Storia di Srila Prabhupada
Lottava da solo
Calcutta, 13 agosto 1965
Il Jaladuta è Una nave da
carico che fa servizio regolare nella Scindia Steam Navigation Company, ma è
dotata di una cabina passeggeri.
Durante il viaggio da Calcutta a New York, nell'agosto-settembre 1965, questa
cabina era occupata da "Sri Abhay Charanaravinda Bhaktivedanta Swami" che, come
diceva il libro di bordo, aveva sessantanove anni e viaggiava con un " biglietto
omaggio, vitto compreso".
Il Jaladuta, ai comandi del capitano Arun Pandia, a bordo con la
moglie, partì alle 9 di mattina del 13 agosto, Venerdì.
Nel suo diario Bhaktivedanta Swami scriveva: "La cabina è abbastanza comoda e
ringrazio il Signore, Sri Krishna, per aver illuminato Sumati Morarji, che mi ha
organizzato questo viaggio.
Mi sento a mio agio."
Ma il quattordici scrisse: "Mal di mare, vertigini, vomito; il Golfo del
Bengala. Piove forte. Mi sento male."
Il diciannove, quando la nave arrivò a Colombo, in Ceylon (ora Sri Lanka),
Bhaktivedanta Swami riuscì a trovare sollievo dal suo mal di mare. Il capitano
lo portò a riva, ed egli fece un giro in macchina per la città. Poi la nave
proseguì per Cochin, sulla costa occidentale dell'India.
Quell'anno Janmastami, il giorno dell'apparizione di Sri Krishna, cadde il 20
agosto.
Bhaktivedanta Swami ne approfittò per tenere all'equipaggio un discorso sulla
filosofia di Sri Krishna, e distribuì del prasada che aveva cucinato
personalmente.
Il 21 agosto era il suo sessantanovesimo compleanno, trascorso in mare senza
alcun festeggiamento. Lo stesso giorno la nave arrivò a Cochin e furono caricati
a bordo i bauli di Bhaktivedanta Swami, pieni di volumi dello Srimad
Bhagavatam, spediti via terra da Bombay.
Il ventitré la nave era salpata per il Mar Rosso, dove Bhaktivedanta Swami ebbe
grosse difficoltà.
Scrisse nel suo diario: "Pioggia, mal di mare, vertigini, mal di testa, niente
appetito e vomito."
In due giorni subì due attacchi di cuore. Tollerava le difficoltà, meditando
sullo scopo della sua missione, ma dopo questi due giorni pensò che molto
probabilmente non sarebbe sopravvissuto a un terzo attacco.
La notte del Secondo giorno ebbe un sogno. Sri Krishna, nelle Sue molteplici
forme, stava remando in una barca e disse a Bhaktivedanta Swami di non temere,
ma di andare con Lui. Bhaktivedanta Swami si sentì rassicurato, convinto della
protezione di Krishna, e i violenti attacchi di cuore non si ripeterono più.
Il Jaladuta entrò nel canale di Suez il primo settembre, e il due si
fermò a Port Said. Bhaktivedanta Swami visitò la città insieme al capitano e
disse che era una bella città.
Il giorno sei si era un po' ripreso dalla malattia e ricominciò a mangiare
regolarmente il kichari e i puri che si era cucinato
personalmente. Annotò nel suo diario che stava gradualmente riprendendo le
forze.
Venerdì 10 settembre
Oggi il Jaladuta naviga tranquillo. Mi sento meglio oggi.
Ma mi mancano tanto Sri Vrindaban e i miei Signori Sri Govinda, Gopinath, Radha
Damodar.
La mia unica consolazione è Sri Caitanya Caritamrita, in cui gusto il nettare
dei lila [divertimenti] di Sri Caitanya.
Ho lasciato Bharatabhumi [l'India] solo per eseguire l'ordine di Sri
Bhaktisiddhanta Saraswati, che era conforme all'ordine di Sri Caitanya.
Non ho nessuna qualificazione, ma ho affrontato questo rischio solo per eseguire
l'ordine di Sua Divina Grazia. Dipendo completamente dalla Loro misericordia,
ora che mi trovo così lontano da Vrindaban.
Il Jaladuta: "Se l'Atlantico avesse mostrato il suo aspetto normale, forse sarei morto. Ma Krishna Si è preso cura della nave". |
La traversata del 1965 fu davvero un viaggio tranquillo per il Jaladuta. Il
capitano Pandia disse che mai, in tutta la sua carriera, aveva attraversato
l'oceano così tranquillamente. Bhaktivedanta Swami rispose che la bonaccia era
dovuta alla misericordia di Krishna.
La signora Pandia chiese a Bhaktivedanta Swami di fare con loro il viaggio di
ritorno, in modo che anche al ritorno la traversata fosse così tranquilla.
Bhaktivedanta Swami scrisse nel suo diario: "Se l'Atlantico avesse mostrato il
suo solito volto, forse non sarei sopravvissuto. Ma Sri Krishna. Si è preso cura
personalmente della nave."
Dopo trentacinque giorni di viaggio da Calcutta il Jaladuta attraccò al Molo
Commonwealth, alle 5.30 di mattina del 17 settembre 1965.
La nave doveva fare un breve scalo a Boston prima di continuare per New York.
Bhaktivedanta Swami doveva presentarsi all'ufficio d'immigrazione per gli Stati
Uniti e alla dogana di Boston.
Il visto del consolato gli permetteva un soggiorno di due mesi, e un funzionario
applicò un timbro per indicare la data in cui sarebbe dovuto ripartire.
Il capitano Pandia invitò Bhaktivedanta Swami a fare una passeggiata per Boston,
dove voleva fare delle spese.
Attraversarono un ponte riservato al passaggio pedonale e si ritrovarono in una
zona commerciale molto movimentata, con vecchie chiese, magazzini, palazzi
adibiti ad Uffici, bar, vistosi negozi di libri, locali notturni e ristoranti.
Nella sua breve visita, Bhaktivedanta Swami osservò la città, ma la cosa più
significativa della sua breve sosta a Boston, a parte il fatto che aveva
finalmente messo piede in America, fu la lirica bengali composta al Molo
Commonwealth e intitolata Markine Bhagavata-dharma ("Insegnare la
coscienza di Krishna in America").
Ecco alcuni dei versi da lui scritti quel giorno a bordo della nave:
Mio
caro Krishna, Tu sei così buono con quest'anima inutile, ma non so perché mi hai
portato qui.
Ora puoi fare di me ciò che desideri ma penso che devi avere qualche piano per
questo posto altrimenti perché mi avresti portato in un luogo cosi terribile?
Qui la maggior parte della popolazione è coperta dalle influenze materiali di
ignoranza e passione.
Immersi nella vita materiale, pensano di essere molto felici e soddisfatti,
perciò non desiderano gustare il messaggio trascendentale di Vasudeva [Krishna].
Non so come riusciranno a capirlo. Ma so che per la Tua misericordia senza
causa, Tu puoi fare l'impossibile, perché sei il mistico più esperto.
Come potranno capire i dolci sentimenti del servizio devozionale?
O Signore, posso solo pregarTi di mostrare la Tua misericordia, affinché io
possa convincerli del Tuo messaggio.
Per Tua volontà tutti gli esseri sono caduti sotto il controllo dell'energia
illusoria, perciò sempre per Tua volontà potranno essere liberati dalle reti
dell'illusione Desidero che Tu li liberi. E se Tu desideri liberarli, allora, e
solo allora, potranno capire il Tuo messaggio...
Come potrò far loro capire questo messaggio della coscienza di Krishna?
Sono molto sfortunato, privo di qualificazioni e sono il più caduto.
Per questo cerco le Tue benedizioni, affinché io possa convincerli; non ho alcun
potere di farlo da solo.
O Signore, in un modo o nell'altro mi hai portato qui perché parli di Te Ora, o
mio Signore, spetta a Te decidere del mio successo o del mio fallimento, come
preferisci.
O maestro spirituale di tutti i mondi! Non posso far altro che ripetere il Tuo
messaggio. E se Tu vuoi, puoi far sì che le mie parole siano adatte alla loro
comprensione.
Solo per la Tua misericordia le mie parole potranno diventare pure.
Sono sicuro che quando questo messaggio trascendentale penetrerà nel loro cuore,
essi si sentiranno certamente felici e saranno liberi da ogni sofferenza della
vita.
O Signore, sono solo un burattino nelle Tue mani. Se mi hai portato qui per
danzare, allora fammi danzare, fammi danzare, Signore, fammi danzare come Tu
desideri.
In me non c'è ne devozione ne conoscenza, ma ho una grande fede nel nome di
Krishna.
Sono stato chiamato col nome di Bhaktivedanta, e ora, se Tu vuoi, puoi
realizzare il vero significato di Bhaktivedanta.
Firmato
il più sfortunato e insignificante dei mendicanti, A C Bhaktivedanta Swami, a
bordo del Jaladuta, Molo Commonwealth, Boston, Massachusetts, U. S A.18
settembre 1965
Il 19
settembre il Jaladuta entrò nel porto di New York e attraccò al Molo di Brooklyn,
nella Diciassettesima Strada.
Davanti a Prabhupada si stendeva l'incredibile orizzonte di Manhattan, l'Empire
State Building e si ergeva, come era apparsa a milioni di visitatori e
immigranti del passato, la Statua della Libertà.
