e li profondi misteri della santa
Iscrittura. E molte volte poi parlando dinanzi al Papa e i cardinali e re e
baroni e a' maestri e dottori, tutti li mettea in grande stupore per le alte
parole e profondissime sentenze che dicea.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantesimo.
Come dicendo messa il dì de' morti, frate Giovanni della Vernia vide molte anime
liberate del purgatorio.
Dicendo una volta il detto frate Giovanni la messa il dì dopo Ognissanti per
tutte l'anime de' morti, secondo che la Chiesa ha ordinato, offerse con tanto
affetto di carità e con tanta piatà di compassione quello altissimo Sacramento
(che per la sua efficacia l'anime de' morti desiderano sopra tutti gli altri
beni che sopra tutto a loro si possono fare) ch'egli parea tutto che si
struggesse per dolcezza di pietà e carità fraterna. Per la qual cosa in quella
messa levando divotamente il corpo di Cristo e offerendolo a Dio Padre e
pregandolo che per amore del suo benedetto figliuolo Gesù Cristo, il quale per
ricomperare le anime era penduto in croce, gli piacesse liberare delle pene del
purgatorio l'anime de' morti da lui create e ricomperate; immantanente egli vide
quasi infinite anime uscire di purgatorio, a modo che faville di fuoco
innumerabili ch'uscissono d'una fornace accesa, e videle salire in cielo per li
meriti della passione di Cristo, il quale ognindì è offerto per li vivi e per li
morti in quella sacratissima ostia, degna d'essere adorata in secula seculorum.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantunesimo.
Del santo frate Iacopo da Fallerone; e come, poi che morì apparve a frate
Giovanni della Vernia.
Al tempo che frate Iacopo da Fallerone, uomo di grande santità, era gravemente
infermo nel luogo di Molliano nella custodia di Fermo; frate Giovanni della
Vernia, il quale dimorava allora al luogo della Massa, udendo della sua
infermità, imperò che lo amava come suo caro padre, si puose in orazione per lui
pregando Iddio divotamente con orazione mentale ch'al detto frate Iacopo
rendesse sanità del corpo, se fusse il meglio dell'anima. E istando in questa
divota orazione, fu ratto in estasi e vide in aria un grande esercito d'Agnoli e
Santi sopra la cella sua, ch'era nella selva, con tanto splendore, che tutta la
contrada dintorno n'era illuminata. E fra questi Agnoli vide questo frate Iacopo
infermo, per cui egli pregava, istare in vestimenti candidi tutto risplendiente.
Vide ancora tra loro il padre beato santo Francesco adornato delle sacre
Istimate di Cristo e di molta gloria. Videvi ancora e riconobbevi frate Lucido
santo, e frate Matteo antico dal monte Rubbiano e più altri frati, li quali non
avea mai veduti né conosciuti in questa vita. E ragguardando così frate Giovanni
con grande diletto quella beata schiera di Santi, sì gli fu rivelata di certo la
salvazione dell'anima del detto frate infermo, e che di quella infermità dovea
morire, ma non così di subito, e dopo la morte dovea andare a paradiso, però che
convenia un poco purgarsi in purgatorio. Della quale rivelazione il detto frate
Giovanni aveva tanta allegrezza per la salute della anima, che della morte del
corpo non si sentia niente, ma con grande dolcezza di spirito il chiamava tra se
medesimo dicendo: "Frate Iacopo, dolce padre mio; frate Iacopo, dolce mio
fratello; frate Iacopo, fedelissimo servo e amico di Dio; frate Iacopo, compagno
degli Agnoli e consorto de' Beati". E così in questa certezza e gaudio ritornò
in sé, e incontanente si partì dal luogo e andò a visitare il detto frate Iacopo
a Molliano.
E trovandolo sì gravato che appena potea parlare, sì gli annunziò la morte del
corpo e la salute e gloria dell'anima, secondo la certezza che ne aveva per la
divina rivelazione, di che frate Iacopo tutto rallegrato nello animo e nella
faccia, lo ricevette con grande letizia e con giocondo riso, ringraziandolo
delle buone novelle che gli apportava e raccomandandosi a lui divotamente.
Allora frate Giovanni il pregò caramente che dopo la morte sua dovesse tornare a
lui a parlargli del suo stato; e frate Iacopo glielo promise, se piacesse a Dio.
