Solo lui poteva guidarli
San
Francisco, 16 gennaio 1967
Gli altoparlanti annunciarono il volo numero 21 della United Airlines da New
York, e il gruppo di circa cinquanta hippy si strinse più vicino
nell'attesa.
Per un momento sembrarono quasi in ansia, nell'incertezza di che cosa sarebbe
accaduto o di come sarebbe stato lo Swami.
Roger Segal: Eravamo un bel gruppetto assortito, anche per l'aeroporto di
San Francisco.
Mukunda aveva addosso una palandrana alla Mago Merlino, con dei quadri
paisley tutt'intorno. Sam aveva un cappottone marocchino di capra con il
cappuccio - anche l'odore era quello della capra - e io avevo una specie di
vestito da samurai blu, a pallini bianchi, fatto in casa. Dappertutto si
vedevano lunghe collane di perline infilate.
Giacconi di pelle, stivali, abiti di stile militare, piccoli occhiali da sole
rotondi - tutta la fantasmagoria di San Francisco riunita per l'occasione.
Tra quella folla solo pochi conoscevano lo Swamiji: Mukunda e sua moglie Janaki,
Ravindra-svarupa, Raya Rama, tutti di New York.
C'era anche Allen Ginsberg. (Qualche giorno prima Allen era stato uno dei capi
dell'Human Be-In a Golden Gate Park, dove si erano riuniti più di
duecentomila giovani - "Una riunione delle tribù... per un gioioso pow-wow
e una danza della pace.")
Swamiji sarebbe stato contento, ricordò Mukunda a tutti, se li avesse trovati a
cantare Hare Krishna quando fosse arrivato al cancello. Già conoscevano il
mantra Hare Krishna.
Avevano sentito parlare di come Swamiji aveva cantato nel parco a New York o
avevano letto di lui e del canto nell'articolo sul giornale della controcultura
locale, The Oracle.
Quel giorno si erano già riuniti a Golden Gate Park, la maggior parte dopo aver
letto l'invito su un volantino distribuito da Mukunda, e la avevano cantato per
più di un'ora prima di venire all'aeroporto con una carovana di macchine.
E molti di loro, anche questo era stato suggerito dal volantino di Mukunda,
tenevano in mano fiori e incensi.
Mentre i passeggeri in arrivo entravano nel terminal e salivano la rampa, i loro
occhi spalancati mostravano tutto il loro stupore nel vedere lo strano comitato
di benvenuto, tutti che cantavano con i fiori in mano.
Ma i cantori guardavano al di la di questi viaggiatori comuni dall'aria stanca e
cercavano quella persona speciale che doveva essere sull'aereo.
A un tratto, ecco che verso di loro veniva Swamiji, con la sua carnagione
dorata, vestito di luminosi abiti color zafferano.
Li aveva sentiti cantare ancor prima di varcare il cancello del terminal, e
aveva già cominciato a sorridere. Era piacevolmente sorpreso.
Posando lo sguardo sui volti dei ragazzi, ne riconobbe solo pochi. Eppure
c'erano cinquanta persone a riceverlo e cantavano tutti Hare Krishna. E lui non
aveva ancora detto una parola!
La piccola folla di hippy si era disposta in due file sullo stretto
passaggio che Swamiji doveva percorrere. Mentre passava tra due ali di nuovi
ammiratori, decine di mani si stendevano per offrirgli fiori e incenso.
Sorrise raccogliendo le offerte in mano, mentre Ranacora stava a guardare. Allen
Ginsberg si fece avanti con un grosso mazzo di fiori, e Bhaktivedanta Swami
l'accettò graziosamente.
Poi cominciò a ridistribuire i doni a tutti quelli che allungavano la mano per
riceverli. Avanza attraverso il terminal, e la folla di ragazzi camminava
attorno a lui cantando.
Al ritiro bagagli si fermò ad aspettare e girò lo sguardo tutt'intorno. Alzando
le palme aperte, incoraggiò tutti a cantare più forte, e il gruppo esplose in
una nuova ondata di canto, con lo Swami in mezzo a loro, che batteva piano le
mani e cantava Hare Krishna. Poi, con grazia, alzò le braccia sopra la testa e
cominciò a danzare, dondolandosi da una parte all'altra.
Tra il disappunto, il divertimento e insieme l'irresistibile gioia di passeggeri
e impiegati dell'aeroporto, il comitato di benvenuto rimase intorno allo Swami
finché il suo bagaglio fu recuperato.
Poi i ragazzi lo scortarono fuori, nel sole, fino a una macchina in attesa, una
Cadillac Fleetwood nera del 1949. Swamiji salì sul sedile posteriore insieme a
Mukunda e Allen Ginsberg.
Fino al momento in cui la macchina svoltò alla curva per poi accelerare, Swamiji,
sempre sorridente, continuò a porgere fiori a tutti coloro che erano venuti ad
accoglierlo, lieti che avesse portato la coscienza di Krishna in Occidente.,
La Cadillac apparteneva a Harvey Cohen, che quasi un anno prima aveva offerto
allo Swami la sua soffitta nella Bowery.
Harvey era al volante, ma per via del berretto da autista (preso in un magazzino
dell'Esercito della Salvezza), dell'abito nero e della barba, Swamiji non
l'aveva riconosciuto.
"Dov'è Harvey?"
"Sta guidando", disse Mukunda.
"Oh! sei tu? Non ti avevo riconosciuto."
Harvey sorrise: "Benvenuto a San Francisco, Swamiji."
Bhaktivedanta Swami era felice di essere giunto in un'altra grande città
dell'Occidente a nome del suo maestro spirituale, Bhaktisiddhanta Sarasvati e di
Sri Caitanya.
Più si va ad Occidente, aveva detto Sri Caitanya, più la gente è materialista.
Ma Sri Caitanya aveva detto anche che la coscienza di Krishna si sarebbe diffusa
in tutto il mondo.
I confratelli di Swamiji si erano spesso chiesti che cosa significasse
l'affermazione di Sri Caitanya che un giorno il nome di Krishna sarebbe stato
cantato in ogni città e ogni villaggio.
Forse quel verso doveva essere considerato simbolico, aveva bisogno di qualche
interpretazione, dicevano; altrimenti, cosa poteva significare, Krishna in ogni
città?
Ma Bhaktivedanta Swami aveva una profonda fede in queste parole di Sri Caitanya
e nelle istruzioni del suo maestro spirituale.
Eccolo arrivato nella città di San Francisco, nell'estremo Occidente, e già
c'era della gente che cantava. L'avevano accolto con grande entusiasmo, con
fiori e kirtana. E in tutto il mondo c'erano città molto simili a
questa.
Il tempio che Mukunda e i suoi amici avevano trovato era a Frederick Street, nel
distretto di Haight-Ashbury. Come il tempio al 26 della Seconda Avenue a New
York, era un negozietto con una vetrina che dava sulla strada.
L'insegna sopra la vetrina diceva SRI SRI RADHA KRISHNA TEMPLE. Mukunda e i suoi
amici avevano preso in affitto anche un appartamento di tre locali per Swamiji,
al terzo piano di un edificio adiacente. Era un piccolo appartamento spoglio e
mal messo che dava sulla strada.
Seguito da diverse auto piene di devoti e ricercatori curiosi, Swamiji arrivò al
numero 518 di Frederick Street ed entrò nel negozietto che era decorato solo da
qualche stoffa madras appesa al muro. Sedette su un cuscino e cominciò il
kirtana, poi tenne un discorso invitando tutti a partecipare alla coscienza
di Krishna.
Dopo la conferenza lasciò il negozietto e salì le due rampe di scale che
portavano al suo appartamento.
Mentre entrava nell'appartamento, al numero 32, lo seguirono non solo devoti e
ammiratori, ma anche i giornalisti dei più importanti quotidiani di San
Francisco, il Chronicle e l'Examiner.
Mentre alcuni devoti gli preparavano il pranzo e Ranacora disfaceva le valige,
Swamiji concesse un'intervista ai giornalisti, che si sedettero sul pavimento
per prendere appunti sui loro quadernetti.
Giornalista: "Poco fa, nel negozio, avete invitato tutti a partecipare alla
coscienza di Krishna. Nell'invito erano inclusi anche i beatnik e i
bohemien di Haight-Ashbury?" Swamiji: "Sì, tutti, compreso lei e chiunque
altro, uomo o donna, anche se sono chiamati freak o hippy o
qualcos'altro. Ma una volta che una persona accetta di farsi guidare, diventa
diversa da com'era prima."
Giornalista: "Cosa bisogna fare per appartenere al vostro movimento?"
Swamiji: "Ci sono quattro requisiti. Non permetto a nessuno dei miei studenti di
avere delle ragazze. Ho proibito ogni tipo di sostanza inebriante, compresi
caffè, tè e sigarette.
Ho proibito il consumo di carne. E non permetto ai miei studenti di partecipare
a giochi d'azzardo."
Giornalista: "Questi divieti si estendono all'uso di LSD, marijuana e altri
narcotici?"
Swamiji: "Considero I'LSD come un intossicante. Non permetto a nessuno dei miei
studenti di usarlo, o di usare qualche altro intossicante.
Educo i miei studenti ad alzarsi presto la mattina, a fare il bagno e a
partecipare a incontri di preghiera tre volte al giorno. Il nostro è un
movimento che crede nell'austerità.
E' la scienza di Dio."
Sebbene Bhaktivedanta Swami avesse già costatato che i giornali non riportavano
nulla della sua filosofia, approfittò dell'occasione per predicare la coscienza
di Krishna. E anche se i giornalisti non fossero stati interessati ad
approfondire la filosofia, i suoi seguaci avrebbero ascoltato attentamente.
"Il grosso errore della civiltà moderna", continuò Swamiji, "è quello di voler
accampare diritti sulla proprietà altrui, come se fosse normale. Questo crea
naturalmente dei disturbi. Dio è il vero e unico proprietario di ogni cosa
nell'universo.
Quando la gente prenderà coscienza che Dio è il vero proprietario, il miglior
amico di tutti gli esseri e il destinatario di ogni offerta e sacrificio, allora
avremo la pace."
Quando i giornalisti se ne furono andati, Prabhupada continuò a parlare ai
ragazzi che avevano riempito la stanza.
Mukunda, che
si era fatto crescere barba e capelli, ma portava al collo il grosso japa
di palline rosse che Swamiji gli aveva dato all'iniziazione, presentò alcuni dei
suoi amici, e disse che vivevano tutti insieme e che volevano aiutare Swamiji a
presentare la coscienza di Krishna ai giovani di San Francisco.
La moglie di Mukunda, Janaki, gli chiese com'era andato il viaggio in aereo.
Disse che era stato piacevole, tranne che per la pressione agli orecchi.
"Le case sembravano scatolette di fiammiferi", disse, e con pollice e indice
indicò le dimensioni di una scatola di fiammiferi.
Si appoggiò alla parete e si tolse le ghirlande che aveva ricevuto quel giorno,
finché rimase solo una collanina di perline, una collanina comune, di poco
prezzo, con un campanellino in mezzo.
Se la tolse, esaminò il lavoro e ci giocò un po'. "Questa è speciale", disse,
sollevando lo sguardo, "perché è fatta con devozione."
E continuò a guardare la collanina, come se il fatto di averla ricevuta fosse
uno degli avvenimenti più importante della giornata.
Quando arrivò il suo pranzo, Swamiji ne distribuì un pò a tutti, e poi Ranacora,
con molta efficienza e poco tatto, chiese a tutti di andarsene per lasciare allo
Swami un pò di tempo per mangiare e riposare.
Fuori dell'appartamento, e al negozio di sotto, tutti parlavano di Swamiji.
Nessuno era rimasto deluso. Tutto quello che Mukunda aveva detto di lui era
vero. E quello che era piaciuto di più era il modo in cui aveva parlato di
vedere tutto dal punto di vista di Krishna.
Quella sera il telegiornale delle undici riportava l'arrivo di Swamiji, e il
giorno dopo ne parlavano anche i giornali. L'articolo dell'Examiner era
in seconda pagina - "Uno Swami invita gli hippy", con una foto del
tempio pieno di gente e alcuni primi piani di Swamiji, che aveva un aspetto
molto serio.
Prabhupada chiese a Mukunda di leggergli l'articolo ad alta voce.
Anche il più grosso giornale di San Francisco, il Chronicle, aveva
pubblicato un articolo su Swamiji: "Uno Swami entra nella terra degli hippy
- Un saggio religioso apre un tempio a San Francisco."
Cominciava così: "Un saggio indiano, definito dai suoi amici e dal poeta Allen
Ginsberg come uno dei capi più conservatori della sua fede, ha inaugurato ieri
una specie di campagna evangelica nel cuore del rifugio degli hippy, a
San Francisco."
Swamiji non apprezza il fatto che l'avessero definito un conservatore.
Era indignato: "Conservatore? E perché mai?"
“Per la droga e il sesso", suggerì Mukunda.
“Beh, in quel senso siamo conservatori", disse Swamiji.
Ma questo significa soltanto che stiamo seguendo gli Sastra. Non
possiamo allontanarci dalla Bhagavad-gita.
Ma non possiamo essere definiti conservatori. Caitanya Mahaprabhu era così
rigido che non ha mai nemmeno guardato una donna, ma noi accettiamo tutti nel
nostro movimento, senza badare al sesso, alla casta, alla posizione o a
qualsiasi altra cosa.
Tutti sono invitati a venire a cantare Hare Krishna. Questa è la generosità di
Caitanya Mahaprabhu, la Sua liberalità.
No, noi non siamo conservatori."
Bhaktivedanta Swami si alzò dal letto e accese la luce. Era l'una di notte.
La sveglia non aveva ancora suonato e nessuno era venuto a svegliarlo; si era
svegliato da solo.
L'appartamento era freddo e tranquillo.
Avvolgendosi il cadar attorno alle spalle, si sedette tranquillamente
al suo tavolino improvvisato (un baule pieno di manoscritti) e in profonda
concentrazione cominciò a cantare il mantra Hare Krishna sul suo
japa.
Dopo un'ora di japa, Bhaktivedanta Swami si dedicò a scrivere.
Erano passati due anni dall'ultima volta che aveva pubblicato un libro (il terzo
e ultimo volume del primo Canto dello Srimad Bhagavatam), ma aveva
continuato a lavorare ogni giorno, talvolta alla traduzione e al commento del
secondo Canto, ma soprattutto alla Bhagavad-gita.
Verso il 1940, in India, aveva scritto l'intera traduzione con commento della
Bhagavad-gita, ma l'unica copia, il suo originale, era misteriosamente
scomparsa.
In seguito, nel 1965, pochi mesi dopo essere arrivato in America, l'aveva
ricominciata partendo dall'introduzione, che aveva composto nella sua stanza
nella Sessantaduesima Strada a New York.
Ora migliaia di pagine manoscritte riempivano il suo baule: tutta la
Bhagavad-gita.
Se il suo discepolo di New York, Hayagriva, che aveva fatto il professore
d'inglese, avesse potuto rivedere il manoscritto, e se qualche altro discepolo
fosse riuscito a farlo pubblicare, sarebbe stato un grosso passo avanti.
Ma pubblicare dei libri in America sembrava difficile più difficile che in
India.
Sebbene in India fosse da solo, era riuscito a pubblicare tre libri.
Qui in America aveva molti seguaci; ma molti seguaci significavano maggiori
responsabilità. E ancora nessuno dei suoi seguaci sembrava seriamente
interessato a occuparsi della battitura, della correzione delle bozze e a
trattare con gli uomini d'affari americani.
Ma nonostante le scarse prospettive di pubblicare la Bhagavad-gita,
Bhaktivedanta Swami aveva già cominciato a tradurre un altro libro, il
Caitanya-caritamrta, la più importante opera vaisnava sulla vita e
sugli insegnamenti di Sri Caitanya.
Infilati gli occhiali, Swamiji aprì il suo libro e accese il dittafono.
Studiava i versi sanscriti e bengali, poi prendeva il microfono, spostava
l'interruttore su record, e mentre si accendeva la lucina rossa
cominciava a parlare: "Mentre il Signore stava camminando, cantando e
danzando..." (non diceva più di una frase alla volta e spostava di nuovo
l'interruttore, faceva una pausa e poi ricominciava a dettare) "migliaia di
persone Lo seguivano... alcuni ridevano... alcuni danzavano... e cantavano...
Altri si gettavano a terra per offrire il loro omaggio al Signore."
Parlando e fermandosi, spegnendo e riaccendendo il microfono, sedeva eretto e
talvolta si dondolava leggermente, o muoveva la testa mentre cercava le parole
più adatte. Di tanto in tanto si chinava sui libri per studiarli attentamente
attraverso gli occhiali.
Era passata un'ora, e Swamiji continuava a lavorare.
Il palazzo era buio, tranne la lampada di Swamiji, e tranquillo, tranne il suono
della sua voce e il click del dittafono.
Portava un golf accollato di un color pesca pallido e sopra il cadar di
lana grigia, poiché si era appena alzato dal letto, il suo dhoti color
zafferano era stropicciato.
Senza nemmeno essere andato in bagno o essersi lavato il viso, rimaneva lì
seduto, assorto nel suo lavoro. Almeno in queste poche ore, la strada e il
tempio di Radha-Krishna erano tranquille e silenziosi.
La situazione, la notte, la zona tranquilla e lui impegnato nel suo
trascendentale lavoro letterario non era molto differente da quella che aveva
trascorso alle prime ore del mattino nella sua stanza del tempio di
Radha-Damodara, a Vrindavana, in India.
Certamente, allora non aveva il dittafono, ma aveva lavorato nelle stesse ore e
allo stesso libro, il Caitanya-caritamrta.
Una volta aveva cominciato una traduzione verso per verso, completa di commenti,
e un'altra volta aveva composto brevi saggi sul libro.
Adesso era appena arrivato in quest'altro angolo del mondo, così lontano dallo
scenario dei divertimenti di Sri Caitanya, e stava cominciando il primo capitolo
di una nuova versione in inglese del Caitanya-caritamrta. L'aveva
intitolata Insegnamenti di Sri Caitanya.
Stava seguendo quella che era diventata la sua routine di vita: alzarsi molto
presto e scrivere il messaggio parampara della coscienza di Krishna.
Mettendo da parte ogni altra considerazione, ignorando le circostanze del
momento, s'immergeva nel messaggio senza tempo della conoscenza trascendentale.
Questo era il suo servizio più importante a Bhaktisiddhanta Sarasvati. Il
pensiero di produrre altri libri e distribuirli in moltissime copie lo ispirava
ogni notte ad alzarsi per tradurre.
Bhaktivedanta Swami lavorava fino all'alba. Poi interrompeva il lavoro e si
preparava a scendere nel tempio per l'incontro del mattino.