L'opuscolo che A.C. Bhaktivedanta Swami stampò e portò con sè in America a bordo del Jaladuta. |
L'abbigliamento di Bhaktivedanta Swami era perfettamente appropriato per un
abitante di Vrindavana. Portava il kanthi-mala (una collana di perle di
tulasi), un semplice dothi di cotone e un vecchio cadar (una specie di scialle),
e aveva con sé il japa-mala (una specie di rosario per cantare il
mantra).
La sua carnagione era dorata e aveva la testa rasata, eccetto un ciuffo di
capelli dietro la nuca, la Sikha, e la sua fronte era ornata con il tilaka
vaisnava, sfumato di bianco.
Le sue scarpe a punta, di gomma bianca, erano piuttosto comuni tra i sadhu
in India. Ma chi, a New York, aveva mai visto o immaginato qualcuno che avesse
l'aspetto di questo vaisnava?
Molto probabilmente era il primo sannyasi vaisnava che
arrivava a New York nel suo abbigliamento tradizionale, senza fare compromessi.
Certo, gli abitanti di New York avevano la particolare abilità di non prestare
molta attenzione alle stranezze dei nuovi arrivati.
Bhaktivedanta Swami era solo. Aveva un anfitrione, il signor Agarwal che stava
da qualche parte in Pennsylvania Certamente qualcuno era venuto ad accoglierlo.
Non aveva ben chiaro in mente che cosa avrebbe dovuto fare, mentre scendeva
dalla nave sulla banchina - "Non sapevo se andare a destra o a sinistra" - passò
le formalità di banchina e fu accolto da un impiegato dell'Assistenza
Viaggiatori, mandato dagli Agarwal di Butler, in Pennsylvania.
Portando con se soltanto quaranta rupie in contanti, che lui stesso definiva "il
necessario per sopravvivere qualche ora a New York", più venti dollari che aveva
raccolto vendendo tre volumi del Bhagavatam al capitano Pandia,
Bhaktivedanta Swami, con l'ombrello e la valigia in mano, scortato
dall'impiegato dell'Assistenza Viaggiatori, si diresse verso il capolinea degli
autobus di Port Authority, per organizzare il suo viaggio verso Butler.
Bhaktivedanta Swami arrivò a casa degli Agarwal a Butler, in Pennsylvania, alle
4 del mattino, e Gopal lo invitò a riposare sul divano.
La loro casa, un appartamento di città, era composto di un piccolo salotto, una
sala da pranzo, un cucinino, e al piano di sopra, due camere da letto e un
bagno. Lì vivevano con i loro due bambini.
Gopal Agarwal e la sua moglie americana, Sally, vivevano a Butler ormai da
qualche anno e si sentivano ben introdotti in una cerchia di buone conoscenze.
Il loro appartamento era molto piccolo, perciò decisero che era meglio che lo
Swami prendesse una stanza allo YMCA (Young Men's Christian Association), una
specie di ostello tenuto da religiosi, e venisse a trovarli durante il giorno.
Comunque, la vera difficoltà non era lo spazio ridotto, era lui.
Come avrebbe potuto adattarsi all'atmosfera di Butler?
Sally: Il nostro gruppo era formato da persone di una certa cultura, e lui
affascinava tutti. Non sapevano bene che cosa chiedergli. Non ne Sapevano
abbastanza. Era come un sogno uscito da un libro. Sally: Il nostro gruppo era
formato da persone di una certa cultura, e lui affascinava tutti. Non sapevano
bene che cosa chiedergli. Non ne Sapevano abbastanza. Era come un sogno uscito
da un libro.
Chi si sarebbe aspettato di trovare uno swami in un salotto di Butler, in
Pennsylvania Era davvero incredibile. Nel mezzo della borghesia americana. I
miei genitori, anche se abitavano abbastanza lontano, vollero venire a vederlo.
Conoscevamo diverse persone a Pittsburgh, e vennero anche loro. Era un
avvenimento veramente straordinario averlo qui con noi. Ma in fondo l'interesse
che tutti dimostravano era solo curiosità.
Aveva una macchina da scrivere, uno dei suoi pochi possedimenti, e un ombrello.
Questa era una delle cose che faceva colpo, il fatto che portasse sempre con se
l'ombrello. Faceva un po' fresco, e lui era calvo, perciò porta va sempre un
berretto che qualcuno gli aveva fatto, qualcosa che assomigliava a una cuffia da
bagno.
Era davvero sensazionale.
Ed era così brillante che quando vedeva qualcuno per la seconda volta, sapeva
chi era, se lo ricordava. Era davvero un uomo brillante. O se incontrava delle
persone a casa nostra, e poi le vedeva in macchina, si ricordava come si
chiamavano e le salutava con la mano chiamandole per nome. Era un uomo
brillante. Piaceva a tutti. Rimanevano tutti colpiti dalla Sua intelligenza.
Quello che li conquistava di più era il fatto che ricordasse il loro nome. E il
suo senso dell'humor. Sembrava sempre molto serio, ma aveva un grande senso
dell'umorismo. Il suo aspetto era severo, ma aveva un fascino tutto speciale.
Era l'ospite meno difficile che avessi mai avuto, perché quando non avevo tempo
da dedicargli si metteva a recitare le sue preghiere, e sapevo che si sentiva
perfettamente felice.
Quando non potevo parlare con lui, si metteva a pregare. Era facile per me,
perché sapevo che non si annoiava mai. Non mi sono mai sentita tesa o a disagio
a causa della sua presenza. Era così accomodante che quando dovevo andare a
prendermi cura dei bambini, restava lì a pregare ed era soddisfatto. Era
magnifico. Quando dovevo fare altre cose, non aveva problemi, e pregava. Era un
ospite meraviglioso.
Quando venivano a trovarmi degli amici e fumavano, lui diceva: "Non importa, non
fa niente ", Ecco quello che diceva: "Non fa niente " Sapeva che eravamo
diversi. Io non fumavo mai davanti a lui. Sapevo che non dovevo fumare davanti
al padre di Gopal e mi sembrava un po' la stessa cosa. Non creava mai problemi a
nessuno.
II 22 settembre apparve un articolo sul Butler Eagle: "In ottimo inglese, il
devoto di una setta indù spiega qual è la missione che l'ha condotto a visitare
l'Occidente."
Un fotografo era andato a casa degli Agarwale aveva fatto una foto a
Bhaktivedanta Swami, in piedi nel salotto con in mano un libro aperto, un volume
dello Srimad Bhagavatam. La didascalia diceva: "Ambasciatore del
bhakti-yoga."
L'articolo cominciava:
Un
uomo di carnagione leggermente scura, in lunghi abiti color arancione pallido e
scarpe da bagno bianche, è sceso ieri da un'auto e ha fatto il suo ingresso allo
YMCA di Butler per partecipare a una riunione.
È A.C. Bhaktivedanta Swamiji, un messaggero dell'India per gli uomini
dell'Occidente.
L'articolo parlava dello Srimad Bhagavatam come di "un'opera biblica",
e di Bhaktivedanta Swami come di "un insegnante erudito".
Continuava:
"La
mia missione è quella di risvegliare nella gente la coscienza di Dio" dice lo
Swamiji. "Dio è il Padre di tutti gli esseri, in migliaia di forme diverse",
spiega "La vita umana rappresenta uno stadio di perfezione all'interno
dell'evoluzione delle specie: se non approfittiamo di questo messaggio, dobbiamo
tornare a ripercorrere il ciclo", afferma... Bhaktivedanta vive come un monaco e
non permette a nessuna donna di toccare il suo cibo.
Nell'appartamento degli Agarwal a Butler come nel viaggio transoceanico di sei
settimane, si prepara i pasti in una pentola di ottone con diversi livelli per
cuocere il riso e le verdure a vapore, e anche per fare il "pane".
É strettamente vegetariano e può bere solo latte, "l'alimento miracoloso per i
bambini e i vecchi", ha commentato... Se gli Americani dessero più importanza
alla loro vita spirituale, sarebbero molto più felici.
Sally: Quando cucinava, usava un fornello solo. La pentola in basso produceva il
vapore. Sul fondo c'era il dal che creava il vapore per cuocere molte altre
verdure. Quando cucinava, usava un fornello solo. La pentola in basso produceva
il vapore. Sul fondo c'era il dal che creava il vapore per cuocere molte altre
verdure.
Per circa una settimana aveva cucinato questo gran pranzo, che era pronto verso
le undici e mezza, e Gopal veniva sempre a casa a mezzogiorno per il pranzo.
Di solito gli preparavo un panino, e poi lui tornava al lavoro. Ma non mi ci
volle molto per capire che anche noi avremmo potuto gustare il cibo che lo Swami
cucinava, così lui cominciò a preparare il pranzo anche per tutti noi. Oh, era
tutto così buono!
Per noi era uno spasso mostrargli quello che sapevamo dell'America. E lui non
aveva mai visto cose del genere. Era così divertente portarlo al supermercato.
Si divertiva un mondo ad aprire i pacchetti di okra o di fagiolini surgelati;
non doveva pulirli o tagliarli, niente di tutto questo.
Ogni giorno apriva il freezer e sceglieva le sue cose. Era uno spasso Starlo a
guardare. Si sedeva sul divano quando passavo l'aspirapolvere; la cosa lo
incuriosiva moltissimo e ne parlavamo a lungo. Era una persona così
interessante.
Ogni giorno c'era quel grande banchetto e mi divertivo un mondo. Era davvero
molto piacevole. L'aiutavo a tagliare le verdure. Lui metteva le spezie e noi
ridevamo. Era una persona piacevole, davvero amabile.
Mi sentivo come una figlia per lui, anche Se lo conoscevo da così poco tempo.