E dette queste parole, appressandosi l'ora del suo passamento, frate Iacopo
cominciò a dire divotamente quello verso del salmo: In pace in idipsum dormiam
et requiescam, cioè a dire: "In pace in vita eterna m'addormenterò e riposerò";
e detto questo verso, con gioconda e lieta faccia passò di questa vita. E poi
che fu soppellito, frate Giovanni si tornò al luogo della Massa e aspettava la
promessa di frate Iacopo, che tornasse a lui il di ch'avea detto. Ma il detto dì
orando egli, gli apparve Cristo con grande compagnia d'Agnoli e Santi, tra li
quali non era frate Iacopo; onde frate Giovanni, maravigliandosi molto,
raccomandollo a Cristo divotamente. Poi il dì seguente, orando frate Giovanni
nella selva, gli apparve frate Iacopo accompagnato dagli Agnoli, tutto glorioso
e tutto lieto, e dissegli frate Giovanni: "O padre carissimo, perché non se' tu
tornato a me il dì che tu mi promettesti?". Rispuose frate Iacopo: "Però ch'io
avevo bisogno d'alcuna purgazione; ma in quella medesima ora che Cristo
t'apparve e tu me gli raccomandasti, Cristo te esaudì e me liberò d'ogni pena. E
allora io apparii a frate Iacopo della Massa, laico santo, il quale serviva
messa e vide l'ostia consecrata, quando il prete la levò, convertita e mutata in
forma d'uno fanciullo vivo bellissimo, e dissigli: "Oggi con quello fanciullo me
ne vo al reame di vita eterna, al quale nessuno puote andare sanza lui". E dette
queste parole, frate Iacopo sparì e andossene in cielo con tutta quella beata
compagnia degli Agnoli; e frate Giovanni rimase molto consolato.
Morì il detto frate Iacopo da Fallerone la vigilia di santo Iacopo apostolo nel
mese di luglio, nel sopradetto luogo di Molliano, nel quale per li suoi meriti
la divina bontà adoperò dopo la sua morte molti miracoli.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantaduesimo.
Della visione di frate Giovanni della Vernia, dove egli conobbe tutto l'ordine
della santa Trinità.
Il sopraddetto frate Giovanni della Vernia, imperò che perfettamente aveva
annegato ogni diletto e consolazione mondana e temporale, e in Dio aveva posto
tutto il suo diletto e tutta la sua speranza, la divina bontà gli donava
maravigliose consolazioni e revelazioni, e spezialmente nelle solennità di
Cristo, onde appressandosi una volta la solennità della Natività di Cristo,
nella quale di certo egli aspettava consolazione da Dio della dolce umanità di
Gesù, lo Spirito santo gli mise nell'animo suo così grande ed eccessivo amore e
fervore della carità di Cristo, per la quale egli s'era aumiliato a prendere la
nostra umanità, che veramente gli parea che l'anima gli fusse tratta del corpo e
ch'ella ardesse come una fornace. Lo quale ardore non potendo sofferire,
s'angosciava e struggevasi tutto quanto e gridava ad alta voce, imperò che per
lo impeto dello Spirito santo e per lo troppo fervore dello amore non si potea
contenere del gridare. E in quell'ora che quello smisurato fervore, gli venia
con esso sì forte e certa la speranza della sua salute, che punto del mondo non
credea che, se allora fusse morto dovesse passare per lo purgatorio. E questo
amore gli durò bene da sei mesi, benché quello eccessivo fervore non avesse così
di continovo, ma gli venia a certe ore del dì.
E in questo tempo poi ricevette maravigliose visitazioni e consolazioni da Dio;
e più volte fu ratto, siccome vide quel frate il quale da prima iscrisse queste
cose. Tra le quali, una notte fu sì elevato e ratto in Dio, che vide in lui
creatore tutte le cose create e celestiali e terrene e tutte le loro perfezioni
e gradi e ordini distinti. E allora conobbe chiaramente come ogni cosa creata si
presentava al suo Creatore, e come Iddio è sopra e dentro e di fuori e dallato a
tutte le cose create. Appresso conobbe uno Iddio in tre persone e tre persone in
un Iddio, e la infinita carità la quale fece il Figliuolo di Dio incarnare per
obbidienza del Padre. E finalmente conobbe in quella visione siccome nessuna
altra via era, per la quale l'anima possa andare a Dio e avere vita eterna, se
non per Cristo benedetto, il quale è via e verità e vita dell'anima.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Capitolo Cinquantatreesimo.
Come, dicendo messa, frate Giovanni della Vernia cadde come fosse morto.
Al detto frate Giovanni in nel sopraddetto luogo di Molliano, secondo che
recitarono li frati che vi erano presenti, addivenne una volta questo mirabile
caso, che la prima notte dopo l'ottava di santo Lorenzo e infra l'ottava
dell'Assunzione della Donna, avendo detto mattutino in chiesa con gli altri
frati, e sopravvenendo in lui l'unzione della divina grazia, e' se ne andò
nell'orto a contemplare la passione di Cristo e a disporsi con tutta la sua
devozione a celebrare la messa, la quale gli toccava la mattina a cantare. Ed
essendo in contemplazione della parola della consacrazione del corpo di Cristo,
cioè: Hoc est corpus meum e considerando la infinita carità di Cristo, per la
quale egli ci volle non solamente comperare col suo sangue prezioso, ma eziandio
lasciarci per cibo delle anime il suo corpo e sangue degnissimo; gli cominciò a
crescere in tanto fervore e in tanta soavità l'amore del dolce Gesù, che già non
potea più sostenere l'anima sua tanta dolcezza, ma gridava forte e come ebbro di
spirito tra se medesimo non ristava di dire: Hoc est corpas meum: però che
dicendo queste parole, gli parea vedere Cristo benedetto con la vergine Maria e
con moltitudine d'Agnoli. E in questo dire era alluminato dallo Spirito santo di
tutti i profondi e alti misteri di quello altissimo Sacramento.