Anche se
alcuni dei suoi discepoli di New York si erano. dichiarati contrari, Swamiji
aveva ancora in programma di partecipare al "Mantra-Rock Dance" alla Sala Avalon.
Non andava bene, avevano detto, che i devoti di San Francisco chiedessero al
loro maestro spirituale di andare in un posto simile.
Ci sarebbero state chitarre elettriche, amplificatori, batterie assordanti e una
sarabanda di luci e centinaia di hippy drogati. Come avrebbe potuto
trasmettere il suo puro messaggio in un posto simile?
Ma a San Francisco, Mukunda e gli altri avevano lavorato per mesi a questo "Mantra-Rock
Dance".
Avrebbe attirato migliaia di giovani, e il tempio di Radha-Krishna a San
Francisco avrebbe probabilmente incassato migliaia di dollari. Anche se con i
suoi discepoli di New York si era mostrato un po' incerto sul da farsi, ora
Prabhupada non diceva più nulla che potesse raffreddare l'entusiasmo dei suoi
seguaci di San Francisco.
Sam Speerstra, amico di Mukunda e uno degli organizzatori del "Mantra-Rock
Dance", spiegò l'idea ad Hayagriva, che era appena arrivato da New York: "Qui
sta cominciando una nuova era per la musica di San Francisco. I Grateful Dead
hanno inciso il loro primo album ed è già stato un successo. Il fatto che si
siano offerti di tenere questo concerto è una grossa pubblicità, e proprio
quando ne abbiamo bisogno."
"Ma Swamiji dice che perfino Ravi Shankar è maya", aveva detto
Hayagriva.
"Oh, ma abbiamo provveduto a tutto come si deve", lo rassicurò Sam. "Tutti i
complessi si riuniranno sul palco, e Allen Ginsberg presenterà Swamiji a tutti a
San Francisco. Swamiji farà un discorso e poi canterà Hare Krishna insieme a
tutti i complessi. Poi uscirà. Ci saranno probabilmente quattromila persone."
Bhaktivedanta Swami sapeva che non si sarebbe compromesso: sarebbe arrivato,
avrebbe fatto il kirtana e se ne sarebbe andato di nuovo. La cosa
veramente importante era diffondere il canto del mantra Hare Krishna.
Se migliaia di giovani riuniti per ascoltare della musica rock potevano essere
impegnati nell'ascolto e nel canto di Dio, cosa c'era di male?
Nella sua qualità di predicatore, Bhaktivedanta Swami era pronto ad andare in
qualsiasi luogo pur di diffondere la coscienza di Krishna. Poiché il canto Hare
Krishna è assoluto, chi ascoltava o cantava i nomi di Krishna, chiunque, in
qualsiasi luogo e in qualsiasi condizione, poteva salvarsi dal cadere nelle
specie inferiori nella vita successiva.
Questi giovani hippy volevano qualcosa di spirituale, ma erano privi di
guida. Erano confusi e scambiavano allucinazioni per visioni spirituali. Ma
stavano cercando la vera vita spirituale, proprio come molti giovani del Lower
East Side.
Bhaktivedanta Swami decise che sarebbe andato; i suoi discepoli volevano che
andasse, e lui era il loro servitore e il servitore di Sri Caitanya.
Mukunda, Sam e Harvey Cohen si erano già incontrati con il manager rock Chet
Helms, che aveva concesso l’uso della Sala Avalon, e se fossero riusciti a far
venire i complessi, tutto quello che rimaneva dopo aver pagato i musicisti,
l'assicurazione e poche altre spese indispensabili, sarebbe andato al tempio di
Radha-Krishna di San Francisco.
Mukunda e Sam erano andati alla ricerca dei complessi, che vivevano per la
maggior parte nella zona della Bay, e uno dopo l'altro, i più entusiasmanti
gruppi rock di San Francisco, i Grateful Dead, i Moby Grape, i Big Brother e la
Holding Company, i Jefferson Airplane e i Quicksilver Messanger Service, avevano
acconsentito a comparire con Swami Bhaktivedanta per un compenso di 250 dollari
per ogni gruppo. E Allen Ginsberg era stato d'accordo.
Il panorama era completo.
La sera del Concerto di Mantra-rock, davanti all'entrata c'era una fila di gente
che si snodava lungo la strada e tutt'intorno all'isolato, e tutti aspettavano
di comprare i biglietti, a 2 dollari e cinquanta a testa.
C'era molta gente, il tutto esaurito, e sarebbero intervenuti i più grandi
personaggi del tempo.
Il pioniere dell'LSD, Thimoty Leary, era già arrivato, e gli avevano offerto un
posto d'onore sul palco.
Swami Kriyananda era venuto, portandosi il suo tambura.
Arrivò un uomo in bombetta e abito scuro, con un sash di seta con su
scritto SAN FRANCISCO. Sosteneva di essere il sindaco.
All'entrata Mukunda fermò un giovane ben vestito che non aveva il biglietto. Ma
qualcuno gli batté sulla spalla: "Fallo entrare.
Va bene. È Owsley." Mukunda si scusò e si fece da parte per far passare Augustus
Owsley Stanley II, eroe popolare, il famoso sintetizzatore dell'LSD, che entrava
senza biglietto.
Quasi tutti gli intervenuti portavano abiti vistosi o insoliti: costumi tribali,
poncho messicani, kurta indiani, "occhi di-Dio", piume e
japa. Alcuni hippy si erano portati i loro flauti, liuti, zucche
vuote, tamburi, sonagli, corni e chitarre.
Gli Hell's Angels, con le chiome sporche, abbigliati con jeans, stivaloni e
giacchette di jeans, e accompagnati dalle loro donne, fecero il loro ingresso
portando catene, fumando e mettendo in mostra tutta la loro collezione di
elmetti tedeschi, stemmi blasonati e tutto il resto, tranne le moto che avevano
parcheggiato fuori.
I devoti sul palco cominciarono un kirtana per scaldare l'atmosfera,
danzando come aveva insegnato loro Swamiji.
L'incenso si riversava giù dal palco e dagli angoli della grande sala. E sebbene
la maggior parte del pubblico fosse sotto l'effetto di stupefacenti, l'atmosfera
era tranquilla; erano venuti a cercare un'esperienza spirituale.
Quando cominciò il canto, molto melodioso, alcuni dei musicisti entrarono
suonando i loro strumenti, Cominciò lo spettacolo di luci; lampi di luci
psichedeliche, palloni colorati saltavano avanti e indietro al ritmo della
musica, larghe chiazze di colori pulsanti si allargavano sul pavimento, sui muri
e sul soffitto.
Poco dopo le otto i Moby Grape salirono sul palco. Con pesanti chitarre
elettriche, bassi e due batterie, si lanciarono nel primo numero.
I grossi amplificatori scuotevano la sala con le loro vibrazioni, e un boato di
approvazione si alzò dal pubblico.
Verso le nove e mezza Swamiji uscì dall'appartamento di Frederick Street per
salire sul sedile posteriore della Cadillac di Harvey.
Indossava i suoi soliti abiti color zafferano, e attorno al collo portava una
ghirlanda di gardenie, il cui dolce profumo aveva invaso la macchina. Sulla
strada per l'Avalon parlò della necessita di aprire altri centri.
Alle dieci Swamiji saliva le scale dell'Avalon, seguito da Kirtanananda e
Ranacora.
Quando lo videro entrare, i devoti soffiarono nelle conchiglie, qualcuno
cominciò a rullare sulla batteria e la folla si divise nel mezzo, per tutta la
lunghezza dall'entrata al palco, facendogli largo per passare.
Con la testa
alta, Swamiji sembrava galleggiare mentre camminava in mezzo a quella strana
folla, facendosi strada verso il palco.
Improvvisamente lo spettacolo di luci cambia. Immagini di Krishna e dei Suoi
divertimenti si susseguirono sui muri: Krishna e Arjuna insieme sul carro di
Arjuna, Krishna che mangiava il burro, Krishna che domava il demone-tornado,
Krishna che suonava il flauto.
Mentre Swamiji procedeva in mezzo alla folla, tutti si alzarono in piedi,
battendo le mani e gridando la loro approvazione.
Salì la scaletta e si sedette dolcemente sul cuscino che l'aspettava. La folla
si calmò.
Voltandosi verso Allen Ginsberg, Swamiji disse: "Puoi dire qualcosa sul
mantra." Allen cominciò a parlare di quello che sapeva e aveva sperimentato
con il mantra Hare Krishna.
Disse come Bhaktivedanta Swami aveva aperto il negozietto sulla Seconda Avenue e
aveva cantato Hare Krishna a Tompkins Square Park. E invitò tutti al tempio di
Frederick Street: "Raccomando in particolare i kirtana del mattino",
disse, "per quelli che rientrando da un acido vogliono stabilizzare la propria
coscienza nel rientro."
Poi Swamiji prese la parola per dare una breve storia del mantra.
Quindi guardò di nuovo Allen: "Puoi cantare tu."
Allen cominciò a suonare il suo harmonium e a cantare nel microfono, con la
melodia che aveva portato dall'India.
Pian piano, sempre più numeroso il pubblico comincia a cantare con lui.
Mentre il kirtana continuava il pubblico diventava sempre più
entusiasta, i musicisti dei vari gruppi salirono sui palco per partecipare.
Ranacora, che era un buon percussionista, si mise alla batteria dei Moby Grape.
Alcuni chitarristi e suonatori di basso si unirono al kirtana e un
folto gruppo di hippy salì sul palco.
Le strisce di olio colorato proiettavano i loro movimenti pulsanti sulle pareti
e i palloni di colore continuavano a saltare su e giù al ritmo del mantra
che veniva proiettato sul muro: Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna,
Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. Mentre il canto si
diffondeva per tutta la sala, alcuni hippy si alzarono in piedi,
alzarono le braccia e cominciarono a danzare.
Allen Ginsberg: Continuammo a cantare Hare Krishna per tutta la sera. Era
assolutamente meraviglioso, una cosa aperta a tutti.
Era il massimo dell'entusiasmo spirituale di Haight-Ashbury. Era la prima volta
che in una scena musicale a San Francisco tutti potevano partecipare
attivamente.
Tutti potevano cantare e danzare, invece di stare a sentire altri che cantavano
e danzavano.
Janaki: La gente non sapeva perché stava cantando. Ma il fatto di vedere
tante persone che cantavano, anche se per la maggior parte erano intossicate,
rese molto felice Swamiji.
Vedere la gente che cantava era la cosa che amava di più.
Hayagriva: Ero proprio di fronte ai musicisti, e non riuscivo a sentire
quasi niente. Ma al di sopra di tutto il baccano potevo capire che stavano
cantando Hare Krishna, e che il canto si rinforzava.
Sul muro dietro al palco stavano proiettando un'enorme diapositive di Krishna,
ornato di una corona d'oro e di una piuma di pavone, col flauto tra le mani.
Poi Swamiji si alzò in piedi, sollevò le braccia e cominciò a danzare. Fece
segno a tutti di unirsi a lui, e quelli che erano ancora seduti si alzarono a
danzare e cantare, ondeggiando avanti e indietro, seguendo la dolce danza dello
Swami.
Roger Segal: La gente nella sala sembrava un campo di grano mosso dal vento.
C'era una sensazione di pace, molto diversa dall'atmosfera solitamente carica di
energia della sala Avalon.
Il canto del mantra Hare Krishna continuò per più di un'ora, e alla
fine tutti saltavano e gridavano, e molti piangevano e strillavano.
Qualcuno mise un microfono davanti a Swamiji, e la sua voce risuonò forte nei
potenti amplificatori.
Il ritmo accelerò. Swamiji sudava abbondantemente. Kirtanananda insisteva che
bisognava fermare il kirtana.
Disse che Swamiji era troppo anziano per fare una cosa simile e poteva essere
pericoloso. Ma il canto continuò, sempre più veloce finché le parole del
mantra non si potevano più distinguere tra la musica amplificata e il coro
di migliaia di voci.
Poi, improvvisamente, finì. E tutto quello che rimaneva era il forte ronzio
degli amplificatori e la voce squillante dello Swami che offriva gli omaggi al
suo maestro spirituale: "Om Visnupada Paramahamsa Parivrajakacarya
Astottara-Sata Sri Srimad Bhaktisiddhanta Sarasvati Gosvami Maharaja ki
jaya!... Tutte le glorie ai devoti riuniti!"
Swamiji scese dal palco attraverso il fumo denso e la folla, e scese la
scalinata con Kirtanananda e Ranacora che lo seguivano a ruota. Allen annunciò
il prossimo gruppo rock.
Mentre lasciava dietro di sé la sala e la folla osannante, Swamiji commentò:
"Questo non è proprio un posto per brahmacari."
A San
Francisco alcuni tra i seguaci più riflessivi di Bhaktivedanta Swami osservarono
che alcuni candidati all'iniziazione non avevano veramente intenzione di
assumerai l'importante responsabilità di rispettare per tutta la vita gli
impegni che un discepolo si assume nei riguardi del suo guru.
"Swamiji", dicevano, "alcune di queste persone vengono solo per prendere
l'iniziazione.
Non li abbiamo mai visti prima e non li vedremo più."
Swamiji rispose che era un rischio che si doveva assumere.
Un giorno, in una lezione nel tempio spiegò che sebbene al momento
dell'iniziazione vengano eliminate le reazioni dei peccati passati del
discepolo, il maestro spirituale rimane responsabile della sorte del discepolo
finché questi non viene liberato dal mondo materiale.
Perciò Sri Caitanya ci ha avvertito che un guru non dovrebbe accettare
molti discepoli. Una sera, nel tempio, durante lo spazio riservato a domande e
risposte, un tipo grande e grosso con la barba alzò la mano e chiese a Swamiji:
"Posso prendere l'iniziazione?"
L'intempestività di questa richiesta pubblica disturbò alcuni dei seguaci di
Swamiji, ma lui rimase tranquillo.
"Sì", rispose. "Ma prima devi rispondere a due domande.
Chi è Krishna?"
Il ragazzo rifletté un attimo e poi disse: "Krishna è Dio."
"Sì", rispose Swamiji. "E tu chi sei?"
Di nuovo il ragazzo si fermò a riflettere e poi rispose:
"Io sono un servitore di Dio."
"Molto bene", disse allora Swamiji. "Sì, puoi essere iniziato domani stesso."
Bhaktivedanta Swami sapeva che sarebbe stato difficile per i suoi discepoli
occidentali rimanere attaccati alla coscienza di Krishna e raggiungere la meta
ultima: il puro servizio devozionale.
Per tutta la vita, fino a quel momento, avevano ricevuto la peggiore delle
educazioni, e nonostante il loro cristianesimo nominale e la ricerca filosofica,
la maggior parte di loro era completamente all'oscuro della scienza di Dio.
Non sapevano nemmeno che il sesso illecito e il consumo di carne erano cose
sbagliate, sebbene lo accettassero quando lui lo diceva. E cantavano liberamente
Hare Krishna. Come poteva respingerli?
Certamente, il tempo avrebbe mostrato se sarebbero riusciti a perseverare nella
coscienza di Krishna nonostante le continue seduzioni di maya.
Alcuni sarebbero caduti questa era la tendenza umana. Ma altri no.
Almeno quelli che seguivano sinceramente le sue istruzioni sul canto del
mantra Hare Krishna ed evitavano le attività illecite avrebbero raggiunto
il successo.
Swamiji faceva un esempio: qualcuno può dire che il cibo che oggi è fresco, se
non è usato nel modo giusto, domani si guasterà.
Ma se oggi è fresco, dire che in futuro potrà essere usato male e sprecato, è
solo una supposizione.
Sì, nel futuro chiunque poteva cadere. Ma Bhaktivedanta Swami pensava che fosse
una sua responsabilità personale il fatto d'impegnare i suoi discepoli adesso. E
stava dando loro il metodo che, opportunamente seguito, li avrebbe protetti
dalle cadute.
A parte la tradizione vedica, anche per lo standard dei discepoli di New York, i
devoti di San Francisco non erano proprio in linea.
Alcuni continuavano a frequentare la rivendita di ciambelle, a mangiare cibo
senza offrirlo a Krishna e a mangiare cose proibite come il cioccolato e i
gelati commerciali.
Alcuni arrivavano perfino a farsi una fumatina dopo il kirtana, proprio
fuori della porta del tempio. Alcuni prendevano l'iniziazione senza sapere
precisamente che tipo d'impegno avevano accettato.
Kirtanananda: L'atmosfera di San Francisco era molto più rilassata.
I devoti non rinunciavano al caffè e alle ciambelle. Ma Swamiji era entusiasta
di vedere quanta gente veniva, e gli era molto piaciuto il programma alla Sala
Avalon.
C'erano due facce della medaglia: quelli che seguivano strettamente tutti i
principi e le regole ed enfatizzavano la purezza, e quelli che non si
preoccupavano molto delle regole, ma volevano diffondere il più possibile la
coscienza di Krishna.
Swamiji era così grande che apparteneva a tutti e due i gruppi.
I
kirtana della sera e del mattino avevano già reso famoso il tempio di
Radha-Krishna in Haight-Ashbury, ma quando i devoti cominciarono a distribuire
gratuitamente un pasto al giorno, il tempio diventò davvero parte integrante
della comunità.
Swamiji disse ai suoi discepoli che avrebbero dovuto semplicemente cucinare e
distribuire prasada quella sarebbe stata l'unica loro attività durante
il giorno. Al mattino avrebbero cucinato, e a mezzogiorno avrebbero dato da
mangiare a chiunque fosse venuto, spesso arrivavano anche 150 o 200 hippy
dalle strade di Haight-Ashbury.
Prima del kirtana del mattino le ragazze mettevano dei fiocchi d'avena
sulla stufa, e per colazione la stanza era piena di hippy, la maggior
parte dei quali era stata in piedi tutta la notte.
Per alcuni, la crema d'avena e la frutta che ricevevano al tempio erano il primo
cibo solido che vedevano da giorni.
Ma il programma più importante era il pranzo.
Malati usciva a fare spese raccogliendo, ogni volta che era possibile, donazioni
di farina integrale, di farina di ceci, piselli secchi, riso e le verdure più
economiche che c'erano sul mercato, o addirittura gratis: patate, carote, rape,
barbabietole.
Così ogni giorno i cuochi preparavano un purè di patate con spezie, capati
col burro, un dal di piselli secchi e un piatto di verdure per duecento persone.
La distribuzione del pranzo era possibile anche grazie all'aiuto di molti
commercianti, che facevano volentieri buone donazioni riconoscendo la necessità
di dar da mangiare agli hippy.
Harsarani: La distribuzione del pranzo attirava gran parte della folla di
hippy Hill, che evidentemente aveva bisogno di cibo. Avevano fame
davvero.
Venivano anche altre persone che lavoravano al tempio ma non erano iniziati. Il
giradischi suonava il disco che lo Swamiji aveva inciso a New York con i suoi
discepoli.