Come se fosse mio suocero, ma mi sentivo davvero molto vicina a lui. Ero
entusiasta di tutto. Mi piaceva stare con lui. Lo trovavo eccezionale.
Nostro figlio Brij aveva sei o sette mesi quando arrivò Io Swami e gli Indiani
vanno matti per i bambini. Lo Swami era affezionato a Brij. Era lì quando Brij
si resse in piedi da solo per la prima volta.
La prima volta che Brij riuscì nel suo tentativo, lo Swami si alzò in piedi e
applaudì. Fu una festa.
Un altro giorno, il nostro bambino, che stava mettendo i denti, si mise in bocca
le scarpe dello Swami. Pensai: "Oh, oh, quelle scarpe. Sono andate in giro per
tutta l'India, e il mio piccolo le sta succhiando." Sapete cosa pensa una madre.
Quasi ogni sera andava a sedersi nel cortiletto del vicino.
A volte andavamo fuori un po' con lui, oppure restavamo in salotto. Mi ricordo
una cosa che successe con la nostra bambina, Pamela, che aveva tre anni.
La portavo all'oratorio e lì le avevano parlato di Gesù. Poi quando vide Swamiji
con i suoi abiti lunghi e rutto il resto, lo chiamò Swamiji Gesù, e lo Swami
sorrise e disse: "E un bambino li guiderà." Era così divertente.
Bhaktivedanta Swami tenne dei discorsi in vari gruppi della comunità, anche al
Lions Club. Fece un discorso anche allo YMCA e al Seminario di San Fedele a
Herman, in Pennsylvania, e parlava regolarmente con gli ospiti a casa degli
Agarwal.
Vedeva che c'erano buone possibilità di predicare agli Americani, ma sentiva che
aveva bisogno di aiuti dall'India. Comunque, dopo aver passato un mese a Butler,
gli era rimasto solo un mese da passare in America. Così decise di andare a New
York per cercare di predicare là, prima che scadesse il visto.
Ma prima voleva andare a Philadelphia, dove aveva organizzato un incontro con un
professore di sanscrito, il dott. Norman Brown, all'Università della
Pennsylvania.
Come sannyasi, Bhaktivedanta Swami era abituato a viaggiare da un posto
all'altro, senza avere una dimora fissa.
Era un predicatore mendicante, perciò non provava rimorsi nel lasciare dietro di
se la vita tranquilla dello YMCA di Butler. E non aveva attaccamento per lo
scenario domestico dove aveva cucinato e chiacchierato con Sally Agarwal di
aspirapolveri, surgelati e del modo di vivere degli Americani.
Ma il suo soggiorno a Butler si era rivelato utile. Aveva avuto un'esperienza
diretta della vita americana e si era assicurato che la sua salute fosse buona e
il suo messaggio comunicabile.
Aveva visto con piacere che l'America aveva gli ingredienti necessari alla sua
dieta vegetariana indiana, e che la gente riusciva a capire il suo inglese.
Aveva visto che le conferenze sporadiche tenute qua e là non avevano un grande
valore, e che sebbene le religioni ufficiali avrebbero opposto qualche
resistenza, le persone, come individui, erano molto interessate a ciò che aveva
da dire.
Il 18 ottobre partì da Butler, diretto verso New York via Philadelphia.
Sally: Dopo un mese mi accorsi che volevo veramente bene allo Swami. Sentivo
verso di lui un certo senso di protezione, e lui voleva andare a Philadelphia.
Non riuscivo a immaginarmelo che andava a Philadelphia per due giorni. Andava a
parlare là e poi andava a New York. Ma non conosceva nessuno a New York. Se le
cose non andavano bene a Philadelphia, sarebbe partito per New York, e là non
aveva nessuno.
Non riuscivo a immaginarmelo. L'idea mi faceva star male.
Ricordo la notte della sua partenza, erano circa le due del mattino. Lo ricordo
seduto là, mentre aspettava che Gopal lo accompagnasse a Pittsburgh per prendere
l'autobus. Gopal aveva una manciata di spiccioli, e mi ricordo che gli disse di
mettere le monete nella macchinetta per fare la doccia alla stazione degli
autobus lui si lavava sempre diverse volte al giorno. E Gopal gli disse come
fare, e gli disse delle lavanderie automatiche a New York.
Gli disse che cosa avrebbe potuto mangiare e cosa no, gli diede quelle monetine
dentro un calzino e lui partì. Ci lasciò così, semplicemente.
Bhaktivedanta Swami non conosceva nessuno a New York, ma aveva un indirizzo:
dott. Ramamurti Mishra. Aveva scritto al dott. Mishra da Butler, allegando una
lettera di presentazione che aveva ricevuto da un amico a Bombay. Aveva anche
telefonato al dott. Mishra, che aveva invitato Bhaktivedanta Swami a venire da
lui a New York.
Al capolinea del pullman a Port Authority c'era ad aspettarlo uno studente del
dott. Mishra, e questi lo accompagnò direttamente a un festival indiano che si
stava svolgendo in città.
Lì Bhaktivedanta Swami incontrò il dott. Mishra, e anche Ravi Shankar e suo
fratello, il ballerino Udai Shankar.
Poi Bhaktivedanta Swami accompagnò il dott. Mishra al suo appartamento al 33 di
Riverside Drive, al di là del fiume Hudson.
L'appartamento era al quindicesimo piano e aveva grandi finestre che davano sul
fiume. Il dott. Mishra diede a Bhaktivedanta Swami una stanza tutta per lui.
Il dott. Mishra era un personaggio teatrale, un po' istrionico, uso a lanciare
occhiate fulminanti e a muovere le mani con gesti espressivi. Usava regolarmente
parole come "carino" e "bello". Presentava un'immagine raffinata e artificiosa
di ciò che dovrebbe essere un guru; era, insomma, quello che alcuni newyorkesi
definiscono "un guru dei quartieri alti".
Sebbene fosse un sannyasi, non indossava il tradizionale dothi e kurta
color zafferano, ma portava delle giacche di taglio alla Nehru e dei pantaloni
un po' larghi.
Mentre la pelle di Bhaktivedanta Swami era dorata, egli era di pelle scura, e
aveva capelli neri e forti. A quarantaquattro anni era abbastanza giovane da
poter essere il figlio di Bhaktivedanta Swami.
Quando Bhaktivedanta Swami entrò nella sua vita, il dott. Mishra non godeva di
buona salute e l'arrivo di Bhaktivedanta Swami sembrò la medicina perfetta.
Ramamurti Mishra: Sua Santità Prabhupada Bhaktivedanta Goswamiji mi travolse
letteralmente con il suo amore. Era veramente un'incarnazione dell'amore. Il mio
corpo era diventato uno scheletro, e lui mi riportò in vita con la sua cucina, e
soprattutto con il suo amore e la sua devozione a Sri Krishna. Ero troppo pigro
per cucinare, ma lui si alzava e andava a preparare tutto.
Il dott. Mishra apprezzava il fatto che Bhaktivedanta Swami cucinasse con la
precisione di un chimico, che preparasse tanti piatti e avesse un vero gusto per
la cucina.
Ramamurti Mishra: Non era pane quello che mi dava, mi dava prasada. Era
vita, e mi salvò la vita.. Era vita, e mi salvò la vita. A quel tempo non ero
sicuro che sarei sopravvissuto, ma era la sua abitudine di mangiare sempre a ore
fisse, sia che avesse fame o no, che mi piaceva molto.
Si alzava e diceva: "Questo è bhagavat-prasada", e io dicevo: "Va
bene".
Talvolta Bhaktivedanta Swami parlava con il dott. Mishra dello scopo della sua
visita in America e illustrava la visione del suo maestro spirituale:
l'affermarsi della coscienza di Krishna in Occidente.
Chiese al dott. Mishra di aiutarlo, ma questi alludeva sempre ai suoi impegni
d'insegnamento e al suo desiderio di andarsene dall'America.
Dopo qualche che settimana, quando diventò un problema ospitare lo Swami
all'appartamento, il dott. Mishra lo spedì al suo studio di hatha-yoga,
al quinto piano del palazzo al numero 100 della Settantaduesima Strada, vicino
al Central Park.
Il grosso studio si trovava al centro dell'edificio, e aveva un ufficio e una
stanza privata adiacente, dove Bhaktivedanta Swami avrebbe alloggiato. Era una
stanza senza finestre.
In pieno contrasto filosofico con Bhaktivedanta Swami, il dott. Mishra
considerava la Verità Assoluta nell'aspetto impersonale (il Brahman)
come il Supremo.
Bhaktivedanta Swami sottolineava invece la supremazia dell'aspetto personale (o
Bhagavan), seguendo la filosofia teista vedica, secondo la quale la comprensione
più completa della Verità Assoluta è quella personale.
La Bhagavad-gita insegna che il Brahman Impersonale è subordinato a
Bhagavan ed è una Sua emanazione, proprio come i raggi del sole sono
un'emanazione del globo solare. Questa era la conclusione insegnata dai più
grandi acarya dell'antica tradizione indiana, come Ramanuja e Madhva.
Il dott. Mishra, invece, seguiva Sankara, secondo i cui insegnamenti la presenza
impersonale della Verità Assoluta è tutto ciò che esiste, e in fondo la Persona
di Dio è solo un'altra illusione.
Mentre la filosofia teista di Bhaktivedanta Swami considerava il sé spirituale
individuale (l'atma) come un eterno servitore dell'Essere spirituale
supremo (Bhagavan), il punto di vista del dott. Mishra non considerava il se
spirituale come un individuo. La sua idea era che, essendo ogni persona identica
a Dio, il Brahman Supremo, non fosse necessario adorare Dio al di fuori di se
stessi. Secondo l'ottica del dott. Mishra, "tutto è uno".