E fatta che fu l'aurora egli entrò in chiesa con quel fervore di spirito e con
quella ansietà e con quello dire, non credendo essere udito né veduto da
persona, ma in coro era alcuno frate in orazione il quale udiva e vedeva tutto.
E non potendo in quello fervore contenersi per l'abbondanza della divina grazia,
gridava ad alta voce; e tanto stette in questo modo, che fu ora di dire messa;
onde egli s'andò a parare allo altare e cominciò la messa. E quanto più
procedeva oltre, tanto più gli cresceva l'amore di Cristo e quello fervore della
divozione, col quale e' gli era dato un sentimento di Dio ineffabile, il quale
egli medesimo non sapea né potea poi esprimere con la lingua. Di che temendo
egli che quello fervore e sentimento di Dio crescesse tanto che gli convenisse
lasciare la messa, fu in grande perplessità e non sapea che parte si prendere, o
di procedere oltre nella messa o di stare a aspettare. Ma imperò che altra volta
gli era addivenuto simile caso, e 'l Signore avea sì temperato quello fervore
che non gli era convenuto lasciare la messa; confidandosi di potere così fare
questa volta, con grande timore si mise a procedere oltre nella messa; e
pervenendo insino al Prefazio della Donna, gli cominciò tanto a crescere la
divina illuminazione e la graziosa soavità dello amore di Dio, che vegnendo a
Qui pridie quam, appena potea sostenere tanta soavità e dolcezza. Finalmente
giugnendo all'atto della consecrazione, e detto la metà delle parole sopra
l'ostia, cioè Hoc est enim, per nessuno modo potea procedere più oltre, ma pure
repetia queste medesime parole, cioè Hoc est enim; e la cagione perché non potea
procedere più oltre, si era che e' sentia e vedea la presenza di Cristo con
moltitudine di Agnoli, la cui maestà non potea sofferire; e vedea che Cristo non
entrava nella ostia, né ovvero che l'ostia non si transustanziava nel corpo di
Cristo se egli non proferia l'altra metà delle parole, cioè corpus meum. Di che
stando egli in questa ansietà e non procedendo più oltre, il guardiano e gli
altri frati ed eziandio molti secolari ch'erano in chiesa ad udire la messa,
s'appressarono allo altare e stavano ispaventati a vedere e a considerare gli
atti di frate Giovanni; e molti di loro piagnevano per divozione. Alla perfine,
dopo grande spazio, cioè quando piacque a Dio, frate Giovanni proferì Corpus
meam ad alta voce; e di subito la forma del pane isvanì, e nell'ostia apparì
Gesù Cristo benedetto incarnato e glorificato, e dimostrogli la umiltà e carità
la quale il fece incarnare della vergine Maria e la quale il fa venire ognindì
nelle mani del sacerdote quando consacra l'ostia. Per la qual cosa egli fu più
elevato in dolcezza di contemplazione. Onde levato ch'egli ebbe l'ostia e il
calice consacrato, egli fu ratto fuori di se medesimo; ed essendo l'anima
sospesa dalli sentimenti corporali, il corpo suo cadde indietro, e se non che fu
sostenuto dal guardiano, il quale gli stava dietro, cadea supino in terra. Di
che, accorrendovi li frati e li secolari ch'erano in chiesa, uomini e donne, ne
fu portato in sagrestia come morto, imperò che il corpo suo era raffreddato come
corpo morto, e le dita delle mani si erano rattrappate sì forte che non si
poteano appena distendere punto o muovere. In questo modo giacque così
tramortito ovvero ratto insino a terza; ed era di state.
E però ch'io, il quale fui a questo presente, disiderava molto di sapere quello
che Iddio avea adoperato inverso lui, immantanente che egli fu ritornato in sé,
andai a lui e priega 'lo per la carità di Dio ch'egli mi dovesse dire ogni cosa.
Onde egli, perché si fidava molto di me, mi innarrò ogni cosa molto per ordine;
e tra l'altre cose egli mi disse che, considerando egli il corpo e 'l sangue di
Gesù Cristo anche innanzi, il suo cuore era liquido come una cera molto
istemperata, e la carne sua gli parea che fosse sanza ossa per tale modo, che
questi non potea levare le braccia né le mani a fare il segno della croce sopra
l'ostia né sopra il calice. Anche sì mi disse che, innanzi che si facesse prete,
gli era stato rivelato da Dio ch'egli dovea venire meno nella messa; ma, però
che già avea detto molte messe e non gli era quello addivenuto, pensava che la
rivelazione non fosse stata da Dio. E nientedimeno cinque anni innanzi
all'Assunzione della Donna, nella quale il sopraddetto caso gli addivenne, anco
gli era da Dio istato rivelato che in quel caso gli avea a divenire intorno alla
detta festa dell'Assunzione, ma poi non se ne ricordava della detta rivelazione.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.