Era una bella atmosfera, sembrava di essere in famiglia.
Haridasa: Portavamo il cibo anche fuori del negozio. Ma per lo più veniva
servito al tempio.
Era incredibile. La gente si accalcava e dovevamo metterli in fila, da un muro
all'altro.
Molti volevano solo mangiare e andarsene.
Gli altri negozi lungo Haight-Ashbury vendevano di tutto, dai dischi rock alle
perline, ma il nostro negozio era diverso, noi non stavamo vendendo nulla,
stavamo distribuendo.
Tutti erano benvenuti.
Eravamo come un rifugio, un riparo dal tumulto e dalla pazzia che c'era in giro.
In quel senso era come un ospedale e penso che abbiamo aiutato, e forse anche
salvato, un mucchio di gente.
E non solo l'anima.
Voglio dire, abbiamo salvato anche il corpo e la mente, proprio perché quello
che stava succedendo per loro nella nostra strada era troppo per loro. Non ce
l'avrebbero fatta.
Voglio dire, le overdose di droga.
Era gente semplicemente disperata, che aveva bisogno di conforto e che, in un
modo o nell'altro, approdava o naufragava vicino al tempio.
Alcuni rimasero e diventarono devoti, altri prendevano prasada e se ne
andavano.
Ogni giorno succedeva qualche cosa d'incredibile, e Swamiji era lì e
partecipava. La distribuzione del pasto era stata una sua idea.
Quelli che
erano più interessati e volevano fare domande, quelli che cercavano la vita
spirituale andavano su a parlare con Swamiji nella sua stanza.
Molti arrivavano in preda all'ansia più completa, sulla guerra nel Vietnam, o su
qualunque cosa stesse succedendo, problemi con la legge, brutte esperienze con
gli allucinogeni, o preoccupazioni per il fatto di aver lasciato la scuola o la
famiglia.
L'opinione pubblica era molto preoccupata per il massiccio afflusso di giovani a
San Francisco, una situazione che rappresentava un problema sociale praticamente
incontrollabile.
La polizia e gli assistenti sociali erano preoccupati per i problemi di salute e
la miseria, specialmente in Haight-Ashbury.
Alcuni borghesi temevano che gli hippy diventassero i padroni della
città.
Le autorità locali accolsero con gioia il servizio offerto dal tempio di Swami
Bhaktivedanta, e quando i consiglieri comunali di Haight-Ashbury si trovarono a
discutere la proposta di formare un comitato di emergenza per affrontare la
crisi, chiesero la partecipazione di Swami Bhaktivedanta.
Michael Bowen: Bhaktivedanta aveva una straordinaria abilità di far uscire
la gente dalla droga attraverso la devozione, specialmente quelli che prendevano
anfetamine, eroina e nei casi di trip con l'LSD andati male.
Haridasa: La polizia arrivava nel parco con i cellulari a fare una battuta
nelle prime ore del mattino e raccoglieva i ragazzini scappati di casa che erano
fuori a dormire nel parco.
La polizia li raccoglieva e cercava di rimandarli a casa.
Gli hippy avevano bisogno di tutto l'aiuto che riuscivano a trovare, e
lo sapevano.
Il tempio di Radha-Krishna era certamente una specie di rifugio spirituale. I
ragazzi lo sentivano.
Erano sempre in fuga e vivevano per la strada, senza un posto dove andare e dove
riposare, dove esser sicuri che nessuno avrebbe fatto loro del male.
Moltissimi ragazzi crollavano letteralmente nel tempio.
Penso che abbiamo salvato moltissime vite, se non fosse stato per gli Hare
Krishna ci sarebbero stati molti più disastri. Era come aprire un tempio al
fronte, sul campo di battaglia.
Era il luogo più difficile, ma anche il luogo dove ce n'era più bisogno.
Sebbene lo Swami non avesse precedenti esperienze di situazioni simili, applicò
il sistema del canto con risultati miracolosi.
Il canto del mantra era meraviglioso. Funzionava.
Come aveva
consigliato Allen Ginsberg a cinquemila hippy riuniti alla sala Avalon,
il kirtana del mattino al tempio offriva un servizio vitale alla
comunità per quelli che rientravano da un trip con I'LSD e volevano
"stabilizzare la coscienza nel rientro".
Allen stesso capitò diverse volte al tempio accompagnato da alcuni amici con i
quali era stato sveglio tutta la notte. Ma ogni tanto i "rientri" arrivavano
precipitando senza alcun controllo per schiantarsi a terra nel mezzo della
notte.
Una mattina alle due i ragazzi che dormivano nel negozietto furono svegliati da
colpi alla porta, urli e dalle luci della polizia.
Quando aprirono la porta, un giovane hippy con i capelli e barba rossi
si precipitò dentro, gridando: "Oh, Krishna, Krishna! Aiutami! Non lasciate che
mi prendano! Per amor di Dio, aiutatemi!"
Un poliziotto si affacciò alla porta, sorridendo. "Abbiamo deciso di portarlo
qui", disse, "perché pensavamo che forse voi ragazzi potevate aiutarlo."
"Non ci sto bene in questo corpo!" urlava il ragazzo mentre il poliziotto
richiudeva la porta.
Il ragazzo cominciò a recitare il mantra furiosamente e diventò pallido
come un morto, tutto sudato per il terrore.
I ragazzi di Swamiji passarono il resto della mattinata a consolarlo e a cantare
con lui, finché lo Swami scese per il kirtana e la lezione.
Spesso i devoti mandavano le persone più sofferenti da Swamiji a presentargli i
loro problemi. Permettevano quasi a tutti di andare da Swamiji, a portargli via
il suo tempo prezioso.
Mentre era in giro per San Francisco, Ravindra svarupa incontrò uno che
sosteneva di aver visto della gente che veniva da Marte, entrare nella sua
tenda, mentre stava in Vietnam.
L'uomo, che era appena stato dimesso da un ospedale militare, diceva che i
marziani gli avevano parlato.
Ravindra svarupa gli parlò del libro di Swamiji ‘Easy journey to other
planet’, (Viaggio facile su altri pianeti) che sosteneva la tesi della vita
su altri pianeti, e gli suggerì che forse lo Swami poteva dirgli qualcosa di più
sui marziani. Così l'uomo andò a trovare lo Swami nel suo appartamento. "Sì,"
rispose Swamiji, "i marziani esistono."
Gradualmente, i seguaci di Swamiji cominciarono ad avere più cura per il loro
maestro spirituale, e a proteggerlo dalle persone che immaginavano
indesiderabili.
Uno di questi indesiderabili era Rabbit (il Coniglio), forse l'hippy
più sporco di Haight-Ashbury.
La chioma del Coniglio era sempre spettinata, sporca e anche infestata dai
pidocchi. Era vestito di stracci luridi e il suo corpo era ricoperto da una
spessa crosta di sporcizia, e puzzava.
Voleva vedere lo Swami, ma i devoti non glielo permisero, non volendo impestare
la stanza di Swamiji con la rivoltante e puzzolente presenza del Coniglio.
Ma una sera, dopo la lezione, il Coniglio rimase ad aspettare fuori della porta
del tempio e quando Swamiji passò, gli chiese: "Posso venire su a parlare con
te?" Swamiji acconsentì.
Per quanto riguardava le sfide, quasi ogni sera c'era qualcuno che veniva a
discutere con Swamiji.
C'era uno che veniva regolarmente e si preparava gli argomenti su un libro di
filosofia, da cui leggeva a voce alta. Swamiji demoliva i suoi argomenti, e lui
tornava la volta dopo con un altro argomento.
Una sera, dopo che l'uomo ebbe lanciato la sua ennesima sfida, Swamiji si limitò
a guardarlo, senza neanche prendersi il fastidio di rispondere. Il disinteresse
di Swamiji fu un'altra sconfitta per quell'uomo, che si alzò e scomparve.
Israel, come il Coniglio, era un altro famoso personaggio di Haight-Ashbury.
Aveva i capelli lunghi, legati a coda di cavallo, e spesso suonava la tromba
durante il kirtana.
Dopo una delle lezioni serali di Swamiji, Israel lancia la sua sfida: "Questo
canto sarà anche bello, ma quale beneficio può portare al mondo? Che cosa fa per
l'umanità?"
Swamiji rispose: "E tu, non stai nel mondo? Se piace a te, perché non dovrebbe
piacere anche agli altri? Allora, canta più forte, a voce alta."
Un tipo coi baffi che stava in piedi in fondo alla stanza, chiese, "Tu sei il
guru di Allen Ginsberg?" Molti devoti si resero conto che la domanda
era carica di significato, e rispondere si o no sarebbe stato difficile e
compromettente.
Swamiji rispose: "Io non sono il guru di nessuno. Io sono il servitore
di tutti."
Per i devoti, la conversazione diventò trascendentale grazie alla risposta di
Swamiji.
Non solo Swamiji aveva risposto in modo intelligente, la sua risposta veniva dal
cuore, dalla sua profonda, spontanea umiltà.
Un giorno, una giovane coppia, una donna con un bambino in braccio e un uomo con
uno zaino in spalla, assisteva alla lezione del mattino.
Quando fu il momento delle domande, l'uomo chiese: "E la mia mente?" Swamiji gli
rispose secondo la filosofia, ma l'uomo continuava a ripetere: "E la mia mente?
E la mia mente?" Con uno sguardo supplichevole e pieno di compassione, Swamiji
disse: "Non ho altra medicina.
Ti prego, canta Hare Krishna. Non ho altre spiegazioni. Non ho altre risposte."
Ma l'uomo continuava a parlare della sua mente.
Alla fine, una delle devote lo interruppe e disse: "Perché non fai quello che ti
dice? Devi solo provare." E Swamiji prese i suoi karatala e cominciò il
kirtana.
Una sera un ragazzo fece irruzione durante la lezione, esclamando che stava per
scoppiare una sommossa ad Haight Street. Lo Swami avrebbe dovuto immediatamente
venire a parlare alla folla per calmarla.
Mukunda gli spiegò che non c'era bisogno che andasse Swamiji, altri potevano
risolvere il problema.
Il ragazzo continuò a fissare Swamiji come se volesse dare un ultimatum: se
Swamiji non fosse venuto subito, ci sarebbe stata una sommossa, e la colpa
sarebbe stata di Swamiji.
Swamiji parlò come se si stesse preparando a fare quello che il ragazzo voleva:
"Sì, sono pronto."
Ma nessuno andò, e non ci fu nessuna sommossa.
Di solito, durante il kirtana c'era sempre qualcuno che cominciava a
danzare in modo narcisistico ed egoista, e talvolta diventava un disturbo tale
che a un certo punto Swamiji gli chiedeva di smettere.
Una sera, prima che Swamiji scendesse dal suo appartamento, una ragazza in
minigonna aveva cominciato a contorcersi e fare giravolte nel tempio durante il
kirtana.
Quando uno dei devoti andò su da Swamiji a dirglielo, lui rispose: "Va bene.
Lasciate che usi la sua energia per Krishna. Tra poco scendo, e vedrò
personalmente come vanno le cose."
Swamiji arrivò e cominciò un altro kirtana, e la ragazza, che era molto
magra, ricominciò con le sue piroette e i suoi contorcimenti.
Swamiji aprì gli occhi, la vide, aggrottò le sopracciglia e guardando alcuni tra
i suoi discepoli, manifestò il suo disappunto.
Una devota prese da parte la ragazza e tranquillamente la condusse fuori.
Qualche minuto dopo la ragazza tornò indossando un paio di ampi calzoni e
riprese a danzare in modo più riservato.
Swamiji era seduto sulla sua pedana, davanti alla stanza piena di gente, quando
all'improvviso una ragazza grassa che era seduta nella vetrina si alzò e
comincio a gridare.
"E tu non fai altro che restartene seduto lì?" urlava. "Che farai adesso?
Avanti! Non dici niente? Che farai? E chi sei tu?"
La sua azione fu così improvvisa e le sue parole così violente che nessuno nella
stanza riuscì a dir nulla.
Swamiji non si arrabbiò; rimase seduto tranquillamente. Sembrava ferito.
Solo i devoti seduti accanto a lui gli sentirono dire piano, come se parlasse
tra sé, "Nelle tenebre più oscure."
Un'altra sera Swamiji stava tenendo la lezione quando un ragazzo si alzò e venne
a sedersi sulla pedana accanto a lui. Il ragazzo si volse verso il pubblico e
interruppe Swamiji. "Adesso vorrei dire qualcosa."
Swamiji disse gentilmente: "Aspetta dopo la lezione. Dopo ci sono le domande."
Il ragazzo aspetta qualche minuto, sempre sulla pedana, e Swamiji continuò la
sua lezione. Ma di nuovo il ragazzo l'interruppe: "Ho qualcosa da dire, e voglio
dirla adesso."
I devoti presenti nella stanza sollevarono lo sguardo, attoniti, pensando che
Swamiji avrebbe risolto la cosa. Non volevano creare confusione.
Nessuno si alzò per fare qualcosa; rimasero semplicemente seduti mentre il
ragazzo si lanciava nei suoi discorsi incoerenti.
Allora Swamiji prese i karatala: "Va bene, facciamo un kirtana."
Il ragazzo rimase seduto lì per tutto il kirtana, a guardare Swamiji
con occhi da pazzo, e spesso con atteggiamenti minacciosi. Dopo una mezz'ora il
kirtana si fermò.
Swamiji prese una mela e la tagliò a pezzettini, come era solito fare. Poi mise
il temperino e un pezzetto di mela nella mano destra e la tese al ragazzo.
Il ragazzo
guardò Swamiji, poi abbassò lo sguardo alla mano tesa con il coltello e la mela.
Il silenzio cadde sulla stanza. Swamiji sedeva immobile, guardando il ragazzo
con un lieve sorriso.
Dopo un lungo momento di tensione, il ragazzo allungò la mano. Un sospiro di
sollievo salì dal pubblico quando il ragazzo scelse, dalla mano aperta di
Swamiji, il pezzetto di mela.
Haridasa: Osservavo il modo in cui Swamiji affrontava le situazioni. Non era
facile.
Per me era una vera prova del suo potere e della sua realizzazione, come
trattava con la gente, senza farseli nemici, senza agitarli o creare altri
problemi.
Trasformava la loro energia, la incanalava in modo che si tranquillizzassero
senza nemmeno rendersene conto, come quando accarezzi un bambino e lui smette di
piangere, Swamiji aveva un modo simile di agire con le sue parole, con il tono
di voce, con la sua pazienza di lasciarli andare avanti per un certo periodo di
tempo, di lasciarli sfogare e di risolvere la situazione.
Penso che si rendesse conto che i devoti non potevano dire: "Senti, quando vieni
al tempio non dovresti comportarti in questo modo. "Era una situazione delicata.
Spesso qualcuno saltava su a dire: "Io sono Dio”. Per loro era una visione o una
realizzazione che veniva dagli allucinogeni.
Cercavano di diventare i protagonisti della situazione. Volevano farsi
ascoltare, ed era facile sentire che gente come quella covava una specie di
rabbia contro lo Swami.
Talvolta parlavano in modo ispirato e poetico per un po' ma non riuscivano a
reggere per molto, e cominciavano a farfugliare.
E lo Swami non era uno che si limitasse a calmare la gente. Non aveva intenzione
di coccolare nessuno. Diceva: “Che vuoi dire ? Se sei Dio, devi essere
onnisciente, devi possedere le qualità di Dio. Sei forse onnisciente e
onnipotente ?”
Poi elencava tutte le caratteristiche necessarie per essere considerati un
avatara, una manifestazione di Dio. E con la logica li sconfiggeva.
Possedeva una conoscenza superiore e spiegava razionalmente: "Se sei Dio, puoi
fare questo? E hai questo potere?"
Talvolta la gente la prendeva come una sfida, e cercava d'impegnarsi in una
battaglia verbale con lo Swami.
L'attenzione del pubblico veniva attratta dall'individuo che cercando di
diventare il protagonista, stava causando confusione.
A volte era davvero difficile. Ero lì seduto e pensavo: "Come riuscirà a
sistemare quel tipo? E' un bel problema.
"Ma non era facile sconfiggere Swamiji.
Anche se non riusciva a convincere la persona, convinceva gli altri nella folla,
in modo che le energie cambiavano nella stanza, e il disturbatore si calmava.
Swamiji conquistava gli ascoltatori mostrando loro che quell'individuo non
sapeva quello che diceva. E quello sentiva che le vibrazioni della stanza
cambiavano, che la gente non stava più ad ascoltarlo, non gli dava più retta e
azzittiva.
Swamiji faceva leva sul pubblico, più che sul disturbatore. E lo faceva senza
schiacciarlo.
Lo faceva con un'intelligenza superiore, ma anche con molta compassione.
Quando lo vidi comportarsi in questo modo, capii che era un grande maestro e una
personalità molto potente.
Era così sensibile che non poteva fare male a nessuno, né fisicamente né sul
piano emozionale; così, quando una persona si sedeva e taceva, non era oppressa
da un senso di rabbia o di sconfitta, non era ferita. Era stata solo superata in
astuzia dallo Swami.
"Alle sei e
mezza andiamo a fare una passeggiata", disse una mattina Swamiji. "Possiamo
andare in macchina fino al parco."
Molti devoti lo accompagnarono al Laghetto Stowe del Golden Gate Park.
Conoscevano bene il parco, e portarono Swamiji a fare un pittoresco giro attorno
al lago, poi attraverso un ponticello, per sentierini che attraversavano il
bosco, e attraverso un ruscelletto, sperando di soddisfarlo offrendogli lo
spettacolo della bellezza della natura.
Tutto quello che Swami vedeva, lo vedeva con gli occhi delle Scritture, e i suoi
commenti sulle cose più ordinarie erano carichi di istruzioni trascendentali.
Camminando, rifletteva ad alta voce: "Coloro che desiderano vedere Dio devono
per prima cosa qualificarsi per poterlo vedere. Bisogna purificarsi.
Proprio come il sole che è coperto da una nuvola. Dicono: 'Oh, non c'è il
sole...' ma il sole c'è, invece. Sono soltanto i nostri occhi che sono coperti."
Come guide di un viaggio organizzato, i ragazzi portarono lo Swami nei posti più
pittoreschi. Incontrarono dei cigni che scivolavano dolcemente sul lago.
"Lo Srimad Bhagavatam", disse Swamiji, "paragona i devoti a cigni, e i
libri che parlano di Krishna a meravigliosi laghi di acque cristalline." Invece,
i non devoti, disse, erano corvi attratti dalla spazzatura degli argomenti
mondani.
Mentre camminava su un sentierino di ghiaia si fermò e fece loro notare:
"Guardate questi ciottoli. Esistono tanti esseri viventi quante pietruzze vedete
su questo sentiero."