Bhaktivedanta Swami lo sfidava: se ognuno di noi fosse veramente il Supremo,
allora perché questo "Supremo" dovrebbe stare qui a lottare e a soffrire nel
mondo materiale?
Il dott. Mishra ribatteva che il Supremo è coperto dall'illusione solo
temporaneamente, e che attraverso l'hatha-yoga e la meditazione si
poteva raggiungere l'illuminazione e capire che "tutto è il Supremo".
Di nuovo Bhaktivedanta Swami lanciava la sua sfida. Ma se il Supremo poteva
essere coperto dall'illusione, allora l'illusione doveva essere più potente di
Dio, più grande del Supremo.
Bhaktivedanta Swami considerava il dott. Mishra un mayavadi a causa
della sua affrettata conclusione che maya, l'illusione, è più potente
della Verità Assoluta.
Per Bhaktivedanta Swami la filosofia impersonalista non era soltanto sgradevole,
era un vero e proprio insulto alla Persona di Dio.
Come mendicante, Bhaktivedanta Swami dipendeva temporaneamente dalla gentilezza
del suo conoscente mayavadi, con il quale mangiava e conversava
regolarmente, e di cui accettava l'ospitalità. Ma com'era difficile!
Era venuto in America per parlare in modo puro e coraggioso di Krishna, e ora si
vedeva porre tante limitazioni.
A Butler era stato limitato dalle sensibilità borghesi del suo anfitrione, e
adesso era ridotto al silenzio in un altro modo. Era trattato con gentilezza, ma
era considerato una minaccia. Il dott. Mishra non permetteva ai suoi studenti di
ascoltare le glorie assolute di Sri Krishna come Dio, la Persona Suprema.
L'8 novembre Bhaktivedanta Swami scrisse al suo confratello Tirtha aharaja, che
era diventato il presidente della Gaudiya Math, per ricordargli che il loro
maestro spirituale, Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati, aveva un grande desiderio
di aprire centri di predica nei paesi occidentali.
Diverse volte Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati aveva tentato di farlo mandando
dei sannyasi in Inghilterra e in altri paesi europei ma, come notava
Bhaktivedanta Swami, "senza alcun risultato tangibile".
Bhaktivedanta Swami sottolineava il fatto che c'erano gruppi di mayavadi
che possedevano palazzi interi, eppure non riuscivano ad attrarre molti seguaci.
Tuttavia, parlando con Swami Nikhilananda della Missione Ramakrishna, questi
aveva espresso l'opinione che gli Americani avrebbero accolto bene il
bhakti-yoga.
Se i dirigenti della Gaudiya Math avessero considerato l'opportunità di aprire
un centro a New York, Bhaktivedanta Swami era disposto a dirigerlo. Ma senza un
loro centro, commentava, non potevano mantenere una missione in città.
Bhaktivedanta Swami scrisse che potevano aprire centri in molte città d'America,
se i suoi confratelli avessero collaborato. Ripetè diverse volte che altri
gruppi, sebbene non avessero la vera filosofia dell'India, stavano comprando
molti palazzi. La Gaudiya Math, invece, non aveva nulla.
Tre settimane più tardi Bhaktivedanta Swami ricevette la risposta di Tirtha
Maharaja. Bhaktivedanta Swami aveva rivelato le sue speranze e i suoi piani per
rimanere in America, ma aveva sottolineato che i suoi confratelli avrebbero
dovuto accordargli la loro fiducia e anche qualche aiuto tangibile.
I suoi confratelli, però, non erano animati da uno spirito di collaborazione.
Ogni dirigente era più interessato a mantenere il proprio edificio piuttosto che
a collaborare con gli altri per diffondere gli insegnamenti di Sri Caitanya in
tutto il mondo.
Come avrebbero potuto condividere la visione di Bhaktivedanta Swami e appoggiare
l'apertura di un centro a New York? L'avrebbero considerato come uno sforzo
separato. Sebbene sapesse che una risposta affermativa era improbabile, egli
faceva appello al loro spirito missionario e ricordava loro il desiderio di
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, il loro maestro spirituale.
Il loro Guru Maharaja voleva che la coscienza di Krishna si diffondesse in
Occidente. Ma quando finalmente Bhaktivedanta Swami ricevette la risposta di
Tirtha Maharaja, vide che era sfavorevole.
Il suo confratello non presentava alcun argomento contro un tentativo a New
York, ma diceva educatamente che i fondi della Gaudiya Math non potevano essere
usati per simili scopi.
Nei suoi
giri solitari per Manhattan, Bhaktivedanta Swami fece conoscenza con diverse
persone che abitavano lì. C'era il signor Ruben, un ebreo turco, che lavorava
come conducente nella metropolitana.
Il signor Ruben incontrò Bhaktivedanta Swami su una panchina del parco, e poiché
era una persona socievole e aveva girato il mondo, si sedette a parlare con il
religioso indiano.
Signor Ruben: Sembrava sapere che avrebbe avuto templi pieni di devoti. Guardava
lontano e diceva: "Non sono un povero, sono ricco. Sembrava sapere che avrebbe
avuto templi pieni di devoti. Guardava lontano e diceva: "Non sono un povero,
sono ricco. Ci sono templi e libri, esistono davvero, ci sono, ma il tempo ci
separa da loro.", diceva sempre "noi", e parlava di colui che l'aveva inviato,
il suo maestro spirituale. Non conosceva gente a quel tempo, ma diceva: "Io non
sono mai solo." Mi sembrava sempre un uomo molto solitario. Ecco perché mi
faceva pensare a quell'uomo santo, il profeta Elia, che se ne andava sempre in
giro da solo. Non credo che avesse qualche seguace.
Il 30
gennaio la costa orientale fu spazzata da una violenta bufera. Sulla città
caddero diciotto centimetri di neve e il vento soffiava a una velocità di 80
chilometri orari. Il comune di New York offriva stanze e pasti caldi a quelli
che vivevano in case prive di riscaldamento.
L'aeroporto JFK (John Fitzgerald Kennedy) era chiuso, come le linee ferroviarie
e le autostrade che portavano in città.
Per la seconda volta in otto giorni fu dichiarato lo stato d'emergenza a causa
della neve.
Come semplice individuo, Bhaktivedanta Swami non poteva far nulla per lo stato
d'emergenza contro la neve, o per il conflitto internazionale di cui aveva letto
nei titoli dei giornali, li considerava semplicemente segni dell'età di Kali.
Ci sarebbe sempre stata sofferenza nel mondo materiale. Ma se soltanto avesse
potuto portare Radha e Krishna in un palazzo di New York...
Niente era impossibile per Signore Supremo. Perfino nel mezzo del kali-yuga
sarebbe potuta apparire una nuova età dell'oro, e la gente avrebbe avuto
sollievo.
Se gli Americani avessero adottato la coscienza di Krishna, il mondo intero li
avrebbe seguiti. Guardando attraverso gli occhi delle Scritture, Bhaktivedanta
si spingeva avanti nella bufera e seguiva la pista sottile per sostenere la sua
missione della coscienza di Krishna.
A vederlo così, da lontano, una piccola figura che camminava per le strade e i
viali di Manhattan, in mezzo a molte altre piccole figure, uno straniero che
aveva il visto quasi scaduto, possiamo percepire solo l'aspetto esterno di
Bhaktivedanta Swami.
Questi giorni di lotta erano davvero reali e difficili, ma la sua coscienza
trascendentale era sempre la nota predominante. Non viveva nella coscienza di
Manhattan, era assorto nella sua relazione di dipendenza da Krishna, proprio
come quando sul Jaladuta aveva subito gli attacchi di cuore e la lettura del
Caitanya-caritamrita gli aveva fornito "il nettare" della vita.
Aveva già raggiunto il successo.
Certamente, voleva trovare un tempio per Radha e Krishna a New York, ma il suo
successo era il fatto che ricordava sempre Krishna, anche a New York City,
nell'inverno 1965-66, che il mondo lo riconoscesse o no.
Non passava nemmeno un giorno senza che egli lavorasse sul libro di Krishna, lo
Srimad Bhagavatam e non passava giorno senza che offrisse il proprio
cibo a Krishna e parlasse della filosofia della Bhagavad-gita.
Sri Krishna dice nella Bhagavad-gita: "Per colui che Mi vede in ogni
luogo, e vede tutto in Me, Io non Mi allontano mai da lui, ne lui da Me."
E Krishna assicura ai Suoi puri devoti: "Il mio devoto non perirà mai." Su
questo Bhaktivedanta Swami non ebbe mai il minimo dubbio.
C'era un solo problema: gli Americani si sarebbero accorti del puro devoto che
stava in mezzo a loro? Fino a quel momento sembrava che nessuno lo prendesse sul
serio.
Il 15
febbraio Bhaktivedanta Swami si trasferì dallo studio di yoga del dott.
Mishra in una stanza tutta sua, due piani più in basso, la camera 307, nello
stesso palazzo.
Secondo il dott. Mishra, si era trasferito per poter avere un posto tutto suo,
indipendente dalla Società Yoga Mishra. Ma la stanza 307 non era stata fatta per
abitarci, o per essere un àsrama o una sala di conferenze.
Era solo un ufficio piccolo e stretto, senza mobili o telefono. Nella porta
c'era un grande pannello di vetro smerigliato, del tipo comune nei vecchi
uffici; sopra la porta c'era una traversa con un pannello di vetro.
