La tradizione induista
Il Padma Purana
(1.31.27) afferma: ahimsa paramo dharmo, "La non violenza è il più alto dovere."
La dottrina dell'ahimsa, che prescrive di "non nutrire ostilità e non portare
danno a nessun essere senziente" è stata esposta originariamente negli antichi
libri sacri dell'India, i Veda, compilati migliaia di anni fa. Un altro concetto
basilare della conoscenza vedica è riassunto negli aforismi aham brahmasmi ("io
sono spirito, anima spirituale, e non il corpo materiale") e tat tvam asi
("anche tu sei parte di quello stesso spirito universale e divino").
La tradizione vedica accetta ogni essere vivente come un'anima spirituale
individuale e quindi sostiene che la non violenza costituisce la più
fondamentale forma di religione. Senza rispettare la natura spirituale degli
esseri viventi, non è infatti possibile nemmeno iniziare a comprendere la
propria natura spirituale, e vivere in armonia con il Tutto Supremo -- che sono
gli scopi fondamentali di ogni religione.
Ogni anima nel mondo materiale sta compiendo un viaggio di evoluzione per
giungere alla liberazione finale (moksa), perciò ostacolare tale evoluzione
uccidendo un altro essere (specialmente un essere innocente e inoffensivo) per
un personale profitto personale è un grave peccato. Nel caso poi di animali
particolarmente utili al progresso dell'essere umano, come la mucca, il toro, il
cavallo, l'elefante, tale uccisione diventa anche un crimine sociale e di
conseguenza un peccato contro lo sviluppo spirituale non solo dell'animale
ucciso, ma contro lo sviluppo spirituale dell'intera comunità umana. Perciò tali
animali diventano "sacri" e nessuno si sognerebbe mai di mangiarseli.
La Manu smriti (5:48-49), uno dei testi considerati più antichi, afferma: "Non è
possibile procurarsi la carne senza uccidere un essere vivente, e poiché
l'uccisione di esseri viventi è contraria ai principi dell'ahimsa, bisogna
astenersi dal consumare carne. Avendo ben considerato qual è l'origine dei cibi
carnei e la crudeltà del macellare gli esseri incarnati, l'uomo deve astenersi
completamente dal consumo di carne," e ancora (6:60), "Chi non uccide alcun
essere vivente diventa degno della liberazione."
La Manu smriti suggerisce dei palliativi per soddisfare la propria golosità
senza nuocere agli animali: "Se una persona ha un forte desiderio di mangiare
carne, può modellare una forma simile a quella animale, con farina o burro, ma
non deve mai attentare alla vita di un essere vivente." (5.37.134)
I quattro Veda originali sono molto espliciti sul consumo di alimenti non
vegetariani: "Chi persiste nel mangiare carne umana, carne di cavallo, di mucca
o di altri animali nonostante si sia cercato di dissuaderlo con altri mezzi,
deve essere ucciso." (Rig Veda, 10.87.16)
"Non dovete usare il corpo che vi è stato dato da Dio per uccidere le creature
di Dio, siano esse umane, animali o altro" (Yajur Veda, 12.32)
"Quelle anime nobili che praticano la meditazione e altre discipline yoga, che
sono sempre attente e benevole verso tutti gli esseri, che proteggono tutti gli
animali, sono i veri spiritualisti." (Atharva Veda, 19.48.5)
Il significato del termine ahimsa è definito negli Yoga Sutra di Patanjali
(2.30): "Ahimsa è non violenza, cioè non avere nessun sentimento negativo verso
qualsiasi essere vivente, nessun desiderio di nuocere in nessun modo, in nessun
momento. Questo è lo scopo che gli aspiranti allo yoga devono raggiungere."