I devoti si deliziavano nel guidare Swamiji fino a un boschetto di rododendri,
folto di cespugli pieni di fiori bianchi e rosa. E sentivano il privilegio di
poter vedere Krishna attraverso gli occhi dello Swami.
Il mattino dopo, quando Swamiji espresse di nuovo il desiderio di andare a fare
una passeggiata nel parco, altri devoti vollero unirsi al gruppo;
avevano sentito dagli altri che Swamiji aveva manifestato speciali sentimenti
durante la passeggiata.
Di nuovo i ragazzi erano pronti a guidarlo lungo un altro giro per visitare
posti nuovi attorno al lago, ma senza annunciare un cambiamento di programma,
lui cominciò a camminare su e giù sulla stradina asfaltata che costeggiava il
laghetto.
Swamiji si fermò sotto un grande albero e indicò degli escrementi di uccelli per
terra.
"Che significa questo?" chiese, rivolto a un ragazzo nuovo che camminava accanto
a lui. Il volto di Swamiji era serio. Il ragazzo arrossì violentemente.
"Io... eh... non so cosa significa." Swamiji rimase un attimo a riflettere,
aspettando una spiegazione.
I devoti si fermarono attorno a lui, osservando attentamente il terreno dove
stavano gli escrementi degli uccelli.
Il ragazzo pensava di dover decifrare il significato nascosto nel disegno degli
escrementi, un po’ come alcuni leggono il futuro nelle foglie del tè.
Sentì che forse avrebbe dovuto dire qualcosa: "E'... beh, sono le feci gli
escrementi di... eh... uccelli."
Swamiji sorrise e si rivolse agli altri, aspettando una risposta. Tutti rimasero
in silenzio.
"Significa," disse Swamiji, "che questi uccelli hanno vissuto su questo stesso
albero per più di due settimane." E rise.
"Anche gli uccelli sono attaccati al proprio appartamento."
Mentre passavano accanto a un gruppo di vecchietti che giocavano a scacchi,
Swamiji si fermò e si rivolse ai ragazzi.
"Guardate," disse.
"In questo paese i vecchi non sanno cosa fare. Così giocano come bambini e
buttano via i loro ultimi giorni, che dovrebbero essere usati invece per
sviluppare la loro coscienza di Krishna.
I figli sono grandi e se ne sono andati per la loro strada, perciò questo
dovrebbe essere per loro il momento ideale per coltivare la vita spirituale.
Invece no.
Si prendono un cane o un gatto, e invece di Servire Dio preferiscono servire un
cane.
E' davvero una gran sfortuna. Ma non vogliono ascoltare. Ormai il loro destino è
segnato. Per questo parliamo ai giovani, che sono alla ricerca."
Quando Swamiji oltrepassa con i ragazzi un verde prato sul fianco di una
collinetta proprio accanto a Kezar Drive, i ragazzi dissero che questa era la
famosa Hippie Hill.
In quelle ore del primo mattino il pendio erboso circondato da eucalipti e
querce era tranquillo e silenzioso. Ma in poche ore centinaia di hippy
sarebbero arrivati lì per riunirsi, stendersi sull'erba, incontrare amici e
"sballare" insieme.
Swamiji disse ai ragazzi che avrebbero dovuto venire qui a fare i kirtana.
Il canto del mantra era diventato popolare e attirava molta più gente
di quanta ne fosse venuta nei primi kirtana al Tompkins Square Park di
New York.
Talvolta Swamiji veniva personalmente al parco per cantare con i Suoi discepoli.
Una domenica arrivò inaspettatamente tra la delizia e la sorpresa dei devoti si
sedette e cominciò a suonare la mridanga e a guidare il kirtana
ad alta voce.
Swamiji era il centro dell'attrazione. Anche la sua età e il suo abito lo
rendevano speciale.
Gli altri frequentatori del parco erano per lo più giovani in jeans o nei vari
costumi hippy, ma lo Swamiji aveva settant'anni ed era vestito
elegantemente con i suoi abiti color zafferano.
E il modo in cui tutti i devoti l'avevano accolto con esclamazioni di gioia e si
erano inchinati al suo arrivo, e l'affetto con cui ora lo stavano guardando
faceva si che i presenti l'osservassero con curiosità e rispetto.
Non appena si fu seduto, alcuni bambini gli si avvicinarono. E lui li aveva
accolti sorridendo e li aveva affascinati e divertiti suonando la mrdanga
con un'eccezionale abilità.
Govinda dasi: Con l'arrivo di Swamiji il kirtana assumeva
un'autorità e una serietà che prima non aveva.
Non eravamo più ragazzi di San Francisco che cantavano Hare Krishna. Avevamo
profonde radici storiche e un vero significato.
Ora il kirtana aveva delle credenziali. La presenza di Swamiji
testimoniava il peso dell'autenticità storica del mantra.
Quando egli arrivava, arrivava l'intera successione dei maestri spirituali.
Dopo un'ora di canto Swamiji fermò il kirtana e si rivolse alla folla:
"Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama
Rama Rama, Hare Hare.
Questa è una vibrazione sonora, e bisogna capire che si tratta di una vibrazione
sonora trascendentale. E poiché è un suono trascendentale, tutti possono venirne
attratti anche senza bisogno di capire di che lingua si tratta. Per questo è
così bello. Anche i bambini sentono il desiderio di partecipare..."
Dopo aver parlato per cinque minuti, Swamiji ricominciò il kirtana.
Alcuni ragazzi si presero per mano e formarono un cerchio, cominciando a danzare
in tondo davanti a Swamiji.
Poi lo circondarono e cominciarono a danzare intorno a lui, sempre tenendosi per
mano.
Osservando ciò che stava accadendo nel prato, Swamiji sembrava molto felice di
vedere il cerchio di danzatori che gli giravano intorno cantando il mantra
Hare Krishna.
Sebbene l'entusiasmo di questi hippy fosse spesso selvaggio e sensuale,
la situazione aveva preso un'insolita dolcezza a causa del canto del mantra
Hare Krishna.
Per Swamiji l'importante era continuare il kirtana.
Nei suoi abiti color zafferano, che sembravano cambiare impercettibilmente
colore nel sole pomeridiano che si avviava al tramonto, li guardava in modo
buono, paterno, senza imporre limiti, ma semplicemente invitando tutti Cantare
Hare Krishna.
Un giorno
Malati si precipitò nell'appartamento di Swamiji, tirò fuori un piccolo oggetto
dalla borsa della spesa e lo pose sul tavolo di Swamiji per farglielo vedere.
"Che cos'è, Swamiji?" Bhaktivedanta Swami abbassò lo sguardo e contemplò una
piccola figura di legno, alta cinque o sei centimetri, con la testa piatta, un
nero volto sorridente e grandi occhi rotondi.
La figurina aveva due braccia rigide, tese in avanti, e un semplice torso giallo
e verde senza piedi visibili'.
Immediatamente Swamiji giunse le mani e chinò la testa, offrendo il suo omaggio
alla piccola figura.
"Hai portato il Signore Jagannatha', il Signore dell’universo," disse con un
grande sorriso e una luce negli occhi. "E' Krishna. Ti ringrazio molto."
Swamiji era raggiante di felicità, mentre Malati e gli altri si sedevano,
meravigliati dalla fortuna di poter vedere Swamiji così soddisfatto.
Swamiji spiegò che questo era Jagannatha, una Divinità di Krishna che era
adorata in tutta l'India da migliaia di anni.
Disse che Jagannatha è adorato insieme ad altre due Divinità: Suo fratello,
Balarama, e Sua sorella, Subhadra.
Con grande eccitazione, Malati confermò che c'erano altre figurine simili al
Cost Plus, un grande magazzino dove aveva trovato il piccolo Jagannatha, e
Swamiji disse che avrebbe dovuto andarci subito per prendere anche le altre.
Malati lo disse a suo marito Syamasundara e insieme si precipitarono a comprare
le altre due figurine.
Swamiji mise il sorridente Jagannatha dal volto nero sulla destra. Al centro
mise la figurina più piccola, Subhadra, che aveva una bocca rossa sorridente e
un torso rettangolare, giallo e nero.
La terza figura, Balarama, aveva la testa bianca e tonda, occhi contornati di
rosso e un felice e rosso sorriso.
Anche lui, come Jagannatha, aveva due braccine rigide che sporgevano in avanti,
e una base blu e gialla. Swamiji lo mise accanto a Subhadra.
Mentre li guardava tutti insieme sul suo tavolino, Swamiji chiese se qualcuno
fosse capace di scolpire il legno. Syamasundara disse che lui aveva fatto
l'intagliatore, e Swamiji gli chiese di fare delle copie alte un metro
esattamente simili ai piccoli Jagannatha, Balarama e Subhadra.
Più di duemila anni fa, raccontò loro Bhaktivedanta Swami, c'era un re chiamato
Indradyumna, che era devoto di Sri Krishna.
Maharaja Indradyumna voleva una statua del Signore così come era apparso quando,
insieme con Suo fratello Balarama e Sua sorella Subhadra, aveva viaggiato sul
carro fino al luogo santo di Kuruksetra durante un'eclissi solare.
Il re chiese a Visvakarma, un famoso artista dei pianeti superiori, di scolpire
quelle forme, e Visvakarma accettò, ma alla condizione che nessuno interrompesse
il suo lavoro.
Il re aspettò a lungo, mentre Visvakarma lavorava in una stanza chiusa a chiave.
Un giorno, tuttavia, il re non riuscì più a trattenersi e irruppe nella stanza
per vedere come stava procedendo il lavoro.
Come aveva predetto, Visvakarma scomparve, lasciando al re le forme incomplete
delle tre Divinità.
Il re fu comunque tanto contento delle tre meravigliose forme di Krishna,
Balarama e Subhadra che decise di adorarle così com'erano. Le installò in un
tempio e cominciò ad adorarle con grande opulenza.
Da allora, continuò Bhaktivedanta Swami, il Signore Jagannatha è stato adorato
in tutta l'India, specialmente nella provincia di Orissa, dove c'è un
grandissimo tempio di Jagannatha, a Puri.
Ogni anno a Puri c'è un gigantesco festival del Ratha-yatra, al quale
partecipano milioni di pellegrini, venuti da tutta l'India per adorare
Jagannatha, Balarama e Subhadra, mentre le Divinità passano in processione su
tre enormi carri.
Sri Caitanya, che trascorse gli ultimi diciotto anni della Sua vita a Jagannatha
Puri, ogni anno cantava e danzava in estasi davanti alle Divinità del Signore
Jagannatha durante il festival del Ratha-yatra.
Vedendo nell'apparizione di Jagannatha a San Francisco, la volontà di Krishna,
Swamiji disse che avrebbero dovuto accogliere Jagannatha con molta cura e
adorarlo.
Se Syamasundara poteva scolpire le forme, Swamiji le avrebbe installate
personalmente nel tempio, e i devoti avrebbero potuto cominciare l'adorazione
delle Divinità.
San Francisco, disse, poteva essere ribattezzata Nuova Jagannatha Puri. E cantò:
Jagannatha swami nayana-pathagami bhavatu me. "Questo è un mantra
per il Signore Jagannatha", disse. “Jagannatha” significa 'Signore
dell’universo.
O Signore dell'universo, Ti prego di renderti visibile ai miei occhi.
E' veramente una grande fortuna che Egli abbia scelto di apparire qui."
Syamasundara comprò tre grossi blocchi di legno, e Swamiji gli fece uno schizzo,
specificando molti dettagli.
Usando le piccole statue come modello, Syamasundara calcolò le proporzioni delle
nuove statue, e cominciò a scolpire sul balcone del suo appartamento. Nel
frattempo i devoti comprarono tutti gli altri piccoli Jagannatha al Cost Plus, e
diventò di moda attaccare un piccolo Jagannatha a una collana e portarlo sul
petto.
Poiché il Signore Jagannatha è molto misericordioso e buono con le persone più
degradate, spiega Swamiji, presto i devoti avrebbero potuto adorarlo nel loro
tempio.
L'adorazione delle forme di Radha e Krishna nel tempio richiedeva un livello
molto alto e diverse regole, cosa che i devoti non erano ancora in grado di
fare. Ma Jagannatha era così misericordioso che si poteva adorarlo anche in modo
molto semplice (soprattutto cantando Hare Krishna), anche se i devoti non erano
molto elevati. E gradualmente, man mano che procedevano nella vita spirituale,
spiegò Swamiji, avrebbe insegnato loro altri dettagli dell'adorazione delle
Divinità, insieme coi profondi concetti che la sostenevano.
La sera
dell'installazione, la stanza si affollò di devoti e ospiti hippy.
Swamiji era presente e c'era un'atmosfera rispettosa e festiva. Era un evento
speciale.
Le Divinità appena terminale stavano sull'altare e tutti contemplavano,
sull'asse di legno rosso sotto un baldacchino giallo, le Loro forme illuminate
da faretti. Le Divinità non portavano abiti né ornamenti, ma erano dipinte di
fresco, con tinte vivaci: nero, rosso, bianco, verde, giallo e blu.
Sorridevano. Anche Swamiji Le guardava, alzando lo sguardo verso l'altare.
Poi Swamiji dette inizio all'installazione delle Divinità.
Adesso c'era tutto il necessario per la vita spirituale: il tempio, i devoti, i
libri, le Divinità e il prasada. E voleva che questi ragazzi ne
approfittassero.
Perché avrebbero dovuto continuare a vivere come animali e pensare alla vita
spirituale come a una vaga ricerca di "qualcosa"? Dovevano approfittare della
misericordia di Krishna e rendere la loro vita felice e piena di successo.
Per dare loro questa possibilità, Swamiji si considerava il loro instancabile
servitore.
Swamiji: "Allora, Hayagriva? Vieni qui."
Swamiji aveva chiesto ai devoti di procurare un piatto e una grossa candela. La
cerimonia da celebrare era estremamente semplice: i devoti e gli ospiti, uno
dopo l'altro, si sarebbero fatti avanti per offrire la fiamma in ampi cerchi
davanti alle Divinità di Jagannatha.
"Dovete accenderla", disse Swamiji, "e mentre c'è il kirtana uno viene
avanti e fa così davanti alle Divinità. [Swamiji muoveva le mani in cerchio
davanti all Divinità.] Capito?"
Hayagriva: "Sì, sì."
Swamiji: "Sì, con il kirtana. E quando una persona è stanca dovrebbe
passare la fiamma a un altro devoto. Quando questo è stanco la passa a un altro,
e così via, finché continua il kirtana. Avete capito? Sì. Comincia tu,
e quando sei stanco passa a un altro. E così via."
Swamiji, dal suo seggio, guida Hayagriva ad avvicinarsi alle Divinità con la
candela accesa.
Alcune ragazze ridacchiavano nervosamente per l'eccitazione. "Davanti alle
Divinità", disse Swamiji. "Va bene. Ora comincia il kirtana."
Swamiji cominciò a suonare i karatala e a cantare Hare Krishna sulla
melodia che aveva portato in America, e che ormai era molto popolare.
"Proprio davanti", gridò, facendo segno ad Hayagriva di stare più davanti alle
Divinità.
Devoti e ospiti cominciarono ad alzarsi in piedi e a danzare con le braccia
alzate ondeggiando ritmicamente avanti e indietro, mentre cantavano di fronte
alle splendenti forme personali delle Divinità.
Dal baldacchino, lampade colorate cominciarono a emettere lampi di luce blu,
rosso e giallo, mettendo in risalto gli occhi straordinari di Jagannatha,
Subhadra e Balarama. Mukunda, che aveva preparato le luci, sorrise e guardò
Swamiji, sperando di aver riscosso la sua approvazione. Swamiji annuì e continuò
con forza a cantare Hare Krishna.
I giovani hippy erano entusiasti di cantare e danzare, sapendo che in
genere il kirtana durava un'ora.
Alcuni avevano raccolto le parole dello Swami, quando aveva detto che avrebbero
dovuto fissare la mente sulla forma personale del Signore Supremo, e avevano
capito quando, alzando lo sguardo a contemplare le Divinità, aveva detto: "Ecco
Krishna."
Altri non avevano capito, ma pensarono che era comunque un'esperienza
meravigliosa e piena di felicità cantare Hare Krishna e contemplare le
sorridenti Divinità dai grandi occhi che stavano sull'altare, tra i fiori e il
fumo leggero dell'incenso.
Bhaktivedanta Swami osservava con piacere le persone che si avvicendavano,
mentre una dopo l'altra si facevano avanti per offrire la candela a Jagannatha.
Questa era una procedura di installazione veramente semplice.
Nei grandi templi dell'India l'installazione delle Divinità era una cerimonia
complessa e precisa, che richiedeva giornate intere di rituali diretti da
sacerdoti che si facevano pagare profumatamente, ma a San Francisco non c'erano
sacerdoti da pagare, e sarebbe stato impossibile mantenere molti altri rituali.
I brahmana di casta dell'India avrebbero considerato una vera eresia il fatto
che questi non-indù avvicinassero il Signore Jagannatha e partecipassero alla
Sua adorazione.
Tranne Swamiji, nessuna delle persone presenti avrebbe potuto anche solo entrare
nel tempio di Jagannatha Puri. I bianchi, gli Occidentali, potevano vedere
Jagannatha solo una volta all'anno, quando usciva con il Suo carro durante il
festival del Ratha-yatra.
Ma queste limitazioni erano solo usanze sociali, non erano regole riportate
dalle Scritture.
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati aveva offerto l'adorazione delle Divinità e
l'iniziazione a tutti, senza considerazioni di casta, di razza, o di
nazionalità. E Bhaktivinoda Thakura il padre di Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati,
aveva sospirato il giorno in cui la gente dei paesi occidentali avrebbe potuto
unirsi ai fratelli indiani per cantare Hare Krishna.
Bhaktivedanta Swami era venuto in occidente per realizzare la visione e il
desiderio del suo maestro spirituale e quello di Bhaktivinoda Thakura; di
trasformare, gli occidentali in vaisnava.
Ma se gli occidentali dovevano diventare veri devoti, avrebbero dovuto essere
introdotti all'adorazione delle Divinità. Altrimenti per loro sarebbe stato
molto difficile purificarsi.
Bhaktivedanta Swami aveva fede nelle istruzioni del suo maestro spirituale e
negli insegnamenti delle Scritture. Aveva fiducia nel fatto che Jagannatha era
molto misericordioso verso le anime cadute.
Pregò che il Signore dell'universo non Si sentisse offeso per l'accoglienza che
Gli era stata fatta a Nuova Jagannatha Puri.
Quando il kirtana fu terminato, Swamiji chiese ad Haridasa di portargli
la candela. Swamiji passò le mani sulla fiamma e poi le portò alla fronte.
"Ecco", disse, "mostra a tutti come si fa. A tutti quanti. E che diano quello
che possono. Ecco, prendi qui e porta in giro."