Bhaktivedanta Swami stese le sue coperte sul pavimento davanti al bauletto di
metallo, che ora era diventato una scrivania di fortuna. Dormiva sul pavimento.
Non c'erano facilitazioni per cucinare o lavarsi, perciò ogni giorno doveva
recarsi a piedi all'appartamento del dott. Mishra.
Quando Bhaktivedanta Swami viveva nella stanza 501 allo yoga-asrama del
dott. Mishra, questi aveva finanziato le sue necessità. Ma adesso era per conto
suo, e tutto quello che poteva raccogliere con la vendita dei suoi libri doveva
servire per il suo sostentamento quotidiano e per l'affitto di settantadue
dollari al mese.
Aveva notato che il Superette del West End faceva pagare un po' di peperoncino
in polvere ben venticinque centesimi, dieci volte quello che avrebbe speso in
India.
Non aveva entrate sicure, le sue spese erano aumentate e le comodità diminuite.
Ma almeno aveva un posto suo. Adesso era libero di predicare come voleva.
Era venuto in America per parlare di Krishna, e fin dall'inizio ne aveva avuto
l'opportunità, a un incontro formale nel salotto degli Agarwal, o in una
conferenza ufficiale al Lions Club di Butler, agli Studenti di sanscrito del
dott. Norman Brown, o alla Yoga Society del dott. Mishra.
Ma non dava molta importanza alle conferenze tenute in posti dove la gente che
si riuniva avrebbe potuto ascoltarlo una sola volta.
Questa era la ragione principale per cui voleva un posto tutto suo a New York:
la gente avrebbe potuto venire regolarmente, per cantare Hare Krishna, prendere
il prasada insieme a lui e ascoltare da lui la Bhagavad-gita e
lo Srimad Bhagavatam.
Trasferendosi dallo studio di yoga nel piccolo ufficio due piani più
sotto, Bhaktivedanta Swami aveva trovato ciò che stava cercando, un posto tutto
suo, ma nemmeno eufemisticamente questa stanza si sarebbe potuta definire un
tempio.
Sulla porta c'era il suo nome; chiunque l'avesse cercato qui poteva trovarlo. Ma
chi sarebbe venuto fin qui?
Un tempio doveva attrarre la gente a Krishna per la sua bellezza e opulenza. La
stanza 307 era esattamente l'opposto: era miseria pura e semplice.
Anche una persona interessata ad ascoltare discorsi spirituali si sarebbe
trovata a disagio a sedersi sul nudo pavimento di una stanza che aveva la forma
di una stretta carrozza ferroviaria.
Uno degli studenti del dott. Mishra gli aveva regalato un grosso registratore a
bobine, e Swami Bhaktivedanta registrò alcuni bhajan solitari, che cantava
accompagnandosi con i cembali a mano.
Registrò anche un lungo discorso filosofico, Introduzione alla Gitopanisad.
"Anche se non c'è nessuno ad ascoltare", gli aveva detto Srila Bhaktisiddhanta
Sarasvati, "puoi andare avanti a cantare per i muri."
Ma poiché adesso, nella nuova situazione che Dio gli aveva offerto, era libero
di trasmettere il suo messaggio, decise di tenere delle conferenze, tre sere
alla settimana (lunedì, mercoledì e venerdì) a chiunque fosse venuto a trovarlo.
Tra i primi che vennero ad ascoltarlo c'erano soprattutto delle persone che lo
avevano conosciuto allo studio di yoga del dott. Mishra. E nonostante
la povertà della stanza, questi incontri gli davano nuova vita.
Il Paradox,
al numero 64 est della Settima Strada, nel Lower East Side, era un ristorante
dedicato alla filosofia di Georges Oshawa e alla dieta macrobiotica.
Era un locale al di sotto del livello stradale, con tavolinetti da pranzo sparsi
per la stanza, illuminata da candele.
Il cibo era a buon prezzo e aveva buona fama. Il tè era servito gratis, quanto
ne volevi. Più che un ristorante, il Paradox era un centro d'interessi
spirituali e culturali, un luogo d'incontro che ricordava certi caffè del
Greenwich Village o della Parigi degli anni venti.
Si poteva passare l'intera giornata al Paradox senza consumare nulla, e nessuno
ti diceva niente. La gente del Paradox era una specie di congregazione mistica,
interessata alle dottrine orientali.
Quando al Paradox giunse la notizia che un nuovo swami abitava nei quartieri
alti dal dott. Mishra, la voce si sparse molto velocemente.
Harvey Cohen, un artista indipendente, e Bill Epstein, che lavorava al Paradox,
erano amici. Harvey era andato qualche volta a vedere Bhaktivedanta Swami allo
studio yoga del dott. Mishra, e quando capitò al Paradox cominciò a
parlare del nuovo swami a Bill e agli altri amici.
Bill Epstein era un ragazzo romantico e impetuoso, che aveva la barba e lunghi
capelli scuri e ondulati. Era un tipo attraente e brillante, ed era lui che
informava la gente del Paradox sulle notizie spirituali della città.
Una volta che si fu interessato allo Swami, lo fece diventare uno dei più
popolari soggetti di conversazione al ristorante.
Il nuovo gruppo del Paradox era formato da giovani un po' hippy, in contrasto
con la gente più anziana e conservatrice della città alta che aveva partecipato
alle conferenze di Bhaktivedanta Swami.
In quei giorni era ancora insolito vedere un giovane con i capelli lunghi e la
barba, e quando questa gente cominciò a frequentare gli incontri dello Swami al
West Side, alcuni dei simpatizzanti di mezza età si sentirono allarmati.
Uno di loro commentò: "Swami Bhaktivedanta ha cominciato a cercare un altro
genere di persone. Li ha trovati nella Bowery o in qualche soffitta. Vengono con
quei buffi capelli e coperte grigie avvolte intorno al capo, e a vederli sono
rimasto veramente allibito.
"David Allen, un ricercatore di ventun anni che veniva dal Paradox, si era
appena trasferito in città, attratto dalla visione ottimistica di ciò che aveva
letto sugli esperimenti con le droghe. Considerava il vecchio gruppo come "un
gruppetto di vecchiette indaffarate del West Side" che ascoltavano le conferenze
dello Swami.
David: Allora non eravamo ancora conosciuti come hippy. Ma eravamo già strani
per la gente che all'inizio era stata attratta da lui. Per loro era difficile
definire questo nuovo gruppo. Penso che la maggior parte dei maestri indiani
avesse avuto fino a quel momento dei seguaci di mezz'età, e spesso ricche vedove
provvedevano al loro mantenimento. Allora non eravamo ancora conosciuti come
hippy. Ma eravamo già strani per la gente che all'inizio era stata attratta da
lui. Per loro era difficile definire questo nuovo gruppo. Penso che la maggior
parte dei maestri indiani avesse avuto fino a quel momento dei seguaci di
mezz'età, e spesso ricche vedove provvedevano al loro mantenimento.
Ma improvvisamente Swamiji si rivolse verso il gruppo più giovane, e anche più
povero. Quello che successe dopo fu che Bill Epstein e altri cominciarono a
discutere che sarebbe stato meglio per lo Swami venire nel Lower East Side.
Laggiù c'era veramente del movimento, mentre dall'altra parte non succedeva
niente. La gente del Lower East Side aveva veramente bisogno di lui. Era un buon
posto e i tempi erano maturi là. C'era vita laggiù, c'era un sacco di energia
tra quella gente.
Qualcuno scassinò la stanza 307 mentre Bhaktivedanta Swami era fuori e rubò la
macchina da scrivere e il registratore. Quando Bhaktivedanta Swami tornò al
palazzo, il portiere lo informò del furto: Uno sconosciuto aveva infranto la
traversa di vetro sopra la porta ed era entrato nella stanza. Poi era fuggito
portando con sé gli oggetti di valore.
Ascoltando il suo resoconto, Bhaktivedanta Swami si convinse che il colpevole
era proprio il portiere. Certo non poteva provarlo, perciò accolse la perdita
con disappunto.
Bhaktivedanta Swami aveva perso l'entusiasmo di vivere nella stanza 307. Alcuni
amici si erano offerti di comprargli un altro registratore e una macchina da
scrivere al posto di quelli vecchi, ma cosa avrebbe impedito al portiere di
rubare anche quelli?
Harvey Cohen e Bill Epstein gli avevano consigliato di traslocare nella loro
zona e gli avevano assicurato che i giovani che vivevano là sarebbero stati più
interessati. Era una proposta allettante.
Harvey stava per partire da New York per la California e offrì allo Swami di
andare a stare nella sua soffitta, insieme con David Allen. Bhaktivedanta Swami
accettò.
Mentre si preparava a lasciare il suo recapito della Settantaduesima Strada, un
conoscente, un elettricista che lavorava nel palazzo, venne a metterlo in
guardia. La Bowery non era un luogo adatto a un gentiluomo, protestò. Era il
posto più corrotto del mondo. Anche se nella stanza 307 lo Swami aveva subito un
furto, trasferirsi nella Bowery non era la soluzione, ma Bhaktivedanta Swami era
irremovibile.
Bhaktivedanta Swami era nella Bowery, seduto sotto una lampadina, e come lui,
nello stesso quartiere, centinaia di derelitti erano seduti sotto centinaia di
lampadine simili.
Come loro, non aveva entrate fisse, ne aveva più garanzie di potervi rimanere di
quante ne avessero loro, ma la sua coscienza era differente.
Stava traducendo in inglese lo Srimad Bhagavatam e parlava al mondo
attraverso le sue spiegazioni Bhaktivedanta.