I Veda affermano senza mezzi termini che il consumo di carne è un crimine, in
cui ugualmente colpevoli sono coloro che permettono l'uccisione di animali,
maneggiano gli animali stessi, acquistano, vendono, cucinano o servono la carne,
oltre a quelli che la mangiano. (Mahabharata, An. 115.40)
Anche nella tradizione induista c'è però spazio per aiutare la graduale
evoluzione delle persone più degradate, che non riescono a fare a meno di
mangiare carne. In alcune parti delle scritture vediche ci sono descrizioni di
rituali specifici di sacrifici animali, ma era ammissibile soltanto sacrificare
una capra una volta al mese, nella notte di luna nuova, davanti alla Divinità di
Madre Kali; il celebrante, prima di sacrificare l'animale, doveva pronunciare
delle preghiere specifiche per diventare consapevole della gravità del suo atto,
e la formula "mamsa", termine che nelle lingue indiane indica ancora oggi la
carne animale consumata dai non vegetariani. Questa formula sanscrita è composta
da due pronomi, mam, "io", e sah "lui" o "lei" (in sanscrito non esiste
differenziazione di genere maschile o femminile nei pronomi personali). Un verso
vedico che spiega il significato di questa formula insegna: mamsa sa
bhakshayitamutra yasya mamsam ihadmy aham, etan mamsaya mamsatvam pravadanti
manisinah, "I saggi insegnano che la formula "mamsa" usata nel sacrificio
rituale significa: Questo animale non è differente da me. E' una persona come lo
sono io, è un'anima come lo sono io. Ora io uccido questo animale, e così
facendo accetto la prospettiva che un giorno sarò ucciso da lui per pagare il
mio debito."
Secondo il vocabolario sanscrito, il termine pasu-ghna, usato per indicare le
persone incivili che non possono accostarsi allo studio dei Veda e sono
condannate all'inferno, si riferisce ugualmente a chi mangia carne e a chi
commette assassinio o suicidio.
Sempre a proposito di inferno, possiamo citare il Bhagavata Purana, che in
diversi passaggi minaccia gli uccisori di animali con pene terribili nelle
regioni infernali: su un pianeta infernale detto Raurava coloro che uccidono o
maltrattano gli animali sono straziati da animali simili a quelli che avevano
maltrattato, solo muniti di zoccoli, becchi, artigli e corna sovrannaturali e
dotati di una crudeltà terribile, conosciuti come ruru e kravyada che li
tormentano e li divorano senza fine. Coloro che cuociono gli animali vivi
vengono a loro volta cotti in olio bollente nell'inferno conosciuto come
Kumbhipaka, mentre coloro che si allontanano dagli insegnamenti vedici e dai
principi religiosi (a cominciare dalla non violenza) senza una vera necessità di
emergenza, vengono tormentati nell'inferno detto Asi-patravana, una foresta di
palme con foglie affilate come spade, in cui vengono inseguiti dai servitori del
signore della morte, che li frustano incessantemente. Coloro che si accaniscono
senza necessità su animali inferiori (compresi gli insetti), pur essendo
consapevoli della loro sofferenza, vengono puniti nell'inferno chiamato
Andhakupa, dove vengono tormentati costantemente a loro volta da tutte le
creature che hanno tormentato nel corso della vita -- uccelli, animali
selvatici, rettili, zanzare, pulci, pidocchi, vermi, mosche e via dicendo --
vagando costantemente nel buio totale senza alcun riposo. I cacciatori vengono
invece cacciati a loro volta con frecce e lance nell'inferno chiamato Pranarodha.
L'inferno di nome Visasana è riservato a coloro che uccidono animali a scopo
rituale, e l'inferno chiamato Sulaprota a coloro che torturano animali (come ad
esempio nella vivisezione), mentre chi tiene animali in gabbia o comunque
rinchiusi è condannato all'inferno Avata-nirodhana ("senza aria") e chi in
generale tormenta altri esseri viventi e si comporta in modo sgarbato e
collerico è atteso dall'inferno Dandasuka -- tutte le punizioni inflitte a tali
peccatori sono regolate da una legge del contrappasso identica a quella
dantesca.