Fece segno ad Haridasa di presentare la candela davanti a ciascuno dei presenti,
in modo che tutti potessero toccare la fiamma e portarsi le mani alla fronte,
come aveva mostrato Swamiji.
Mentre Haridasa faceva il giro, alcuni devoti misero delle monete nel piatto e
altri seguirono l'esempio.
Swamiji continuò a spiegare: "Il Bhagavatam raccomanda di ascoltare,
cantare, meditare e adorare Krishna. Questa cerimonia che abbiamo appena
introdotto per l'apparizione di Jagannatha Swami significa che ora questo tempio
è ormai completamente stabilito.
Questo è il metodo dell'adorazione. Si chiama arati. Così, alla fine
del kirtana ci sarà l’arati.
La cerimonia di adorazione consiste nel prendere il calore della fiamma, e
qualunque siano le nostre condizioni, offrire qualcosa per l'adorazione. Questo
è un metodo molto semplice, e se voi lo seguite, potrete sperimentare la Verità
Assoluta.
"Un'altra cosa vi chiedo: tutti voi devoti portate un frutto e un fiore quando
venite al tempio. Se potete portare molta frutta, o molti fiori, va benissimo.
Altrimenti, non costa molto portare un frutto o un fiore. E offritelo alla
Divinità.
Vi chiedo di portare queste cose quando venite al tempio. Qualsiasi frutto. Non
significa che dovete portare della frutta molto costosa. Qualsiasi tipo. Quello
che siete in grado di comprare. Un frutto e un fiore."
Fece una pausa, guardandosi attorno nella stanza: "Sì, adesso potete distribuire
il prasada."
Gli ospiti si sedettero in fila sul pavimento e i devoti cominciarono a servire
il prasada, offrendo il primo piatto a Swamiji.
Le preparazioni erano quelle che Swamiji aveva insegnato personalmente ai devoti
nella sua cucina: samosa, halava, puri, riso, diverse preparazioni di
verdure, chutney di frutta e dolci - tutte le specialità della domenica.
Gli ospiti fecero molto onore al prasada e mangiarono fino a scoppiare.
Mentre i devoti, e specialmente le devote, più esperte, continuavano a servire
il prasada, gli ospiti godettero serenamente della serata di festa e
della conversazione conviviale.
Quando Swamiji ebbe assaggiato tutte le preparazioni, alzò lo sguardo sollevando
le sopracciglia: "Queste preparazioni sono ottime. Tutte le glorie ai cuochi!"
La presenza
del Signore Jagannatha aveva arricchito il tempio di bellezza. Ogni giorno i
devoti facevano Ghirlande per Lui.
Da New York erano arrivati i dipinti di Sri Visnu fatti da Jadurani, e Govinda
dasi aveva dipinto un grande ritratto di Swamiji, che adesso era appeso accanto
al suo seggio.
I devoti avevano anche appeso ai muri delle stampe indiane. Con le luci
lampeggianti gli occhi del Signore Jagannatha sembravano pulsare, sembrava che i
Suoi colori si muovessero saltando, e questo spettacolo diventò una speciale
attrazione per la zona psichedelica di Haight-Ashbury.
Come aveva chiesto Swamiji, devoti e ospiti cominciarono a portare delle offerte
davanti all'altare del Signore Jagannatha.
Gli hippy passavano di lì e lasciavano quello che potevano: un pò di
frumento, mezza pagnotta, un pezzo di zucchero candito, oppure candele, fiori o
frutti.
Avevano sentito che prima di usare qualcosa per se stessi bisognava offrirla a
Dio, e alcuni hippy cominciarono a portare i loro abiti nuovi per
offrirli con una preghiera al Signore Jagannatha prima di indossarli per la
prima volta.
Questi hippy non seguivano le istruzioni del Signore Jagannatha, ma
cercavano le Sue benedizioni.
Ogni sera i devoti celebravano la cerimonia dell'arati, proprio come Swamiji
aveva insegnato loro, facendosi avanti a turno per offrire una candela davanti a
Jagannatha.
Quando i devoti chiesero se potevano aggiungere qualcosa alla cerimonia, Swamiji
disse di si, che potevano offrire anche dell'incenso. Disse che nell'adorazione
delle Divinità c'erano tantissimi dettagli, tanti da tenere impegnati i devoti
giorno e notte; ma se li avesse detti tutti subito, sarebbero svenuti.
Parlando in privato a un discepolo nella sua stanza, Swamiji disse che durante
il kirtana nel tempio aveva pensato a Sri Caitanya che danzava davanti
al Signore Jagannatha.
Raccontò che Sri Caitanya era andato a Puri e aveva danzato davanti a Jagannatha
in un'estasi cosi profonda che non riusciva nemmeno a parlare. Balbettava: "Jag
... Jag......
Sri Caitanya pensava: "Krishna, per un tempo così lungo ho desiderato vederti. E
ora finalmente sono qui davanti a Te."
Quando Sri Caitanya viveva a Puri, andavano a trovarlo anche cinquecento persone
alla volta, e ogni sera facevano un grande kirtana con quattro gruppi,
ognuno con quattro suonatori di mrdanga e otto karatala.
"Un gruppo da una parte e uno dall'altra", spiegava Swamiji. "E un gruppo
davanti e uno dietro. Caitanya Mahaprabhu stava nel mezzo. Tutti danzavano, e i
quattro gruppi cantavano: 'Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna...'
Questo accadeva ogni sera, per tutto il tempo che Sri Caitanya rimase a
Jagannatha Puri."
I devoti capivano che tra loro e Swamiji c'era una grande differenza.
Lui non era mai stato un hippy. Non si sentiva a suo agio nel mezzo
dell'illusione di Haight-Ashbury, con I'LSD, i poster psichedelici, i musicisti
rock, il gergo hippy e la gente di strada.
Sapevano che lui era diverso, anche se qualche volta se ne dimenticavano.
Passava con loro tanto tempo, mangiava con loro, scherzava con loro, e in un
certo senso dipendeva da loro.
Ma poi, ogni tanto, si ricordavano della sua identità speciale. Quando avevano
cantato insieme nel tempio davanti a Jagannatha, a differenza di loro, lui
pensava ai kirtana di Sri Caitanya davanti a Jagannatha, a Puri.
Quando Sri Caitanya aveva visto Jagannatha, aveva visto Krishna, e il Suo amore
per Krishna era così grande che Egli sembrava impazzito.
Swamiji viveva immerso in questi pensieri molto più profondamente di quanto
potessero capire i suoi discepoli, eppure rimaneva accanto a loro, come il loro
più caro amico e la loro guida spirituale. Era il loro servitore; insegnava loro
come pregare di poter servire Krishna come faceva lui: "O Signore dell'universo,
Ti prego, renditi visibile a me."
Con le
spalle morbidamente avvolte dalla parte superiore dell'abito, Swamiji rimase un
attimo fermo davanti alla portiera spalancata della macchina, e per l'ultima
volta prima di partire si volte per salutare i devoti e il tempio del
negozietto.
Non era più un semplice negozietto, era diventato qualcosa di prezioso: Nuova
Jagannatha Puri.
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati gli aveva chiesto di venire qui. Chi, tra i suoi
confratelli, avrebbe potuto immaginare la pazzia di questi hippy
americani allucinati dalla droga, che gridavano: "Io sono Dio"?
Tanti ragazzi e ragazze tutti infelici e pazzi, nonostante le loro ricchezze e
la loro cultura. Ma ora, attraverso la coscienza di Krishna, alcuni stavano
trovando la felicità.
Il primo giorno, al suo arrivo un giornalista gli aveva chiesto perché fosse
venuto ad Haight-Ashbury. "Perché l'affitto è conveniente", aveva risposto.
Desiderava diffondere il movimento di Sri Caitanya; perché altrimenti sarebbe
venuto fin qui, in questo miserabile negozietto, per vivere tra una lavanderia
di cinesi e il magazzino di beneficenza Digger's?
I giornalisti gli avevano chiesto se voleva invitare alla coscienza di Krishna
anche hippy e freak. "Sì", aveva detto. "Tutti." Ma sapeva che una
volta diventati devoti, i suoi seguaci si sarebbero trasformati, sarebbero
diventate persone differenti.
Ora i devoti erano una famiglia. Se seguivano le sue istruzioni, sarebbero
rimasti forti. Se erano sinceri, Krishna li avrebbe aiutati.
Adesso c'era Jagannatha, e i devoti avrebbero dovuto adorarlo fedelmente. Si
sarebbero purificati cantando Hare Krishna e seguendo le istruzioni del loro
maestro spirituale.
Swamiji, accompagnato da alcuni discepoli, entrò in macchina, e un devoto lo
accompagnò all'aeroporto. Seguivano altre automobile cariche di devoti.
All'aeroporto i devoti piangevano. Ma Swamiji li assicurò che sarebbe tornato se
avessero fatto un festival del Ratha-yatra.
"Dovete organizzare una processione per la strada principale", disse loro. "Fate
le cose bene. Dobbiamo attrarre molta gente. A Jagannatha Puri fanno questa
processione ogni anno. In questa occasione la Divinità può uscire dal tempio."
Avrebbe dovuto tornare, lo sapeva, per accudire alle tenere pianticelle della
devozione che aveva seminato nel loro cuore. Altrimenti, come poteva aspettarsi
che questi neofiti sopravvivessero a quell'oceano di desideri materiali che era
Haight-Ashbury?
Un'altra volta, l'ennesima, promise loro che sarebbe tornato. Disse che dovevano
cooperare, Mukunda, Syamasundara, Guru dasa, Jayananda, Subala, Gaurasundara,
Hayagriva, Haridasa e le devote.
Solo due mesi e mezzo prima era arrivato a questo stesso terminal, accolto da
una folla di giovani che cantavano Hare Krishna. Molti di loro adesso erano suoi
discepoli, sebbene avessero appena assunto la loro identità spirituale e
avessero appena preso i voti. Eppure non sentiva nessun rimorso nel lasciarli.
Sapeva che alcuni sarebbero caduti e si sarebbero allontanati, ma non poteva
stare sempre con loro. Il suo tempo era limitato.
Bhaktivedanta Swami, il padre delle due piccole bande di neofiti, lasciò
teneramente un gruppo per dirigersi a est, dove l'altro gruppo aspettava in un
sentimento diverso, in una gioiosa attesa di riceverlo.
New
York, maggio 1967
Nessuno immaginava che la salute di Swamiji avesse un tale crollo, e se qualcuno
aveva notato qualche sintomo, nessuno ci fece caso.
Mentre lasciava i suoi devoti a San Francisco diretto verso quelli di New York,
nessuno fece sapere agli altri che Swamiji doveva riposarsi un po'.
Dopo il volo in jet, durato cinque ore e mezza, parlò di un "blocco" agli
orecchi, ma sembrava stare bene. Non andò a riposare e dopo la festosa
accoglienza all'aeroporto passò tre ore di conferenza e kirtana nel
negozietto al 26 della Seconda Avenue.
Ai suoi discepoli di New York apparve splendido e amabile, e con la sua
presenza, il suo sguardo e le sue parole diede nuova vita alla loro coscienza di
Krishna. Per loro la sua età avanzata, ormai quasi settantuno anni, era solo un
altro aspetto della sua personalità trascendentale.
Lui era la loro energia, e non passava per la mente a nessuno di considerare la
sua energia.
Ma c'erano stati segni che avrebbero dovuto metterli in guardia sul suo stato di
salute. Sembrava che avesse avuto delle difficoltà quando aveva partecipato allo
spettacolo di Allen Burks alla televisione, e mentre tornavano al tempio Swamiji
aveva detto che i riflettori dello studio gli avevano fatto venire un mal di
testa così forte che a un certo punto aveva pensato di non poter continuare.
Poi un giorno Rupanuga, che durante la lezione era seduto sulla pedana accanto a
Swamiji, notò che gli tremava la mano mentre parlava.
Alcuni mesi prima Kirtanananda era stato presente quando, la mattina che avevano
inciso il disco, Swamiji era rimasto a dormire fino a tardi e aveva accusato
palpitazioni al cuore e difficoltà a muoversi. "Se mi ammalo gravemente", aveva
detto a Kirtanananda, "non chiamate il dottore. Non portatemi all'ospedale.
Semplicemente datemi il mio japa e cantate Hare Krishna."
I discepoli di Swamiji erano riluttanti a fermarlo nelle sue attività.
Kirtanananda ci aveva provato. All'Avalon, quando Swamiji aveva danzato e
saltato e si era coperto di sudore, Kirtanananda aveva insistito che bisognava
fermare il kirtana. Ma gli altri gli avevano dato del paranoico.
Inoltre, Swamiji non amava essere soggetto a limitazioni. E chi erano loro per
imporre dei limiti a lui? Era il rappresentante autorizzato di Krishna, e poteva
superare qualsiasi difficoltà. Era un puro devoto. Poteva fare qualsiasi cosa.
Non gli avevano forse sentito dire spesso che un puro devoto trascende le
sofferenze materiali?
Swamiji aveva scritto una lettera alla nonna di un discepolo per consolarla dei
suoi malanni. Ma i devoti pensavano che per quanto Swamiji potesse dare buone
istruzioni alla vecchia nonna di qualcuno, quello che era successo alla
vecchietta non sarebbe mai successo a lui.
Certo, spesso diceva di essere vecchio, ma ciò accadeva soprattutto nel corso di
qualche lezione, per dimostrare l'inevitabilità della vecchiaia. Ai devoti la
salute di Swamiji sembrava inattaccabile.
I suoi occhi brillavano di emozioni spirituali, la sua carnagione era liscia e
dorata, e il suo sorriso era l'immagine della salute e del benessere. Un giorno,
uno dei ragazzi disse che il sorriso di Swamiji era cosi virile che gli faceva
pensare a un toro, o a dei chiodi di ferro.
Swamiji faceva la doccia fredda, andava a fare passeggiate di primo mattino per
il Lower East Side, suonava la mrdanga e mangiava con appetito. Anche
se i suoi discepoli avessero voluto rallentare le sue attività, cosa potevano
fare?
Ma durante l'ultima settimana di maggio Swamiji cominciò a sentirsi esausto.
Parlava di palpitazioni al cuore.
Sperando che i sintomi sarebbero scomparsi in un paio di giorni, Kirtanananda
gli suggerì di riposare e sospendere le visite degli ospiti. Ma le sue
condizioni peggiorarono.
Kirtanananda:Swamiji cominciò a dire che il braccio sinistro non gli
funzionava più bene. Poi cominciarono le contrazioni sul lato sinistro, e il
braccio sinistro aveva dei, sussulti incontrollabili. Sembrava qualche dolore
misterioso, interno o psicosomatico.
Acyutananda:Era domenica, due giorni prima della festa nazionale, e avevano
organizzato un grandioso programma per il pomeriggio, in una sala del centro.
Andai su da Swamiji per dirgli che tutti i devoti erano pronti. Swamiji stava
disteso ed era pallido in volto. Disse: "Sentimi il cuore. " Appoggiandogli una
mano sul petto sentì dei sussulti che lo attraversavano.
Scesi subito, 'ma non volevo seminare il panico. Mi diressi verso Kirtanananda e
gli dissi piano: "Lo Swami ha leggere palpitazioni al cuore.
"Immediatamente volammo su per le scale.
Swamiji disse: "Massaggia qui." Così cominciai a sfregargli il petto, e lui mi
fece vedere come dovevo fare. Disse: "Fai andare avanti gli altri, e Acyutananda
può rimanere qui con me. Se succede qualcosa, vi può chiamare."
Così gli altri andarono a tenere la conferenza, e io rimasi ad aspettare. Una
volta o due mi chiamò dentro perché gli facessi subito un massaggio al petto.
Poi sollevò lo sguardo e cominciò a riprendere colore. Io stavo a guardarlo con
la bocca aperta, chiedendomi che cosa dovevo fare. Mi guardò e disse: "Perché te
ne stai lì senza far niente? Canta Hare Krishna."
Quella sera, di nuovo ebbe delle palpitazioni, perciò rimasi a dormire nella
stanza accanto. Nella notte mi chiamò di nuovo perché gli facessi il massaggio.
Kirtanananda:Era martedì pomeriggio, il giorno della festa nazionale
(Memorial Day), e io ero seduto con Swamiji nella sua stanza. Mentre giù c'era
il kirtana, di nuovo ebbe quei sussulti. Il volto di Swamiji cominciò a
irrigidirsi. I suoi occhi cominciarono a roteare. Poi, d'un tratto, cadde
all'indietro, e lo afferrai al volo.
Boccheggiava: "Hare Krishna. Poi tutto si fermò. Pensavo che fosse la fine, ma a
un certo punto gli tornò il respiro, e con il respiro ricominciò a cantare il
mantra.
Ma non riprese il controllo del corpo.
Brahmananda:Ero li anch'io con Kirtanananda il giorno della festa nazionale.
Non riuscivamo a capire che cosa stesse succedendo a Swamiji. Non riusciva a
rizzarsi a sedere, e gemeva, e nessuno capiva che cosa avesse. Cercammo di
accudirlo io e Kirtanananda provandole tutte.
Dovetti uscire per comprargli una padella da letto.
Tutta la parte sinistra di Swamiji era paralizzata. Chiese di mettere il quadro
del suo maestro spirituale sul muro davanti a lui. I devoti entrarono nella
stanza anteriore dell'appartamento, e Swamiji disse loro di cantare Hare
Krishna. Poi disse loro di pregare Krishna nella Sua forma di Nrsirhhadeva.
Satsvarupa: Swamiji disse che dovevamo pregare il Signore Nrisimha, e la
preghiera doveva essere: "Il mio maestro non ha terminato la sua missione.”
Ogni tanto ci permetteva di entrare a turno per massaggiare diverse parti del
suo corpo. Poi ci fece scendere per fare un kirtana che durasse tutta
la notte.
Durante la notte Swamiji ebbe forti dolori al cuore. Il giorno dopo le sue
condizioni erano ancora critiche. Riusciva a parlare solo a fatica ed era troppo
esausto per conversare. Non aveva fiducia nei dottori e fece la diagnosi da
solo: un attacco al cuore che aveva leso una parte del cervello, paralizzando
così il lato sinistro. Disse che il massaggio era la cura.
Brahmananda:Il giorno dopo la festa nazionale chiamammo un'ambulanza.
L'ospedale di Beth Israel non aveva un servizio di lettighe, perciò chiamai una
Croce privata.
Ci eravamo messi d'accordo con l'ospedale che Swamiji sarebbe arrivato quella
mattina alle nove. Per tutto il tempo Swamiji continuò a gemere. Poi alla fine
arrivò l'ambulanza. Erano dei tipi orribili. Trattavano Swamiji come se fosse un
sacco di stracci. Pensai che sarebbe stato meglio aver preso un taxi.
Al Beth Israel i dottori, o più che altro gli aiutanti, fecero prelievi di
sangue, iniezioni ed esami.