Il suo dovere, al quattordicesimo piano di un palazzo sul Riverside Drive, come
nell'angolo di una soffitta della Bowery, era quello di stabilire la coscienza
di Krishna come prima necessità per l'umanità intera.
Continuava a tradurre e aveva sempre davanti agli occhi l'immagine di un tempio
di Radha e Krishna a New York. La sua coscienza era fissa sulla missione
universale di Krishna, perciò non aveva bisogno di rifugiarsi in ciò che lo
circondava.
Per lui, casa non significava un insieme di mattoni e legno, bensì prendere
rifugio in Krishna in ogni circostanza. Come aveva detto ai suoi amici del
quartieri alti, "ogni luogo è la mia casa", mentre senza il rifugio di Krishna
il mondo intero sarebbe stato un luogo di desolazione.
La notizia che lo Swami si era trasferito nella Bowery si diffuse rapidamente,
specialmente per merito del ristorante Paradox, e la gente cominciò a venire la
sera per cantare con lui.
La musica del kirtana era particolarmente apprezzata nella Bowery,
perché la nuova congregazione dello Swami era composta per lo più da artisti e
musicisti del luogo, che rispondevano di più alla musica trascendentale che alla
filosofia.
Ogni mattino teneva una lezione di Srimad Bhagavatam, a cui
partecipavano David Allen, un ragazzo che si chiamava Robert Nelson e un altro
ragazzo, e ogni tanto insegnava a cucinare a chiunque fosse interessato.
In genere era disponibile per colloqui personali con qualsiasi visitatore
interessato o con il suo nuovo compagno di stanza.
Bhaktivedanta Swami teneva i suoi incontri serali ogni Lunedì, mercoledì e
venerdì, proprio come aveva fatto nei quartieri alti. La soffitta era un po'
fuori mano per la maggior parte dei suoi conoscenti, e soprattutto si trovava
nella Bowery.
Un mucchio di vagabondi addormentati l'uno sull'altro bloccava regolarmente
l'entrata che dava sulla strada, e quelli che andavano a trovarlo dovevano
scavalcare cinque o sei derelitti ancora prima di raggiungere la prima delle
quattro rampe di scale. Ma era qualcosa di nuovo; potevi andare là a sederti
insieme a un gruppo di gente hippy e guardare lo Swami che guidava il
kirtana.
La stanza non era molto illuminata, e Bhaktivedanta Swami accendeva
dell'incenso. Molti visitatori casuali andavano e venivano.
Quasi tutti gli amici della Bowery di Bhaktivedanta Swami erano musicisti o
amici di musicisti.
Erano nel trip della musica, musica, allucinogeni, donne e meditazione
spirituale. E poiché Bhaktivedanta Swami presentava il mantra Hare
Krishna come manifestazione musicale, e nello stesso tempo come meditazione,
naturalmente erano interessati.
Per la gente della Bowery, il suono era spirito, e lo spirito era suono, in una
fusione di musica e meditazione.
Ma per Bhaktivedanta Swami la musica senza il nome di Dio non era meditazione;
era gratificazione dei sensi, o tutt'al più una specie di meditazione
impersonale stilizzata. Ma era lieto di vedere questi musicisti che venivano a
suonare nel kirtana insieme a lui, che l'ascoltavano e rispondevano
cantando.
Alcuni, dopo essere stati svegli tutta la notte a suonare da qualche parte,
passavano di lì la mattina presto per cantare con lo Swami. Egli non cercava di
dissuaderli dalla loro concentrazione sul suono; anzi, era suono quello che dava
loro.
Nei Veda è detto che il suono è il primo elemento della creazione materiale; la
fonte del suono è Dio, e Dio è eternamente una persona. Bhaktivedanta Swami era
interessato a far cantare alla gente il nome personale e trascendentale di Dio.
Che lo prendessero per jazz, musica folk, rock o meditazione indiana, era lo
stesso, basta che cominciassero a cantare Hare Krishna.
Sebbene Bhaktivedanta Swami vivesse in una brutta zona, solo raramente veniva
disturbato da qualcuno. Spesso trovava alcuni vagabondi della Bowery
addormentati o privi di coscienza, ammucchiati davanti alla sua porta, e doveva
Scavalcarli per entrare.
Ogni tanto qualche ubriaco, incapace di coordinare i movimenti, andava a
sbattergli contro, qualche derelitto gli mormorava qualcosa di incomprensibile o
gli ridacchiava dietro. I più sobri si alzavano in piedi e si profondevano in
ampi gesti di cortesia, facendo strada allo Swami che entrava o usciva dalla sua
porta al 94 della Bowery. E lui passava in mezzo a loro, mostrando il suo
apprezzamento per le loro buone maniere mentre gli facevano largo.
Certamente pochi degli abitanti della Bowery, o degli altri che lo vedevano
mentre usciva a piedi, sapevano un gran che di questo anziano e minuto sadhu
indiano, vestito di abiti color zafferano, che portava sempre con sé un ombrello
e un sacchetto marrone per la spesa.
Seduto a
gambe incrociate, la schiena rivolta agli scaffali col loro assortimento di vasi
da fiori, il Suo cadar avvolto morbidamente attorno al corpo, Bhaktivedanta
Swami aveva un aspetto grave, quasi triste.
La fotografia e il suo articolo apparvero sul numero di giugno del The
Village Voice.
L'articolo diceva:
L'incontro dell'Oriente mistico Con l'Occidente pratico si sta manifestando come
una realtà nel curioso contrasto tra A.C. Bhaktivedanta Swami e i suoi discepoli
americani.
Lo swami, un settantenne molto colto e ben educato; rimarrà qui per un anno a
predicare il suo vangelo di pace, di buona volontà, di riavvicinamento a Dio e,
più praticamente, per raccogliere fondi per la sua chiesa americana...
Come i suoi insegnamenti, lo swami è un uomo di buon senso e franco. Il suo
principale insegnamento afferma che l'umanità può avvicinarsi a Dio recitando il
Suo santo nome.
Sebbene lo swami sia venuto in America per cercare di estirpare la radice del
materialismo ateo una malattia, dice, che ha già intaccato l'India è una persona
realista. "Se c'è qualche posto sulla Terra in cui si può trovare del denaro per
costruire un tempio, è proprio qui."
Lo swami desidera fondare in America un'Associazione Internazionale per la
Coscienza di Krishna, che sarà aperta a tutti anche alle donne.
L'articolo era firmato dal giornalista Howard Smith. Aveva saputo dello Swami da
una telefonata di un amico, che gli aveva parlato di un interessante uomo santo
venuto dall'India, che viveva in una soffitta della Bowery. "Puoi andarci in
qualsiasi momento", gli aveva detto l'amico "E sempre là. Penso che lo troverai
affascinante. Credo proprio che stia per lanciare uno dei più grandi movimenti
religiosi."
Howard Smith: Così andai laggiù e mi arrampicai per le scale, verso quella tetra
soffitta da artisti. Sul fondo della soffitta vidi una tendina, un tessuto tipo
Madras, e decisi di far capolino da quella parte. Così andai laggiù e mi
arrampicai per le scale, verso quella tetra soffitta da artisti. Sul fondo della
soffitta vidi una tendina, un tessuto tipo Madras, e decisi di far capolino da
quella parte.
Diedi un'occhiata dentro e c'era Swami Bhaktivedanta seduto a gambe incrociate
nei suoi abiti color zafferano, con dei segni sulla fronte e sul naso, e la mano
in un sacchettino di tela.
Era proprio quello che mi aspettavo, però sembrava un tipo abbastanza
abbordabile, e dissi: "Salve", e lui alzò gli occhi.
Dissi: "Swami Bhaktivedanta?" E lui rispose: "Sì." Dissi: "Io sono Howard Smith."
Poi ci mettemmo seduti a parlare e mi piacque Subito moltissimo.
Confesso che avevo incontrato molti altri swami, ma non mi avevano mai ispirato
un grande entusiasmo. E non credo che sia giusto far di ogni erba un fascio e
dire: "Questi swami dell'India..."
Era una persona molto, molto semplice, e questo forse era quello che apprezzavo
di più in lui. Non solo mi faceva sentire a mio agio, ma sembrava molto aperto e
onesto, come per esempio il fatto che mi chiedesse consigli. Era molto nuovo del
posto.
Pensavo che le sue idee avessero grosse probabilità di successo, perché sembrava
una persona dotata di molto senso pratico. Non sembrava un tipo con la testa tra
le nuvole. Non parlava di misticismo ogni tre parole. Probabilmente il suo
spirito era proprio là, ma la sua normale coscienza di conversazione era
presente. Poi disse che aveva sentito da molti che il Voice era un
ottimo giornale, e sarebbe stato magnifico comparirvi con un articolo. In
pratica, avrebbe raggiunto proprio il genere di persone che erano già
interessate, o avevano qualche tendenza verso il tipo di cose che era venuto a
proporre.
Dissi che secondo me aveva ragione. Mi chiese poi se avevo letto qualche libro o
sapevo qualcosa della cultura indiana, e io risposi di no, veramente no.
Parlammo un po' insieme e mi spiegò che aveva questi libri in inglese che aveva
tradotto in India. Me li porse e disse: "Se vuoi altre informazioni puoi leggere
questi."
Mi sembrava evidente che quello con cui stavo parlando non era uno che aveva
appena deciso di aver visto Dio e voleva farlo sapere alla gente. Sembrava un
uomo colto, molto più colto di me, se devo dire la verità. E mi piaceva la sua
umiltà. Insomma, era un tipo che mi andava a genio.
Mi spiegò tutto quello che volevo sapere, il significato del suo abbigliamento,
il segno sulla fronte, il sacchettino per il japa. E tutte le sue
spiegazioni mi lasciarono soddisfatto. Tutto era molo concreto. Poi parlò di
molti templi nel mondo e aggiunse: "Comunque, c'è ancora molta strada da fare.
Ma io sono molto paziente."
Bhaktivedanta Swami aveva molte speranze per quella che l'articolo sul Voice
aveva definito "la sua chiesa americana".
C'era vita nelle sue conferenze e nei suoi kirtana, e per lo meno si
stava creando un piccolo gruppo di seguaci regolari. Ma dall'India non c'era
nulla da sperare.
Aveva scritto regolarmente a Sumati Morarji, ai suoi confratelli e al governo
indiano, ma le risposte non erano state affatto incoraggianti. Se la coscienza
di Krishna avesse preso piede in America, avrebbe dovuto crescere senza
l'assistenza del governo indiano o fondi dall'India.
Krishna svelava il suo piano a Bhaktivedanta Swami in un altro modo. Avrebbe
dovuto rivolgere tutte le sue energie verso i ragazzi e le ragazze che venivano
a trovarlo nella soffitta della Bowery.
Scrisse a Sumati Moraji:
Ora sto cercando di costituire un'associazione composta di amici e ammiratori del luogo col nome di Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna.
Tra tutti i suoi amici e ammiratori, Bhaktivedanta Swami offriva attenzioni
personali e insegnamenti soprattutto al suo compagno di stanza, David Allen.
Sentiva che voleva dare a David una speciale occasione di diventare il primo
vero vaisnava d'America.
Un bel giorno Bhaktivedanta Swami sarebbe tornato in India e voleva portare con
se David a Vrindavana, poteva mostrargli come si svolge l'adorazione nel tempio
e istruirlo per un futuro di predica in Occidente.
"Sono molto lieto di dirvi", disse Bhaktivedanta Swami una sera, mentre teneva
la conferenza, "che talvolta il nostro signor David ci dice: "'Swamiji, voglio
intensificare la mia vita spirituale immediatamente.'" Bhaktivedanta Swami
rideva imitando il senso di urgenza di David. "'Abbi pazienza, ci vuole
pazienza' gli dico, 'Accadrà senz'altro. Quando c'è un desiderio così sincero,
Dio viene in aiuto.
Egli Si trova già dentro di te. Sta solo cercando di vedere la tua sincerità.
Allora ti darà tutte le occasioni per rendere più intensa la tua vita
spirituale.'"
David e lo Swami avevano vissuto tranquillamente insieme nella grande stanza: Io
Swami che lavorava tutto concentrato dalla sua parte e David che scorrazzava per
tutto il resto della soffitta.
Ma David continuava a prendere marijuana, LSD e anfetamine, e lo Swami non
poteva far altro che tollerare.
Diverse volte aveva detto a David che la droga e le allucinazioni non
l'avrebbero aiutato nella vita spirituale, ma David l'aveva ascoltato con aria
assente. Si stava allontanando dallo Swami.
Bhaktivedanta Swami, tuttavia, aveva fatto dei piani per la soffitta, voleva
trasformarla nel primo tempio di Radha e Krishna a New York e voleva che David
l'aiutasse.
Sebbene la zona in cui abitava fosse una delle più miserabili del mondo,
Bhaktivedanta Swami parlava di portare delle Divinità da Jaipur o da Vrindavana
e cominciare l'adorazione, anche nella Bowery Pensava che David avrebbe potuto
aiutarlo. Dopo tutto erano compagni di stanza, perciò come avrebbe potuto David
rifiutarsi di collaborare?
Avrebbe dovuto abbandonare le sue cattive abitudini. Bhaktivedanta Swami stava
cercando di aiutare David, ma David era troppo disturbato. Era diretto verso la
catastrofe, e con lui i piani che Bhaktivedanta aveva fatto per la soffitta.
Talvolta, anche quando non era in preda agli allucinogeni, David camminava su e
giù per la soffitta come un'anima in pena. Altre volte sembrava assorto in
pensieri profondi. Un giorno, con una dose di LSD diventò completamente pazzo e
non tornò più in se. Impazzì completamente.
Come aveva detto Carl Yeargens, uno dei visitatori dello Swami: "È uscito
completamente di senno e lo Swami deve avere a che fare con un pazzo." Le cose
sono arrivate fino a questo punto, "era un ragazzo strano, che prendeva sempre
troppa roba", ma la vera pazzia scoppiò improvvisamente.
Bhaktivedanta Swami stava lavorando tranquillamente alla sua macchina da
scrivere quando David all'improvviso "flippò".
David cominciò a emettere strani suoni e a percorrere a grandi passi l'ampia
zona vuota della soffitta. Poi cominciò a urlare, a ridere sgangheratamente e a
correre tutt'intorno. Improvvisamente tornò indietro dove stava lo Swami. D'un
tratto, Bhaktivedanta Swami si trovò faccia a faccia non con David, il bravo
David, che voleva portare in India per presentarlo ai brahmana di Vrindavana, ma
un estraneo allucinato, un drogato con lo sguardo selvaggio.
Bhaktivedanta Swami cercò di parlargli, "Che ti succede?", ma David non aveva
nulla da dire. Non c'era nulla di particolare, nulla che non andasse. Era solo
pazzia...
Bhaktivedanta Swami scese velocemente le quattro rampe di scale. Non si era
fermato a raccogliere le sue cose, o nemmeno a pensare dove poteva andare, o se
avesse potuto tornare o no. Non c'era stato il tempo di fare simili
considerazioni. Per lui era stato un bel colpo, e ora stava cercando di
allontanarsi al più presto dall'arena della pazzia di David.
Sulla soglia c'era il solito gruppetto di vagabondi, che col solito fiorire di
cortesia gli cedettero il passo. Erano abituati a vedere l'anziano Swami che
entrava e usciva per andare a fare la spesa, e non lo infastidivano. Ma oggi non
stava andando a fare la spesa. Dove sarebbe andato? Non lo sapeva. Era sceso in
strada senza sapere dove sarebbe andato. Di certo non sarebbe tornato nella
soffitta. No di certo.
Ma dove poteva andare? I piccioni volavano da un tetto all'altro. Il traffico
continuava a scorrere rombando, e gli onnipresenti vagabondi bighellonavano qua
e là, cercando di rinforzare la sbronza avvelenandosi con alcol di poco prezzo.
La casa di Bhaktivedanta Swami era improvvisamente diventata teatro di pazzia e
di terrore, ma anche la strada fuori era un luogo pericoloso e infernale. Si
sentiva profondamente scosso. Poteva telefonare al dott. Mishra e qualcuno
sarebbe venuto a prenderlo. Ma quello era un capitolo chiuso della sua vita, e
lui era partito per cercare qualcosa di meglio.
Stava tenendo le sue conferenze, e c'erano dei giovani che lo ascoltavano e
cantavano con lui. Era tutto finito adesso? Dopo nove mesi in America,
finalmente aveva trovato della gente interessata alla sua predica e ai suoi
kirtana. Non poteva andarsene proprio adesso. A. C. Bhaktivedanta Swami
Maharaja, conosciuto e rispettato da tutti a Vrindavana come un grande studioso
e devoto, che aveva un invito aperto per visitare il vice-presidente dell'India
e molti altri funzionari del Governo, adesso era costretto ad affrontare la
realtà: non aveva nessun amico che contasse qualcosa negli Stati Uniti.
Improvvisamente si era ritrovato sul lastrico, come un qualsiasi derelitto
vagabondo. In realtà, molti di questi barboni, che da lungo tempo avevano un
posto in qualche dormitorio pubblico, erano più al sicuro di lui. Erano in
miseria, ma avevano una sistemazione.
La Bowery poteva trasformarsi in un vero inferno se non stavi andando da qualche
parte andare dritti al negozio oppure tornare a casa. Non era un posto in cui
restare fermi a chiedersi dove andare a vivere, o se c'è un amico a cui
rivolgersi.
Non stava andando a fare spese a Chinatown e non stava facendo una passeggiata
per tornare subito al rifugio della soffitta. Se non poteva tornare nella
soffitta, non aveva nessun altro posto dove andare. Come stava diventando
difficile predicare in America tra questi pazzi!
Le parole della poesia che aveva scritto il giorno dell'arrivo a Boston si
stavano rivelando profetiche. "Mio caro Signore, non so perché mi hai portato
qui. Ora puoi fare di me ciò che desideri. Ma credo che Tu abbia qualche piano
per questo luogo, altrimenti perché mi avresti portato in questo posto così
terribile?"
Cosa ne sarebbe stato del suo programma di conferenze? Cosa ne sarebbe stato di
David? Forse avrebbe dovuto tornare su e cercare di parlare con lui.
Questa era stata la prima esplosione di violenza di David, ma c'erano stati
altri momenti di tensione. David aveva l'abitudine di lasciare la saponetta sul
pavimento della doccia, e Bhaktivedanta Swami gli aveva detto di non farlo
perché era pericoloso. Ma David non l'ascoltava.
Bhaktivedanta Swami aveva continuato a ricordarglielo, e un giorno David si era
arrabbiato e gli aveva risposto urlando. Ma non c'era vera inimicizia.
Anche l'incidente di oggi non era dovuto a qualche dissenso personale, il
ragazzo era una vittima.