La diagnosi non era conclusiva; avevano intenzione di fare degli esperimenti.
Poi, improvvisamente, arrivò un dottore e annunciò la prossima mossa: un
prelievo di midollo spinale.
Swamiji era troppo debole per discutere i pro e i contro dell'intervento. Si era
affidato alle cure dei suoi discepoli e di Krishna.
Il dottore non voleva interferenze. Spiegò che il prelievo spinale era
necessario, e che non aveva bisogno di chiedere consultazioni o permessi. Tutti,
eccetto Kirtanananda, che insistette per rimanere, dovettero uscire dalla stanza
mentre il dottore faceva il prelievo.
Né Swamiji, che era troppo debole, né i ragazzi, che non sapevano bene come
comportarsi con lui, si opposero al dottore.
I devoti sfilarono fuori della stanza di Swamiji, mentre il dottore preparava
l'ago più grosso e terribile che avessero mai visto.
Quando ebbero il permesso di rientrare, un discepolo gli chiese cautamente: "Ha
fatto male?" Swamiji, la sua forma dalla carnagione dorata avvolta nei bianchi
panni dell'ospedale, che giaceva tra le lenzuola bianche, si voltò leggermente e
disse: "Siamo tolleranti."
Rupanuga: Quando Swamiji fu ricoverato all'ospedale per me fu un vero shock.
Non sapevo che cosa dovevo fare. Non ero esperto di questo tipo di emergenza.
Ero molto incerto su che servizio dovessi offrire a Swamiji. Fu un'esperienza
spaventosa. Era in gioco la vita di Swamiji, eppure i suoi discepoli non
sapevano cosa fare per salvarlo. Era steso sul letto, come se fosse alla loro
mercé, ma il personale ospedaliero lo considerava una sua proprietà, un vecchio
con problemi cardiaci, un buon soggetto per i loro esami.
Dovevano fare un EEG? E che cos'era mai un EEG? Era necessario un intervento
chirurgico? Un'operazione!
Ma Swamiji disse che aveva detto che non dovevano nemmeno portarlo all'ospedale!
"Fatemi un massaggio", era tutto quello che aveva detto e "cantate Hare
Krishna."
Il 5 giugno
Swamiji ricevette una lettera affettuosa firmata da tutti i suoi discepoli di
San Francisco. Dopo aver letto di come erano stati in piedi tutta la notte a
cantare e a pregare per la sua guarigione, dettò una breve lettera.
Miei cari ragazzi e ragazze,
Vi sono estremamente grato per le vostre preghiere a Krishna perché salvi la mia
vita.
Certamente avrei dovuto morire martedì ma ho potuto salvarmi grazie alle vostre
preghiere sincere. Ora la mia salute sta migliorando gradualmente, e sto
tornando come prima.
Ora posso sperare di vedervi di nuovo e di tornare a cantare Hare Krishna con
voi.
Sono stato molto felice di ricevere notizie dei vostri progressi e spero che non
si presentino difficoltà nella vostra comprensione della coscienza di Krishna.
Le mie benedizioni sono sempre con voi; continuate con fiducia a cantare Hare
Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama
Rama, Hare Hare.
Swamiji non vedeva l'ora di lasciare l'ospedale. Erano diversi giorni che voleva
andarsene. "Non fanno altro che infilarmi aghi nel corpo", si lamentava. E ogni
giorno la sua permanenza all'ospedale aggiungeva nuovi debiti alla sua
Associazione.
I devoti avevano preso in affitto una piccola casetta sul Mare a Long Branch,
nel New Jersey, dove Swamiji poteva andare in convalescenza. Decisero che
Kirtanananda sarebbe andato a cucinare per lui e Gaurasundara e sua moglie,
Govinda dasi sarebbero arrivati da San Francisco per aiutare e mantenere in
ordine la casa.
Ma il dottore voleva che Swamiji rimanesse per un altro elettroencefalogramrna e
altri esami.
Un giorno, mentre Brahmananda e Gargamuni erano andati a trovare Swamiji, il
dottore entrò per annunciare che lo Swami avrebbe dovuto scendere per delle
radiografie.
"Niente aghi?" chiese Swamiji.
"Niente aghi," rispose il dottore, "Non si preoccupi."
L'infermiera entrò con un lettino a rotelle, e Swamiji disse che voleva essere
spinto da Gargamuni.
Poi sedette sopra il lettino a gambe incrociate e infilò la mano nel sacchettino
del japa, mentre Gargamuni, seguendo l'infermiera, spingeva il lettino
fuori della porta, e attraverso il corridoio, fino all'ascensore.
Scesero al terzo piano ed entrarono in una stanza.
L'infermiera si allontanò un momento. Gargamuni sentiva che Swamiji era a
disagio. Anche lui era nervoso. Quello non era il posto giusto per stare con il
proprio maestro spirituale. Poi entrò un'altra infermiera con un ago. "E' ora di
fare una piccola iniezione allo Swami."
"No." Swamiji scosse la testa.
"Mi dispiace", disse chiaro e tondo Gargamuni. "Non farà quell'iniezione."
L'infermiera era esasperata ma fece un sorriso. "Non le farò male."
"Riportami indietro", ordinò Swamiji a Gargamuni. L'infermiera insisteva;
Gargamuni passò all'azione senza pensarci due volte come suo solito e fece un
passo avanti, mettendosi in mezzo tra l'infermiera e il suo maestro spirituale.
"Sono pronto a battermi se sarà necessario" , pensava Gargamuni. "Non
le permetterò di farlo", disse, e spinse il lettino fuori della stanza,
lasciandosi dietro l'infermiera.
Gargamuni era disperato. Si trovava da qualche parte al terzo o al quarto piano,
e di fronte a sé vedeva solo corridoi e porte.
La stanza di Swamiji era al sesto piano. Senza sapere bene dove stava andando,
Gargamuni spingeva il lettino per i corridoio con Swamiji seduto a gambe
incrociate, che cantava Hare Krishna sul suo japa.
Brahmananda arrivò alla stanza dei raggi X un secondo dopo la fuga di Gargamuni.
L'infermiera e il radiologo si lamentarono con lui di quello che era successo.
Brahmananda:Lo consideravano un furto. Swamiji era loro proprietà. Finché
era nell'ospedale era di loro proprietà, e potevano farne quello che
preferivano. Gargamuni gli aveva rubato Swamiji.
Gargamuni trovò l'ascensore. Aveva difficoltà a manovrare il lettino a rotelle,
e nella fretta andò a sbattere contro il muro. Aveva dimenticato a che piano
stava Swamiji. Tutto quello che riusciva a pensare era che doveva proteggere
Swamiji, e che lui voleva essere portato via.
Quando finalmente Gargamuni raggiunse la stanza di Swamiji, la 607, si trovò
davanti un'infermiera che lo apostrofò con collera.
"Non me ne importa nulla", disse Gargamuni. "Lui non vuole più altre iniezioni o
altri esami. Ce ne andiamo."
Brahmananda arrivò, calmò suo fratello minore e aiutò Swamiji a tornare nel
letto.
Swamiji disse che voleva andarsene. Quando entrò il dottore, Swamiji si alzò a
sedere e parlò con decisione. "Dottore, io sto bene. Me ne posso andare." E
strinse la mano al dottore per mostrargli che stava benissimo.
Il dottore ridacchiò. Disse che sì, Swamiji stava riprendendo le forze, ma
avrebbe dovuto rimanere ancora qualche giorno. Non era affatto fuori pericolo.
Aveva bisogno di attente osservazioni mediche. E dovevano fare un altro
elettroencefalogramma.
Swamiji provava ancora dei dolori attorno al cuore, ma disse al dottore che i
ragazzi gli avevano trovato un posto in riva al mare dove poteva riprendersi.
Benissimo, disse il dottore, ma non poteva lasciar andare via cosi il suo
paziente.
Ma Swamiji aveva già deciso. Brahmananda e Gargamuni trovarono un'auto a
noleggio.
Riunirono le cose di Swamiji e lo aiutarono a vestirsi. Mentre lo scortavano
fuori della stanza, e diventò chiaro a tutti che i ragazzi stavano veramente
portando via il vecchio, alcuni dottori e infermiere cercarono di fermarli.
Brahmananda disse che non dovevano preoccuparsi; Swamiji stava molto a cuore a
tutti loro e se ne sarebbero presi cura adeguatamente. Gli avrebbero fatto dei
massaggi regolarmente, avrebbe riposato e gli avrebbero dato tutte le medicine
che i dottori avevano prescritto.
Dopo un periodo di riposo al mare sarebbe tornato per un controllo.
Brahmananda: A quel punto i dottori erano esasperati.
Ci minacciarono "Quest'uomo sta per morire." Volevano davvero spaventarci.
Dicevano: "Quest'uomo sta per morire. E sarà colpa vostra." E ancora, mentre
stavamo uscendo, dissero: "Quest'uomo è condannato a morte." Era una cosa
orribile.
Alle dieci del mattino dell'8 giugno uscirono dall'ospedale. Swamiji volle fare
una breve sosta al tempio al 26 della Seconda Avenue prima di partire per la
casa di Long Branch.
Entrò nel negozietto barcollando e giunse davanti al ritratto del suo maestro
spirituale, Bhaktisiddhanta Sarasvati, e del padre del suo maestro spirituale,
Bhaktivinoda Thakura.
Per la prima volta i discepoli di Swamiji lo videro offrire dandavat pranama.
E mentre si prostrava a terra davanti al suo maestro spirituale, anch'essi
offrirono i loro omaggi, e sentirono aumentare in loro la devozione.
Il villino a
un solo piano si trovava in una tranquilla periferia a pochi passi dalla
spiaggia.
Il cortile retrostante era circondato da alberi e cespugli, e tutto il quartiere
si riempiva del profumo delle rose in fiore. Ma spesso faceva brutto tempo, il
cielo era grigio, e Swamiji diceva che voleva andare in India.
Non era solo per la sua salute; disse a Kirtanananda e a Gaurasundara che voleva
aprire a Vrindavana un "Centro Americano", un luogo dove i suoi discepoli
americani potessero imparare la cultura vedica per poter meglio predicare in
tutto il mondo.
Disse anche che voleva dare l'ordine di sannyasa ad alcuni suoi
discepoli, Kirtanananda, Brahmananda, Hayagriva, e l'avrebbe fatto in India.
La sua vera missione, comunque, era in America se solo avesse riacquistato la
salute. Ma dove stava il sole?
In India poteva trovare il sole, e una cura ayurvedica.
Ma cambiava programma da un giorno all'altro, San Francisco, Montreal, India,
New York. Disse a Kirtanananda d'informare i devoti di San Francisco che se
facevano il Ratha-yatra sarebbe andato da loro.
Alla fine di giugno Swamiji tornò al 26 della Seconda Avenue, e passò
dall'ospedale per un controllo.
Il dottore fu meravigliato nel vedere che Swamiji si era rimesso e non fece
obiezioni al viaggio in aereo per San Francisco. In cerca di sole, e desideroso
di guidare i suoi seguaci nella celebrazione del primo Ratha-yatra, Swamiji
prenotò i biglietti d'aereo per sé e Kirtanananda, destinazione San Francisco,
Nuova Jagannatha Puri.
All'aeroporto di San Francisco, Swamiji sorrise ma non parlò molto, mentre i
devoti lo accoglievano con fiori e kirtana. Questa volta era diverso.
Camminava diritto, senza bastone.
Jayananda stava aspettando a bordo della sua giardinetta, per portare Swamiji
fino alla casa privata che avevano preso in affitto a nord della città, alla
Stinson Beach. Ma prima, disse Swamiji, voleva visitare il tempio di
Radha-Krishna di San Francisco.
Jayananda diresse l'auto al 518 di Frederick Street. Swamiji uscì dalla macchina
ed entrò nel negozietto affollato di devoti e ospiti che l'attendevano.
S'inchinò davanti alle sorridenti Divinità di Jagannatha, poi, senza dire una
parola, uscì dalla stanza, risalì in macchina e partì per Stinson Beach.
La strada sulla scogliera era così tortuosa e ripida che Swamiji fu preso dalla
nausea. E anche sdraiarsi sul sedile posteriore, con Jayananda che rallentava
l'andatura, non fu di grande aiuto.
Kirtanananda si rese conto che sarebbe stato troppo difficile per Swamiji
recarsi al tempio di San Francisco da Stinson Beach. Ma forse andava bene lo
stesso; poteva passare tutto il suo tempo a rimettersi in salute.
L'8 luglio,
due giorni dopo l'arrivo di Prabhupada a Stinson Beach, Syamasundara e Mukunda
arrivarono in automobile da San Francisco.
Il giorno dopo doveva esserci il Ratha-yatra, e Syamasundara e Mukunda, i primi
devoti che venivano a trovare Swamiji da quando era arrivato a Stinson Beach,
gli raccontarono dei preparativi per il festival.
Certamente, tutto il festival era stato un'idea di Swamiji, ma i devoti di San
Francisco stavano facendo del loro meglio per eseguire le sue istruzioni, per
fare esattamente tutto ciò che lui aveva chiesto.
Swamiji aveva pensato al festival per la prima volta mentre guardava fuori della
finestra della sua stanza sopra Frederick Street.
Aveva notato che sotto di lui passavano dei camion con il rimorchio piatto, e
pensò di mettere le Divinità di Jagannatha sul retro di un camion simile e fare
un festival del Ratha-yatra di stile americano.
Aveva perfino fatto lo schizzo di un rimorchio, con un baldacchino sorretto da
quattro colonne e decorato con bandiere, campanelle e ghirlande di fiori.
Aveva chiamato Syamasundara: "Fammi questo carro per il Ratha-yatra." Ora il
carro era pronto, parcheggiato fuori del tempio a Frederick Street un camion
giallo della Hertz a noleggio, fornito gentilmente dalla Diggers, completo di
colonne di due metri e mezzo e di un baldacchino di stoffa a forma di piramide.
Seduto con Swamiji sulla spiaggia, Mukunda raccontò che tutti i devoti stavano
lavorando con grande entusiasmo, e che tutti gli hippy di
Haight-Ashbury parlavano della parata di Jagannatha che si sarebbe svolta il
giorno dopo.
I devoti avevano cercato di far passare la parata per il Golden Gate Park, ma la
polizia aveva dato il permesso solo per scendere lungo Frederick Street, fino al
mare.
Mukunda disse che i devoti volevano mettere Jagannatha sotto il baldacchino,
rivolto verso il lato destro del camion, mentre Subhadra sarebbe stata rivolta
all'indietro, e Balarama verso il lato sinistro; voleva sapere se andava bene.
In realtà, disse Swamiji, le Divinità avrebbero dovuto prendere posto in tre
carri separati, tirati con delle corde dalla folla lungo le strade; forse
avrebbero potuto farlo negli anni a venire.
"Fate le cose bene", raccomandò loro. "Non cercate di fare tutto in fretta." I
devoti avrebbero dovuto guidare il camion molto lentamente lungo la strada, fino
alla spiaggia, e il kirtana doveva essere costante.
Mukunda e Syamasundara lodarono il loro confratello Jayananda: aveva girato in
macchina tutta San Francisco per raccogliere donazioni di fiori e frutta, aveva
trovato della gente per aiutare a decorare il carro, aveva installato gli
amplificatori sul camion, e distribuito dei manifesti in tutti i negozi. Era
instancabile, e con il suo entusiasmo ispirava tutti a partecipare.
Le devote avevano cucinato capati per tutto il giorno, in modo che ce
ne fossero migliaia da distribuire alla folla. I devoti avevano preparato
centinaia di palloncini con la scritta Hare Krishna, Festival del Ratha-yatra,
da far volare sulla strada non appena fosse cominciata la parata. I devoti
chiesero che cos'altro dovevano fare, e Swamiji disse che era sufficiente, una
processione, distribuzione di prasada e kirtana. La gente
doveva avere la possibilità di vedere il Signore Jagannatha e di cantare Hare
Krishna.
Per tutta la processione bisognava cantare e danzare davanti al carro. "Fate
tutto per bene", disse Swamiji. "Fate del vostro meglio, e il Signore Jagannatha
sarà soddisfatto."
Il giorno
seguente, nella calma del pomeriggio, Swamiji era seduto nel salotto a cantare
sul japa, e Kirtanananda era in cucina a preparare una festa.
Improvvisamente Swamiji udì il suono familiare dei karatala.
I suoi occhi si spalancarono e il suo volto s'illuminò di gioia.
Guardò fuori e vide il camion del Ratha-yatra con il Signore Jagannatha,
Subhadra, Balarama e decine di devoti e di hippy che venivano a
trovarlo. Uscì per accoglierli, poi fece portare dentro le Divinità e Le fece
appoggiare sopra il pianoforte a coda.
Devoti e ospiti lo seguirono, riempiendo il grande salotto. Sorridendo, Swamiji
abbracciò alcuni devoti, mentre gli altri offrivano omaggi ai suoi piedi.
Alcuni devoti andarono in cucina per aiutare Kirtanananda a finire di preparare
i numerosi piatti della festa. Altri raccontarono del successo del festival del
Ratha-yatra.
Era stato magnifico! Incredibile! Era stata una giornata meravigliosa, dicevano.
E Swamiji ascoltava, commosso dalla descrizione che i suoi discepoli facevano
della celebrazione.
Molti hippy si erano uniti alla grandiose processione. Mukunda,
Haridasa, Hayagriva stavano sul carro con alcune devote, e gli amplificatori
diffondevano il suono degli strumenti, compreso l'harmonium suonato da Yamuna.
Tutti nella strada avevano apprezzato la parata.
I poliziotti in motocicletta che scortavano la processione avevano cercato di
affrettare la marcia, ma davanti al carro c'era tanta gente che dovettero per
forza procedere lentamente, proprio come aveva chiesto Swamiji.
Subala aveva danzato come un matto per tutto il tempo, e Jayananda aveva
continuato a saltare su e giù suonando i karatala.
Dal camion, alcune devote distribuivano frutta tagliata: arance, mele e banane,
altri gettavano fiori. La folla era entusiasta.
Subala raccontò che dopo il festival erano partiti con il loro camion ornato di
fiori e coperto dal baldacchino, con trenta devoti e le Divinità di Jagannatha,
Subhadra e Balarama.
Avevano percorso la strada ripida su per la montagna in quello che era forse il
veicolo più insolito che si fosse mai visto da quelle parti. Dopo che tutti i
visitatori se ne furono andati, le Divinità rimasero nella casa con Swamiji e i
suoi servitori.
Swamiji si sentiva soddisfatto: i suoi discepoli erano riusciti a celebrare con
successo il festival del Ratha-yatra. Anche se non erano perfettamente istruiti,
erano però sinceri.
Bhaktisiddhanta Sarasvati e Bhaktivinoda Thakura sarebbero stati felici di
vedere questo primo Ratha-yatra americano.
Il mondo intero era in preda all'ansia, spiegò Swamiji ai devoti che erano
riuniti nella stanza quella sera. Solo nel mondo spirituale si era liberi
dall'ansietà.
Lo scopo della coscienza di Krishna era proprio quello di liberarsi dall'ansia e
tornare nel mondo spirituale. E i festival come il Ratha-yatra facevano si che
la gente diventasse cosciente di Krishna.
Swamiji aveva moltissime idee per organizzare i festival. Se avesse avuto il
denaro e le persone necessarie, disse, avrebbe potuto fare un festival ogni
giorno.
La coscienza di Krishna era illimitata. Questo festival del Ratha-yatra era un
altro segno che l'Occidente era ben disposto verso la coscienza di Krishna.
Swamiji
parlava ancora di andare in India. Praticamente aveva deciso di partire; il
problema era quando, e se era preferibile dirigersi verso ovest, attraversando
il Giappone, o verso est, passando da New York.
Il cielo grigio e la temperatura insolitamente bassa per l'estate di Stinson
Beach erano stati una delusione. La sua salute era ancora malferma. Parlava
perfino di morire.
Non gli importava morire in America o a Vrindavana, disse.
Se un vaisnava muore a Vrindavana, diceva, è sicuro di tornare a
Krishna, nel mondo spirituale. Ma quando Sri Caitanya Si era allontanato da
Vrindavana nei Suoi viaggi, il Suo devoto Advaita Gli aveva assicurato:
"Dovunque Tu sei, la è Vrindavana."
Anche pensare sempre a Krishna era Vrindavana'. Perciò, se doveva lasciare il
corpo mentre predicava la coscienza di Krishna in qualsiasi parte del mondo,
certamente avrebbe raggiunto ugualmente l'eterna Vrindavana nel cielo
spirituale.
Comunque, Swamiji voleva andare a Vrindavana. Era il posto migliore per morire o
per ritrovare la salute. Inoltre, aveva pensato di portare i suoi discepoli a
Vrindavana per completare la loro istruzione.
Swamiji disse a Kirtanananda, ed Hayagriva e agli altri che li avrebbe portati
con sé a visitare i luoghi sacri dei divertimenti di Krishna. E con i fondi per
le costruzioni del tempio di New York, avrebbe fondato il suo Centro Americano a
Vrindavana.
Molti devoti dovettero rimanere a San Francisco e sperare di avere la
possibilità di vedere ancora Swamiji. Dai pochi che l'avevano saputo
personalmente, appresero che Swamiji aveva intenzione di partire per l'India e
forse non sarebbe tornato mai più.
Era una notizia troppo dolorosa da ascoltare. Era stato quasi sul punto di
morire, poi era tornato tra loro per la grazia di Krishna, a San Francisco, ma
non poteva più stare con loro come prima, ora voleva andare in India, forse per
sempre, questi fatti intensificarono il loro amore e la loro preoccupazione.
I devoti erano preoccupati e cominciarono a speculare su come avrebbero potuto
andare avanti senza Swamiji. Un devoto suggerì che forse uno dei confratelli di
Srila Prabhupada poteva venire in America per sostituire Swamiji, e se fosse
accaduto il peggio, avrebbe potuto prendere in mano le redini dell'Associazione
Internazionale per la Coscienza di Krishna.
Quando questo suggerimento giunse all'orecchio di Swamiji, lui sembrò fermarsi a
riflettere, ma non rispose nulla.
Mukunda: Ero seduto nella stanza di Swamiji, e c'eravamo solo io e lui, che
era molto serio e silenzioso. Teneva gli occhi chiusi.
Poi, all'improvviso copiose lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi. E
disse con voce spezzata: "Il mio maestro spirituale non era una persona
ordinaria." Poi restò un attimo in silenzio e asciugandosi le lacrime che gli
scorrevano sul volto, disse con voce ancora più spezzata: "E' lui che mi ha
salvato."
A quel punto cominciai a capire il significato di "maestro spirituale", e
dimenticai ogni idea di poter mai sostituire Swamiji.
Dopo due giorni Swamiji disse che non avrebbe chiesto a nessuno dei suoi
confratelli di venire a prendersi cura dei suoi discepoli.
Disse: "Se questa persona dice anche una sola parola in contrasto con ciò che vi
ho insegnato io, cadrete in una grande confusione." In realtà, l'idea stessa era
un insulto al maestro spirituale.
Swamiji
disse a Kirtanananda che aveva definitivamente deciso di andare in India,
passando da New York, e voleva partire al più presto. Kirtanananda fece le
valige di Swamiji e lo portò a San Francisco per passare la notte al tempio.
Sarebbe partito il mattino dopo.
Quella sera c'era una grande confusione nel tempio e perfino nell'appartamento
di Swamiji.
Molti devoti e anche ospiti volevano vedere Swamiji, e decine di persone
volevano essere iniziate.
Kirtanananda consigliò Swamiji di non affaticarsi troppo e di non scendere per
il programma della sera, ma egli insisté, almeno per andare al kirtana.
Disse che sarebbe rimasto seduto.
Quando entrò nel negozietto, i devoti interruppero immediatamente il kirtana
e caddero a terra per offrirgli i loro omaggi. Tutti tacquero improvvisamente.
C'era un nuovo senso di rispetto.
Questa poteva essere l'ultima volta che lo vedevano. Durante tutto il
kirtana non smisero di guardarlo, mentre suonava i karatala e
cantava con loro per l'ultima volta.
Quelli che non avevano ancora preso l'iniziazione volevano accettarlo come
maestro spirituale stanotte, prima che fosse troppo tardi. Swamiji chiese il
microfono. Nessuno si aspettava che volesse parlare.
Kirtanananda, l'unica persona che si trovava nella posizione di fare qualcosa
per impedirglielo, non disse nulla e rimase seduto davanti a lui come gli altri,
in un atteggiamento di sottomissione e di attesa. Swamiji parlò piano della sua
missione; per ordine del suo maestro spirituale stava portando in America il
movimento di Sri Caitanya, e nella Sua bontà, Krishna gli aveva mandato tante
anime sincere.
"Ho dei figli in India, dai tempi della mia vita di famiglia", disse, "ma i miei
veri figli siete voi. Ora andrò in India per qualche tempo."
"Sono vecchio", continuò. "Potrei morire in qualsiasi momento. Ma vi prego,
continuate tutti a diffondere questo movimento del sankirtana. Dovete
diventare umili e tolleranti.
Sri Caitanya ha detto: umili come un filo d'erba e più tolleranti di un albero.
Dovete avere entusiasmo e pazienza per trasmettere questa filosofia della
coscienza di Krishna."
Rimaneva seduto immobile, e continuò a parlare con grande serietà, chiedendo
loro di rimanere uniti e propagare il movimento, per il loro stesso bene e per
il bene degli altri. E tutto quello che avevano imparato, disse, avrebbero
dovuto ripeterlo.
Capirono, forse per la prima volta, che facevano parte di una missione di
predica, di un movimento. Erano insieme, non solo per stare bene e per sentire
buone vibrazioni; avevano un debito d'amore verso Swamiji e Krishna.
A New York i
devoti non ebbero molto tempo per essere tristi. Kirtanananda mandò un
telegramma a Sri Krishna Pandit, avvertendo che Bhaktivedanta Swami sarebbe
arrivato a Delhi il 24 luglio, alle 7.30, e che Sri Krishna Pandit avrebbe
dovuto preparare l'alloggio dello Swami al tempio di Chippiwada.
Il telegramma parlava dell'intenzione di consultare un medico a Delhi e poi di
andare a Vrindavana. Swamiji era ansioso di tornare a Vrindavana.
I devoti avevano chiesto a Satsvarupa di trasferire il suo servizio civile a
Boston, per aprire là un centro della coscienza di Krishna. Chiesero a Rupanuga
di fare la stessa cosa a Buffalo.
Quando Satsvarupa e Rupanuga andarono da Swamiji a chiedergli istruzioni,
Swamiji sembrò molto soddisfatto. Subala avrebbe aperto un centro a Santa Fé,
dissero, e Dayananda stava andando a Los Angeles.
"Il mantra Hare Krishna è come un grosso cannone", disse loro. "Andate
in giro e fate tuonare questo cannone in modo che tutti possano sentirlo, e
maya fuggirà."
I devoti volevano chiedere: "Ma che faremo se tu non torni?" Erano terrorizzati.
E se Krishna avesse voluto tenere Swamiji a Vrindavana? Se Swamiji non tornasse
più?
Come avrebbero potuto sopravvivere a maya?
Ma Swamiji li aveva già rassicurati: quello che aveva dato loro nella coscienza
di Krishna era già sufficiente, anche se non fosse più tornato.
Solo trenta minuti prima di partire per l'aeroporto, Swamiji era seduto nella
sua stanza a cantare sul japa di una ragazza che aveva chiesto
l'iniziazione. Poi, come aveva fatto già molte volte, uscì dall'appartamento,
scese le scale, attraversò il cortile ed entrò nel negozietto.
Seduto sul vecchio tappeto, parlò piano, in modo molto personale. "Io sto
partendo, ma avete qui con voi il mio Guru Maharaja e Bhaktivinoda."
Guardò i ritratti del suo maestro spirituale e di Bhaktivinoda Thakura. "Li ho
pregati di prendersi cura di tutti voi, che siete i miei figli spirituali.
Il nonno si preoccupa dei nipoti molto più di quanto faccia il padre stesso. Non
dovete aver paura. Non ci sarà separazione. La vibrazione sonora ci tiene
vicini, anche se il corpo materiale può non essere presente.
Che c'importa di questo corpo materiale? Semplicemente, continuate a cantare
Hare Krishna, e saremo sempre molto vicini. Voi sarete qui a cantare, e io
canterò là, e questa vibrazione circolerà attorno al pianeta."
Diversi devoti vollero andare in taxi con Swamiji, Brahmananda davanti con
l'autista, Raya Rama e Kirtanananda dietro, accanto al loro maestro spirituale.
"Quando Kirtanananda vedrà Vrindavana", disse Swamiji, "non riuscirà a capire
come ho fatto a lasciare un posto così bello per venire qui. È così bello là.
Non ci sono tutti questi camion che corrono e fanno tutto questo baccano. E
tutta questa puzza.
La c'è solo Hare Krishna. Tutti stanno sempre cantando. Migliaia e migliaia di
templi. Te li farò vedere, Kirtanananda. Ce ne andremo in giro insieme e te li
mostrerò."
Brahmananda scoppiò a piangere e Swamiji gli accarezzò le spalle. "Capisco il
vostro senso di separazione", disse. "E' proprio quello che io sento per il mio
Guru Maharaja. Penso che questa sia la volontà di Krishna.
Potete venire là con me a completare la vostra educazione, così potremo
diffondere questo movimento in tutto il mondo. Raya Rama, tu andrai in
Inghilterra. Brahmananda, vuoi andare in Giappone o in Russia? Va bene, come
preferisci."
I devoti si riunirono nella sala d'aspetto dell'Air India, attigua a
un'affollata sala da cocktail.
Swamiji indossava un maglione, e il suo cadar era piegato ordinatamente
su una spalla.
Si sedette su una sedia, mentre i suoi discepoli si sedettero il più vicino
possibile, attorno ai suoi piedi. Aveva un ombrello, proprio come quando era
arrivato per la prima volta a New York da solo, quasi due anni prima. Si sentiva
esausto, ma sorrideva.
Swamiji notò un affresco di donne indiane che portavano grandi vasi sulla testa
e chiamò una ragazza che recentemente si era unita al centro ISKCON a Montreal,
insieme con suo marito Hamsaduta.
"Himavati, ti piacerebbe andare in India per imparare a portare i vasi d'acqua
come fanno le donne indiane?"
"Sì, sì", rispose lei. "Ci andrò."
"Sì", disse Swamiji, "un giorno ci andremo tutti."
Kirtanananda aveva un mangiadischi a pile e due copie del disco Hare Krishna
mantra. "Kirtanananda", chiese Swamiji "perché non ci fai sentire quel
disco? Saranno tutti contenti."
Kirtanananda fece suonare il disco a volume molto basso, e la musica attrasse
l'attenzione della gente che affollava la sala da cocktail. "Alza un po’ il
volume", chiese Swamiji, e Kirtanananda alzò il volume, mentre Swamiji annuiva,
seguendo il tempo.
Ben presto i devoti cominciarono a canticchiare con il disco, poi a cantare
piano, e dopo un pò stavano cantando tutti ad alta voce. Alcuni devoti
cominciarono a piangere.
Venne il momento di salire sull'aereo. Swamiji abbracciò tutti i devoti. Si
misero tutti in fila, e uno dopo l'altro si avvicinavano per abbracciarlo. E
accarezzò la testa di alcune devote.
Accompagnato da Kirtanananda, che aveva la testa rasata e un incredibile abito
di lana nera, Swamiji scese verso l'imbarco. Mentre scompariva alla loro vista,
i devoti corsero alla vetrata a guardare per l'ultima volta l'aereo che partiva.
Una pioggia sottile stava bagnando il campo d'atterraggio mentre i devoti
correvano verso la vetrata. Ecco laggiù Swamiji e Kirtanananda, che camminano
verso il loro aereo.
Abbandonando ogni decoro, i devoti cominciarono a gridare. Swamiji si girò e li
salutò con la mano. Salì la scaletta dell'aereo e quando fu in cima si voltò di
nuovo e sollevò le braccia, poi entrò nell'aereo.
I devoti si misero a cantare forte, più forte che potevano, mentre la scaletta
si allontanava, il portello si chiudeva e l'aereo cominciava a girare. I devoti
erano pigiati contro il parapetto, ma dovettero indietreggiare quando furono
investiti dalla vampata di calore dei motori del jet.
Con un grande ruggito il jet dell'Air India, facendo lampeggiare le sue luci, si
avviò per la pista di decollo. I devoti continuarono a cantare Hare Krishna
mentre l'aereo si sollevava da terra, finché diventò un puntino nel cielo e
scomparve.
Nuova
Delhi, 25 luglio 1967
L'ondata di calore che li accolse fu un balsamo per Swamiji. Era venuto proprio
per questo.
Nel terminal dell'aeroporto i ventilatori appesi al soffitto muovevano l'aria
afosa mentre Swamiji e Kirtanananda stavano nella fila che si muoveva lentamente
verso alcuni impiegati in uniforme che controllavano i passaporti e i moduli
della dogana, senza i computers e l'efficienza occidentale.
Proprio accanto all'ufficio immigrazione e dogana, si affollava la gente in
attesa dei passeggeri in arrivo, salutando con la mano, chiamando amici e
familiari in attesa di riunirsi a loro.
Dopo aver recuperato il bagaglio e passato la dogana, Swamiji e Kirtanananda si
ritrovarono sul marciapiede fuori del terminal. Swamiji si era tolto il
maglione, ma Kirtanananda era lì a sudare nel suo completo di lana nero.
Erano le due del mattino. Tutt'intorno c'erano passeggeri che incontravano i
loro cari, che li abbracciavano e talvolta offrivano anche delle ghirlande e li
aiutavano a salire in macchina o nel taxi. Ma non c'era nessuno ad aspettare
Swamiji.
Era certamente una scena molto diversa da quella del commiato all'aeroporto di
San Francisco, dove tutti piangevano, e dove Swamiji aveva lasciato quelli che
lui amava. Ora, invece di essere circondato da discepoli affettuosi, era
assediato da tassisti e facchini che volevano portare i suoi bagagli per avere
un compenso.
In hindi, Swamiji chiese a un tassista di portarli a Chippiwada, nella vecchia
Delhi. L'autista mise i bagagli nel baule della macchina, e Swamiji e il suo
discepolo salirono sul sedile posteriore.
Il piccolo taxi Ambassador percorse strade che Swamiji ben conosceva. Il
traffico notturno era scarso, ogni tanto qualche taxi, o un ricksha a motore.
Per lo più, le strade erano vuote e tranquille, i negozi chiusi, solo ogni tanto
qualche persona o qualche mucca che dormiva per strada.
Soltanto pochi anni prima, Bhaktivedanta Swami era stato qui, a vendere la sua
rivista Back to Godhead, a chiedere donazioni e a stampare il suo
Srimad Bhagavatam.
A quel tempo era solo, praticamente senza casa o soldi. Ma era stato felice,
nella sua completa dipendenza da Krishna.
Le guide dell'India stavano respingendo la cultura vedica e cercavano di imitare
l'Occidente.
Sebbene ci fossero ancora degli Indiani che sostenevano di seguire la cultura
vedica, per lo più erano vittime di maestri superficiali e confusionari, che non
accettavano Krishna come Dio, la Persona Suprema. Perciò Bhaktivedanta Swami si
era sentito costretto a partire per andare a trapiantare la cultura vedica in
Occidente.
Era rimasto sempre strettamente a contatto con la visione del suo maestro
spirituale, e i fatti gli avevano dato ragione: l'Occidente era un ottimo campo
per la coscienza di Krishna.
Mentre il taxi attraversava la città vecchia, diretto verso Chawri Bazaar,
Bhaktivedanta Swami vide le rivendite di carta e le tipografie, ora chiuse per
la notte.
Non c'era il solito traffico intenso di carretti a mano anche se alcuni
carrettieri stavano sui loro veicoli a dormire, aspettando il mattino, quando si
sarebbero lavati all'aperto, con l'acqua del pozzo, prima di cominciare un'altra
giornata di duro lavoro.
Quando era impegnato nella pubblicazione dei primi tre volumi dello Srimad
Bhagavatam, Bhaktivedanta Swami aveva percorso ogni giorno queste strade
per comprare la carta, per andare a vedere le bozze in tipografia, o per
riportare le bozze corrette. Il suo primo Canto era stato un trionfo.
Chawri Bazaar aveva delle stradine laterali che portavano agli stretti viali di
Chippiwada, dove alcuni pali metallici bloccavano l'accesso ad auto e ricksha.
Il tassista si fermò in una strada deserta e si voltò per incassare il
pagamento.
Swamiji estrasse dal suo portafoglio quaranta rupie (le stesse quaranta rupie
che aveva portato con sé sulla nave diretta in America, nel 1965). Ma il
tassista prese le quaranta rupie e disse che le avrebbe tenute tutte come
pagamento.
Swamiji protestò: la tariffa avrebbe dovuto essere meno della metà! Rimasero a
discutere a voce alta, in hindi. Il tassista aveva intascato il denaro e non
avrebbe dato il resto. Swamiji sapeva che sarebbe stato estremamente difficile
trovare un poliziotto a quell'ora.
Alla fine, anche se era stata una vera e propria rapina, Swamiji lasciò andare
l'uomo. Swamiji e Kirtanananda presero il loro bagaglio e fecero a piedi
l'ultimo isolato, fino alla porta del tempio di Radha-Krishna a Chippiwada.
Era chiusa. Mentre picchiavano energicamente alla porta, Swamiji chiamò ad alta
voce Sri Krishna Pandit, finché scese un uomo che riconobbe Bhaktivedanta Swami
e li fece entrare.
L'uomo li portò su per le scale e aprì il lucchetto alla porta di Swamiji.
Swamiji accese la luce.
La stanza era spoglia e piena di polvere, e la lampadina appesa al soffitto dava
una luce cruda, con un forte contrasto di luce e ombra.
Dal pavimento si alzava una piccola cupola, alta quasi un metro, a indicare che
proprio li sotto c'era l'altare e le Divinità di Radha e Krishna. (La cupola era
destinata ad evitare di camminare direttamente sopra le Divinità, commettendo
così un'offesa, anche se involontaria.)
L'armadio era stipato di pagine stampate dello Srimad Bhagavatam e di
sovraccopertine, e lettere circolari per eventuali soci della Lega dei Devoti.
Tutto era esattamente come Bhaktivedanta Swami l'aveva lasciato.
"Questa è la stanza dove ho compilato lo Srimad Bhagavatam", disse
Swamiji a Kirtanananda. "Dormivo qui. E la c'erano la mia macchina da scrivere e
il mio cucinino.
Dormivo e battevo a macchina, e cucinavo e battevo a macchina, e dormivo e
battevo a macchina." Kirtanananda era allibito mentre pensava a Swamiji che
aveva vissuto qui, in un posto così povero e umile. Non era nemmeno pulito.
Kirtanananda si sentiva molto a disagio nel suo completo di lana e già da un po’
si chiedeva quando sarebbe riuscito a toglierselo, ma andò a procurare un
materassino per Swamiji.
Arrivarono due dottori ayurvedici. Entrambi furono d'accordo che il problema era
il cuore, ma che il pericolo ormai era passato.
Gli diedero delle medicine e gli consigliarono di essere regolato nel mangiare,
nel riposare e nel lavorare. Sri Krishna Pandit venne a trovarlo e si sedette
per conversare.
Swamiji gli raccontò del suo successo in America e di tutti i giovani devoti di
New York e di San Francisco. Fece ascoltare il disco a Sri Krishna Pandit, e la
musica attirò una folla di curiosi dalle altre stanze del tempio.
Il primo
agosto, dopo sei giorni a Delhi, Swamiji andò a Vrindavana, dove occupò la sua
vecchia stanza al tempio di Radha-Damodara.
Era lì da un giorno soltanto, e la sua salute aveva avuto solo un lieve
miglioramento, ma già cominciava a fare programmi per il ritorno in America.
"Penso sempre a voi," scrisse ai devoti, chiamandoli i suoi "cari studenti".
A Delhi Swamiji aveva ricevuto una lettera da Brahmananda, che gli riferiva che
la Macmillan Editori era seriamente interessata a pubblicare la sua
Bhagavad-gita.
Ora, da Vrindavana, Swamiji scrisse a Brahmananda di firmare subito il contratto
a suo nome.
Swamiji era stato incerto se stampare privatamente in Giappone o in India,
oppure aspettare la Macmillan. Ma stampare il più presto possibile gli
interessava molto di più che approfittare del prestigio e dei vantaggi economici
che offriva l'edizione Macmillan.
Swamiji era ancora molto debole e aveva bisogno delle cure e dei massaggi di
Kirtanananda, che da parte sua era stremato e intontito dal calore intenso, ma
continuava a fare nuovi piani sempre più ambiziosi per il suo giovane movimento
per la coscienza di Krishna.
Pensava ad alta voce ai volumi dello Srimad Bhagavatam che erano pronti
per essere stampati, se la Macmillan li avesse accettati e se i ragazzi avessero
potuto agire a suo nome. C'era tanto da fare. Voleva ritornare entro ottobre per
controllare da vicino la situazione.
La temperatura si alzò a più di 45 gradi, e Swamiji e Kirtanananda dovevano
stare chiusi in camera con i ventilatori accesi.
Kirtanananda riusciva appena a compiere i suoi doveri, ma per Swamiji il calore
era tonificante, e disse che lo stava rimettendo in sesto. Poi, dopo la prima
settimana, cominciarono le grandi piogge e la calura terminò.
Il giorno di Janmastami, il 28 agosto, Swamiji conferì l'ordine di sannyasa
a Kirtanananda in una cerimonia al tempio di Radha-Damodara.
Così Kirtanananda fu il primo discepolo di Swamiji a diventare un sannyasi:
Kirtanananda Swami.
In genere il sannyasa viene concesso a uomini che abbiano passato i
cinquant'anni. Ma Swamiji voleva fare sannyasi il suo giovane discepolo
perché aveva un grande desiderio di avere devoti che potessero dedicare tutte le
loro energie a viaggiare e a predicare, che sono i doveri tradizionali del
sannyasi.
Questi sannyasi erano necessari per rafforzare e diffondere il
Movimento per la Coscienza di Krishna.
Alla cerimonia dell'iniziazione di Kirtanananda assistettero centinaia di
visitatori che erano venuti a festeggiare il compleanno di Krishna, e molti di
loro vennero a congratularsi con il nuovo sannyasi. Qualcuno disse che
sembrava Sri Caitanya.
Swamiji scrisse:
Tornerà negli Stati Uniti molto presto per cominciare un programma di predica,
con ancora maggior vigore e successo.
Nel frattempo cercherò di usare questo "sannyasi" bianco per fare
devoti in India.
Ai primi di settembre, Acyutananda arrivò a Vrindavana per stare con Swamiji.
Quello che colpi di più Acyutananda di Swamiji a Vrindavana era la semplicità
del suo modo di vivere. A New York Swamiji indossava abiti molto semplici, ma
aveva sempre avuto un aspetto regale, da guru.
Ma qui viveva in modo molto semplice e umile. Un giorno si sedette sulla veranda
fuori della sua porta per lavarsi le mani e il suo corpo si coprì immediatamente
di mosche.
Kirtanananda e Acyutananda erano sempre infastiditi dalle mosche, era la
stagione delle piogge, ma Swamiji sembra non notarle neppure e rimase
tranquillamente seduto fuori a lavarsi le mani.
Kirtanananda e Acyutananda erano d'accordo: Swamiji non era semplicemente uno
dei babaji di Vrindavana. Non c'era nessun altro come lui.
Certamente Gaurachand Gosvami, proprietario del tempio di Radha-Damodara, non
assomigliava affatto a Swamiji. Portava degli occhiali molto spessi e ci vedeva
pochissimo, e quando Kirtanananda e Acyutananda andarono davanti alle Divinità
nel tempio, Gaurachand Gosvami chiese loro ad alta voce: "Allora, vi piacciono?
Qual è quella che vi piace di più?"
"Sono tutte bellissime", disse Acyutananda.
"A me piace di più quello là grande in fondo", disse il sacerdote puntando il
dito con noncuranza alla Divinità di Krishna. "Assomiglia un po' al generale
Choundry." I ragazzi dello Swami si guardarono in faccia l'un l’atro, ma che
razza di tipi erano questi? e tornarono da Swamiji per avere delle spiegazioni.
"Questi sono gosvami di casta", spiegò Swamiji. I gosvami
originali, come Jiva Gosvami, avevano impiegato uomini sposati nell'adorazione
delle Divinità. E questi gosvami di casta erano i discendenti di quei
primi pujari grhastha.
Swamiji spiegò che i gosvami di casta erano i proprietari dei templi, e
consideravano il mantenimento del tempio e l'adorazione delle Divinità come un
mezzo per mantenere la propria famiglia.
Molti anni fa ognuna delle Divinità che si trovano sull'altare aveva il suo
tempio, con tanto di terra, rendita e pujari. Ma per fare economia i
gosvami avevano venduto le proprietà, impoverito l'adorazione e riunito
le Divinità sullo stesso altare.
C'erano anche altri personaggi interessanti: la vecchia vedova Sarajini, con la
testa rasata e la Sikha e i piedi scalzi e callosi, che dormiva in una
stanzetta accanto al cancello del tempio, e spazzava la cucina di Swamiji e
lavava i suoi panni;
Pancudas Gosvami, il figlio del proprietario del tempio, che stava sempre a
masticare pan e se ne andava in giro con un'espressione addormentata
sfoggiando un dhoti di seta col bordo ricamato di rosso;
il nero e vecchio babaji che compariva alla sera e rideva costantemente e che
preparava della pasta di sandalo per Swamiji;
l'erborista della zona, Vanamali Kaviraja, che troneggiava con il suo largo
sorriso da dietro un tavolino nella sua minuscola stanzetta piena zeppa di
bottigliette, dal soffitto al pavimento;
e un famoso pandit che andava a trovare Swamiji e indossava una collana di
tulasi montata in oro e anelli di diamanti.
Tutti questi erano devoti, abitanti della terra santa di Vrindavana Ma non c'era
nessuno come Swamiji.
Kirtanananda Swami era perfino un po' deluso di vedere che a Vrindavana non
c'era nessuno come Swamiji. Nella terra dove tutti erano Indiani, e tutti erano
devoti, Swamiji era sempre unico.
Nessun altro era così semplice, così serio, così capace di penetrare attraverso
la falsità, così attraente per il cuore, o così assolutamente attaccato a
Krishna. Nessun altro avrebbe potuto guidarli.
Con le cure
regolari, le medicine, i massaggi, il riposo e il caldo di Vrindavana, Swamiji
sentiva che stava riacquistando la salute.
Per la metà di settembre dichiarò di essere quasi completamente pronto a
ritornare negli Stati Uniti.
Disse che sarebbe tornato la per la fine di ottobre.
Accompagnato da Kirtanananda e Acyutananda, partì da Vrindavana e tornò al
tempio di Chippiwada a Delhi.
L'undici ottobre scrisse a Brahmananda:
Dobbiamo far stampare i nostri libri: abbiamo già perso troppo tempo per la
pubblicazione e la ricerca di una casa editrice adatta. Quando ero da solo ho
pubblicato tre volumi, e negli ultimi due anni non sono riuscito a pubblicare
nemmeno un ' altro libro. È un fallimento.
Se avessi una o due anime sincere come te, e se potessimo pubblicare altri
libri, la nostra missione sarebbe un grande successo. Sono pronto a sedermi
sotto un albero con un'anima sincera, e vivendo così sarei libero da ogni
malattia.
Sapendo che Swamiji sarebbe tornato presto, i devoti in America cominciarono a
moltiplicare i loro inviti, e ogni gruppo gli chiedeva di venire nella loro
città.
Il 4 novembre Swamiji scrisse a Mukunda: "Mi dici che ora sentite più che mai la
mia mancanza, e anch'io sento il desiderio di partire immediatamente, senza più
aspettare."
E alla moglie di Mukunda, Janaki, scrisse: "Ti penso costantemente, e poiché mi
hai chiesto di venire a San Francisco tornando dall'India, cercherò di mantenere
la mia promessa. Penso di venire direttamente a San Francisco."
In fondo alla stessa lettera, indirizzata a Mukunda e Janaki, Acyutananda
aggiunse notizie sulla sua salute: "Swamiji sembra star bene, e vive e lavora
regolarmente, ma il suo polso è generalmente troppo veloce. Ieri sera era a 95,
insolitamente veloce anche per lui, che di solito ha dalle 83 alle 86
pulsazioni."
Swamiji decise che non avrebbe più aspettato, anche se un'attesa più lunga gli
avrebbe permesso di ottenere una residenza permanente negli Stati Uniti.
"Voglio tornare nel vostro paese, dove c'è aria buona e acqua buona", disse un
giorno ad Acyutananda. "Ogni giorno ricevo lettere dai devoti che mi pregano di
tornare da loro.
Ho l'impressione che senza di me le cose possano prendere una brutta piega, e in
realtà ero riluttante anche a venire in India. Ma adesso vedo che le cose stanno
procedendo bene.
C'è bisogno di me. Devo andare a controllare la crescita. Voglio ripartire”
Per assicurarsi che Swamiji sarebbe venuto prima a San Francisco, Mukunda mandò
un telegramma: "SWAMIJI, BRAHMANANDA E IO AUSPICHIAMO TUA VENUTA IMMEDIATA.
COMUNICA DATA ESATTA ARRIVO. MUKUNDA."
Swamiji aveva pensato di passare per Tokyo e intendeva fermarsi un giorno "per
valutare la possibilità di aprire un nuovo centro".
A Tokyo avrebbe telefonato a Mukunda per fargli sapere a che ora sarebbe
arrivato a San Francisco. Ma passarono tre settimane senza che Swamiji potesse
partire. Era in attesa del modulo P, un documento di nullaosta della Bank of
India, necessario per ogni cittadino indiano che si recava all'estero.
Nel frattempo ricevette buone notizie da New York. La Macmillan Editori era
veramente interessata a pubblicare la Bhagavad-gita: il contratto era
già stato steso.
Soddisfatto di Brahmananda, l’11 novembre gli scrisse una lettera, per spiegare
qual era la sua visione sulla distribuzione di letteratura cosciente di Krishna.
Con le nostre pubblicazioni possiamo lavorare anche da un solo centro, come New
York o San Francisco, e diffondere il nostro movimento in tutto il mondo.
Restiamo fedeli alla pubblicazione della nostra rivista rendendola sempre più
bella, e cerchiamo di pubblicare opere vediche come lo Srimad Bhagavatam,
il Caitanya-caritamrta, ecc.
I pensieri di Swamiji si volgevano sempre più alla predica che l'aspettava in
America, e valutava quello che aveva fatto fino ad allora, quello che avrebbe
fatto e in che modo.
Quando finalmente venne il giorno della partenza diede le ultime istruzioni ad
Acyutananda, che sarebbe rimasto a predicare la coscienza di Krishna in India.
Devi solo pregare Sri Krishna che mi faccia andare in America", chiese ad
Acyutananda.
"Come posso farlo? Per me, questo significa che tu mi lasci."
"Non è vero, rimarremo sempre molto vicini se ricordi i miei insegnamenti. Se
predichi diventerai più forte, e vedrai tutti questi insegnamenti nella giusta
prospettiva.
Quando la predica si ferma, tutto comincia a ristagnare e perdiamo la nostra
stessa vita. Vedi, qui in India la gente pensa di sapere tutto, ma si sbaglia.
Non c'è fine all'ascolto di ciò che riguarda Krishna. Dio è illimitato. Nessuno
può dire: 'So tutto di Dio. Chi dice di sapere tutto di Dio in realtà non ne sa
nulla. Tutti ti apprezzeranno.
Non aver paura."
I passeggeri
e l'equipaggio vedevano Swamiji come un anziano signore indiano vestito di abiti
color zafferano.
Le hostess non erano sicure che parlasse inglese, ma quando chiese loro della
frutta, videro che parlava inglese ed era un gentiluomo, una persona ben
educata.
Era tranquillo, s'infilava gli occhiali e leggeva per ore da un vecchio libro
sacro indiano, o muoveva le labbra in preghiera mentre faceva scorrere tra le
dita un rosario indiano contenuto in un sacchetto di stoffa, e ogni tanto
riposava sotto una coperta, con gli occhi chiusi.
Nessuno lo conosceva, e nessuno si preoccupa di chiedergli cosa facesse. Non
sapevano che dei giovani cuori lo aspettavano ansiosamente a San Francisco, o
che la Macmillan Editori di New York voleva pubblicare la sua traduzione in
inglese della Bhagavad-gita, o che aveva dei centri spirituali in due
nazioni e progetti di espansione in tutto il mondo.
Stava seduto pazientemente, recitando spesso il mantra, con la mano nel
sacchettino, completamente sottomesso a Krishna, mentre le ore passavano.
L'aereo atterrò a San Francisco. Insieme a centinaia di altri passeggeri,
Swamiji si diresse verso l'uscita. Percorse la galleria, e ancor prima di
arrivare all'edificio del terminal scorse alcuni discepoli sorridenti che
agitavano le braccia per salutarlo, dall'altra parte della vetrata.
Entrando nell'edificio del terminal, si avvicinò alla vetrata, e i suoi
discepoli caddero in ginocchio per offrirgli i loro omaggi. Quando sollevarono
la testa sorrise e continuò a camminare lungo il corridoio mentre loro
camminavano con lui, separati solo dalla grande vetrata. Poi scomparvero alla
sua vista, mentre scendeva le scale verso la dogana e l'ufficio immigrazione.
Anche al piano di sotto c'era una grande vetrata, e Swamiji vide più di
cinquanta devoti e amici che lo aspettavano ansiosamente. Di nuovo lo videro, e
tutti insieme gridarono: "Hare Krishna!"
Ai loro occhi Swamiji appariva meraviglioso, abbronzato per i cinque mesi
passati in India, ringiovanito e pieno di brio. Sorrise e alzò le braccia in
segno di saluto. I devoti piangevano di gioia.
In fila alla dogana, per l'ispezione dei bagagli, Swamiji poteva sentire il
kirtana dei devoti e la vetrata poteva solo attutire il rumore. I
funzionari della dogana ignorarono il kirtana sebbene non fosse
difficile stabilire la relazione tra il passeggero in abiti color zafferano e i
felici cantori dall'altra parte.
Swamiji attese in fila, e ogni tanto lanciava uno sguardo ai suoi discepoli che
cantavano. Aveva solo una valigia da presentare alla dogana.
Metodicamente, l'ispettore esaminò il contenuto: sari di cotone per le
ragazze, ghirlande di seta per le Divinità di Jagannatha, karatala, dhoti e
kurta color zafferano, una grattugia per il cocco e bottigliette di
medicine ayurvediche.
"Cosa c'è qui dentro?" indagò l'ispettore. Le bottigliette avevano un aspetto
strano, sembravano sospette, e chiamò un altro collega. Un ritardo.
I discepoli di Swamiji si sentirono turbati dal fatto che questo sciocco
ispettore di dogana cacciasse il naso nelle cose di Swamiji e l'avesse fermato
per aprire le bottigliette sigillate, e annusare con sospetto il contenuto.
L'ispettore sembrò soddisfatto. Swamiji cercò di chiudere la valigia, ma la
chiusura lampo si era inceppata. Un altro ritardo.
I devoti, continuando a cantare ansiosamente, lo guardavano mentre si dava da
fare per chiudere la valigia, aiutato dal signore che stava dietro di lui.
Si diresse verso le porte di vetro. I devoti cominciarono a cantare più forte.
Mentre attraversava la porta, un devoto soffiò in una conchiglia, che risuonò
per tutto il salone.
I devoti si fecero avanti per offrirgli delle ghirlande, e tutti si strinsero
attorno a lui porgendogli dei fiori. Egli entrò in mezzo a loro come un padre
adorato entra in mezzo ai suoi figli affettuosi e ricambiò il loro abbraccio.