Bhaktivedanta Swami camminava con passo veloce. Aveva un passaggio gratuito con
la compagnia di navigazione Scindia. Poteva tornare a casa, a Vrindavana. Ma il
suo maestro spirituale gli aveva ordinato di venire qui. "Per il potente
desiderio di Sri Srimad Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura", aveva scritto
durante la traversata dell'Atlantico, "il santo nome di Sri Gauranga si
diffonderà in tutti i paesi del mondo occidentale."
Prima che scendesse la notte doveva trovare un posto dove andare, doveva trovare
il modo di sostenere lo slancio della sua predica. Questo era il risultato del
fatto di lavorare senza l'appoggio del governo, senza il sostegno di qualche
organizzazione religiosa, Senza nessuno che l'aiutasse nelle sue necessità.
Voleva dire essere vulnerabili e senza alcuna sicurezza. Bhaktivedanta Swami
affrontò la crisi come una prova di Krishna.
La Bhagavad-gita insegna che si deve dipendere dalla protezione di
Krishna: "in ogni attività dipendi semplicemente da Me e agisci sotto la Mia
protezione. In questo servizio devozionale sii sempre pienamente cosciente di
Me... e per la Mia grazia supererai tutti gli ostacoli della vita condizionata."
Decise di telefonare a Carl Yeargens, una delle persone che partecipavano
regolarmente ai suoi incontri della sera, per chiedere il suo aiuto.
Sentendo la voce dello Swami al telefono, era un'emergenza!, subito Carl disse
che lo Swami poteva venire a stare da lui e con sua moglie, Eva. Abitavano
vicino, a Centre Street, cinque isolati a ovest della Bowery, vicino a
Chinatown. Carl sarebbe arrivato subito a prenderlo.
Era passata
una settimana e Carl e i suoi amici non erano ancora riusciti a trovare un posto
adatto allo Swami Allora Bhaktivedanta Swami suggerì di andare a casa di Michael
Grant per chiedergli aiuto.
Mike, un giovane musicista che viveva nella Bowery, era venuto diverse volte
agli incontri dello Swami e aveva mostrato un certo interesse per i suoi
insegnamenti. Era un tipo pieno di risorse e probabilmente avrebbe acconsentito
ad aiutarlo.
Ascoltando la storia dello Swami, Mike si sentì in obbligo di aiutarlo. Il
giorno dopo andò alla sede del The Village Voice, prese la prima copia del
giornale, fresca di stampa, scorse gli annunci economici fino a trovare una
buona occasione e telefonò al proprietario. Si trattava di un negozietto sulla
Seconda Avenue e un agente immobiliare, un certo signor Gardiner, si disse
disposto a incontrarsi con Mike. Anche Carl e lo Swami sarebbero andati a
vedere.
Il signor Gardiner e Mike arrivarono per primi. Mike notò l'insolita insegna,
dipinta a mano che sovrastava la vetrina: "Doni impareggiabili". Era ciò che
rimaneva del negozio precedente, spiegò il signor Gardiner, un negozio di
oggetti regalo di stile nostalgico.
Mike cominciò a descrivere lo Swami come un capo spirituale dell'India, un
importante scrittore e uno studioso di sanscrito. L'agente immobiliare sembrava
interessato.
Carl e lo Swami arrivarono, e fatte le presentazioni d'uso, il signor Gardiner
li condusse nel negozietto.
Lo Swami, Carl e Mike considerarono il posto con attenzione. Era vuoto, spoglio
e scuro, la corrente elettrica non era ancora stata riattaccata e aveva bisogno
di una bella imbiancata. Sarebbe andato bene per tenere gli incontri, ma non
come alloggio per lo Swami.
Però, per centoventicinque dollari al mese era interessante. Allora il signor
Gardiner parlò di un piccolo appartamento al secondo piano, che stava dall'altra
parte del cortile, sul retro, proprio dietro al negozietto.
Con altri settantuno dollari al mese, lo Swami avrebbe potuto vivere lì, anche
se prima il signor Gardiner avrebbe dovuto ridipingere le pareti. In totale,
l'affitto sarebbe ammontato a centonovantasei dollari al mese, e Carl, Mike e
gli altri avrebbero contribuito.
Bhaktivedanta Swami aveva l'idea di fare del signor Gardiner il primo fiduciario
ufficiale della sua Associazione per la Coscienza di Krishna, ancora in
embrione. Durante la loro conversazione, offrì al signor Gardiner i tre volumi
del suo Srimad Bhagavatam, e sulla prima pagina interna di copertina
scrisse una dedica personale e la firmò: "A. C. Bhaktivedanta Swami."
Il signor Gardiner si sentì lusingato e onorato di ricevere questi libri
direttamente dal loro autore. Accettò di diventare fiduciario della nuova
Associazione per la Coscienza di Krishna, e in quanto tale, di versare
all'Associazione una quota di venti dollari al mese.
Il signor Gardiner ci mise una settimana per ridipingere l'appartamento. Nel
frattempo Mike s'interessò per far riattaccare la corrente e l'acqua, fece
mettere il telefono e insieme a Carl raccolse i soldi del primo mese di affitto.
Quando tutto fu pronto, Mike telefonò allo Swami, che stava a casa di Carl.
Era arrivato il momento di aiutare lo Swami a traslocare nella sua nuova base.
Alcuni amici disponibili accompagnarono lo Swami alla soffitta della Bowery.
Forse non erano pronti a diventare i suoi discepoli sottomessi, ma fare una
colletta per il primo mese di affitto e offrirsi volontari per qualche ora di
lavoro allo scopo di aiutarlo a sistemarsi era proprio il genere di cose che
erano disposti a fare molto volentieri.
Arrivati alla soffitta, riunirono tutte le cose dello Swami e caricandosene un
po' per uno si avviarono a piedi.
Era come un safari, una carovana di cinque o sei ragazzi carichi delle cose
dello Swamiji. Michael portava il pesante registratore a bobine Roberts, e anche
lo Swami aveva due valige. Fecero tutto così in fretta che fu solo quando
avevano già fatto un bel pezzo di strada, e il braccio di Mike cominciò a
dolere, che un lampo gli attraversò la mente: "Perché non abbiamo preso una
macchina?"
Era la fine di giugno, e il sole d'estate dal contorno indistinto riversava il
suo calore torrido sulla giungla della Bowery. Fermandosi a intervalli, lo
strano safari, che si allungava per più di un isolato, avanzava lentamente e con
qualche difficoltà. Swamiji lottava con le sue valige, mentre passava davanti a
una fila interminabile di forniture per ristoranti e negozi di lampadari tra le
strade Grand, Broome e Spring.
Ogni tanto si fermava per riposare un po', e metteva giù le valige. Finalmente
se ne stava andando dalla Bowery. Il suo amico elettricista della
Settantaduesima Strada avrebbe tratto un sospiro di sollievo, anche se forse non
sarebbe stato troppo entusiasta nemmeno del nuovo indirizzo, sulla Seconda
Avenue.
Almeno aveva chiuso con la Skid Row, "la via degli sbandati". Continuava a
camminare, passando oltre i senzatetto, fuori della sede dell'Esercito della
Salvezza, oltre le porte spalancate delle osterie, fermandosi ai semafori
accanto a persone completamente estranee, tenendo d'occhio lo svolgersi della
sua processione di amici che arrancavano dietro di lui.
Gli artisti e i musicisti della Bowery lo vedevano come una persona "molto
evoluta". Sentivano che era lo spirito a muoverlo e si sentivano ben disposti ad
aiutarlo a sistemarsi, così che potesse dedicarsi alle sue importanti cose
spirituali e comunicarle agli altri.
Dipendeva dal loro aiuto, ma essi sapevano che lui era "a un livello superiore";
aveva il suo protettore personale o, come diceva lui, era Dio che lo proteggeva.
Lo Swami e i suoi giovani amici raggiunsero l'angolo tra la Bowery e Huston,
girarono a destra e si diressero a est.
Fissando lo sguardo avanti mentre camminava, vide l'estremità sud della Seconda
Avenue, a un solo isolato. Alla Seconda Avenue doveva svoltare a sinistra,
attraversare un solo isolato della Prima Strada, e Sarebbe arrivato nella sua
nuova casa.
Mentre passava davanti all'entrata IND della metropolitana, avvistò il negozio,
"Doni impareggiabili".
Afferrò le sue valige e andò avanti.
All'incrocio tra la Seconda Avenue e Huston attraversò velocemente il traffico.
Ai suoi occhi apparvero verdi alberi che si ergevano coi loro rami sopra l'alto
muro di cinta del cortiletto come erbacce troppo cresciute tra le due
costruzioni, l'una anteriore e l'altra posteriore, della sua nuova casa.
L'edificio che dava sulla strada ospitava la sua sala per le conferenze e
nell'edificio retrostante c'era l'appartamento nel quale avrebbe vissuto e
tradotto.
Accanto all'edificio, verso nord, c'era un enorme magazzino a nove piani. La
struttura in cui era inserito il negozietto era alta solo sei piani e sembrava
appesa all'edificio più grande come un suo figlio più piccolo.
Sul lato sud, il nuovo tempio di Bhaktivedanta Swami mostrava la sua facciata di
nudo cemento e non aveva nessuna costruzione adiacente; c'era solo il vasto
spazio della stazione di servizio della Mobil che costeggiava la Prima Strada.
Mentre si avvicinava al negozietto Bhaktivedanta Swami vide che due piccole
lanterne decoravano la stretta soglia. Non aveva certezze su quello che lo
aspettava lì. Ma aveva già visto che questi giovani americani, per quanto
potessero essere matti a volte, potevano effettivamente partecipare al movimento
del sankirtana di Sri Caitanya.
Forse in questo nuovo posto avrebbe potuto stabilire veramente la sua
Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna.