INTRODUZIONE
Sua Divina Grazia
A. C. Bhaktivedanta Swami, in seguito conosciuto come Srila Prabhupada, diventò
famoso in tutto il mondo a partire dal 1965, dopo il suo arrivo in America.
Prima di lasciare l'India aveva scritto tre libri, e nei successivi dodici anni
ne avrebbe scritti sessanta. Prima di lasciare l'India aveva iniziato un
discepolo, nei successivi dodici anni ne avrebbe iniziati più di quattromila.
Prima di lasciare l'India nessuno credeva che egli sarebbe riuscito a dare vita
alla sua visione di una società mondiale di devoti di Krishna, ma nei successivi
dodici anni egli avrebbe creato e guidato l'Associazione Internazionale per la
Coscienza di Krishna e aperto più di cento centri.
Prima d'imbarcarsi alla volta dell'America non era mai stato all'estero, ma nei
successivi dodici anni avrebbe più volte fatto il giro del mondo per diffondere
il Movimento per la Coscienza di Krishna.
Sebbene a prima vista possa sembrare che il grande contributo della sua vita sia
una sorta di tardiva esplosione di conquiste spirituali, i suoi primi
sessantanove anni furono la preparazione per queste conquiste. Sebbene
Prabhupada e i suoi insegnamenti fossero per gli Americani un'apparizione tanto
improvvisa quanto inconsueta, "Ci sembrò come il genio apparso dalla lampada di
Aladino", egli era il coraggioso rappresentante di una tradizione antica di
secoli.
Srila Prabhupada nacque come Abhay Charan De il primo settembre del 1896 a
Calcutta, in India. Suo padre Gour Mohan De, era un mercante di stoffe, sua
madre si chiamava Rajani.
Secondo la tradizione bengalese, i genitori chiesero a un astrologo di fare
l'oroscopo del neonato e furono felici di leggere segni di buon auspicio.
L'astrologo fece una specifica predizione: quando quel bambino avrebbe raggiunto
i settant'anni avrebbe attraversato l'oceano, sarebbe diventato una grande
personalità spirituale e avrebbe fondato centootto templi.
La casa di Abhay al numero 151 di Harrison Road era situata nel quartiere
indiano a nord di Calcutta. Il padre di Abhay, Gour Mohan De, apparteneva alla
comunità mercantile aristocratica suvarna-vanik. Era imparentato con la ricca
famiglia Mullik che per centinaia di anni aveva commerciato in oro e sale con
gli Inglesi. In origine i Mullik erano stati membri della famiglia De, un gotra
(lignaggio) che risale all'antico saggio Gautama, ma durante il periodo Mogul
dell'India prebritannica, un governatore musulmano aveva conferito il titolo di
Mullik ("signore") a un ricco e influente ramo della famiglia De. In seguito,
numerose generazioni dopo, una figlia dei De aveva sposato un esponente della
famiglia Mullik e le due famiglie da quel momento erano rimaste vicine.
Un intero isolato immobiliare su un lato della Harrison Road apparteneva a
Lokanath Mullik, e Gour Mohan e la sua famiglia vivevano in poche stanze di una
costruzione a tre piani di proprietà dei Mullik.
Sull'altro lato della strada, di fronte alla residenza dei De, c'era il tempio
di Radha-Govinda, dove per gli ultimi centocinquanta anni i Mullik avevano
continuato ad adorare Radha e Krishna. Vari negozi della proprietà Mullik
fornivano la rendita per le Divinità e per i sacerdoti che compivano
l'adorazione. Ogni mattina, prima della colazione, i membri della famiglia
Mullik visitavano il tempio per vedere le Divinità di Radha-Govinda. Essi
offrivano riso dolce, kacauri e verdure su un largo piatto e poi distribuivano
il prasada delle Divinità ai mattinieri visitatori dei dintorni. Tra questi
visitatori giornalieri c'era Abhay Charan, accompagnato dalla madre, dal padre o
dal domestico.
Gour Mohan era un puro vaisnava e allevò il figlio nella coscienza di Krishna.
Poiché anche i suoi genitori erano stati vaisnava, Gour Mohan non aveva mai
toccato carne, pesce, uova, tè o caffè. Era di carnagione chiara e di
temperamento riservato. La sera, prima di chiudere il suo negozio di stoffe,
metteva una tazza di riso al centro del pavimento affinché i topi, spinti dalla
fame, non rosicchiassero la merce. Quando tornava a casa leggeva dei brani
tratti dalla Caitanya-caritamrita e dallo Srimad Bhagavatam (le principali
Scritture sacre dei vaisnava bengalesi), recitava il suo rosario e adorava la
Divinità di Sri Krishna. Era gentile e affettuoso e non puniva mai il piccolo
Abhay. Perfino quando era costretto a sgridarlo, prima si scusava dicendo: "Sei
mio figlio e adesso devo sgridarti. E' mio dovere. Perfino il padre di Caitanya
Mahaprabhu Lo metteva in castigo. Quindi non ti dispiacere." C'era un quadro che
a Prabhupada rammentava il servizio devozionale del padre per Sri Krishna.
Ricordava come suo padre fosse solito tornare tardi la sera dal negozio di
stoffe e offrire con fede il suo servizio devozionale a Sri Krishna di fronte
all'altare di casa.
"Dormivamo", raccontava Prabhupada, "e mio padre stava facendo l'arati.
Sentivamo il din, din, din, il suono della campanella, ci alzavamo e lo vedevamo
inginocchiarsi davanti alla murti di Krishna."
Gour Mohan aveva progetti vaisnava per suo figlio; voleva che Abhay diventasse
un servitore di Radha e Krishna, un predicatore del Bhagavatam, e apprendesse
l'arte devozionale di suonare il tamburo mridanga. Accoglieva regolarmente a
casa sua dei sadhu e sempre chiedeva loro: "Per favore, benedite mio figlio
affinché Srimati Radharani gli conceda le Sue benedizioni."
Quando la mamma di Abhay disse di volere che il bambino, da grande, diventasse
un avvocato con una laurea inglese (il che significava che sarebbe dovuto andare
a studiare a Londra), uno degli zii pensò fosse una buona idea. Ma Gour Mohan
non volle sentire ragioni; se Abhay si fosse recato a Londra avrebbe potuto
essere influenzato dal modo di vivere europeo. "Comincerà a bere e ad andare a
caccia di donne", obiettò. "Non voglio il suo denaro."
Sin dai primi anni della vita di Abhay, Gour Mohan mise in opera il suo
progetto. Prese un suonatore professionale di mridanga affinché insegnasse al
piccolo i ritmi classici per accompagnare il kirtana. Rajani era scettica: "A
cosa serve insegnare a un bambino a suonare la mridanga? Non è importante." Ma
Gour Mohan coltivava il sogno di un figlio che cresceva cantando bhajan,
suonando la mridanga e parlando dello Srimad Bhagavatam.
La madre di Abhay, Rajani, aveva trent'anni quando lo diede alla luce. Come il
marito, anche lei veniva da una famiglia di antica fede Gaudiya vaisnava. La sua
carnagione era leggermente più scura di quella del marito, e mentre il
temperamento dell'uomo era piuttosto tranquillo lei si curava del figlio con
grande passione.
Abhay vedeva i suoi genitori vivere insieme pacificamente; nessun conflitto
matrimoniale o complicate insoddisfazioni turbavano la vita familiare. Rajani
era casta e religiosa, un modello di donna di casa secondo il costume vedico,
impegnata a prendersi cura del marito e dei figli.
Abhay osservava i semplici e toccanti sforzi della madre per assicurarsi, con
preghiere e voti, che lui continuasse a vivere.
Anche Rajani, come Gour Mohan, considerava Abhay il figlio prediletto; però
mentre il marito esprimeva il suo amore con la benevolenza e i progetti di
successi spirituali, la donna esprimeva il suo amore sforzandosi di
salvaguardare Abhay da ogni pericolo, dalle malattie e dalla morte.
Quando il bimbo nacque, Rajani fece il voto di mangiare con la mano sinistra
fino al giorno in cui il figlio lo avesse notato e le avesse chiesto il perché.
Quando il piccolo glielo chiese, Rajani immediatamente smise di mangiare con la
mano sinistra.
Sì era trattato di un'altra prescrizione per la sopravvivenza del bimbo, poiché
la donna pensava che per la forza del voto Abhay sarebbe vissuto almeno fino al
momento in cui avrebbe chiesto alla madre la ragione del suo gesto.
Rajani spesso portava il bambino al Gange e lo immergeva personalmente nelle
sacre acque. Quando Abhay si ammalò di dissenteria lo curò con puri caldi e
melanzane fritte e salate.
A volte, quando era malato, Abhay mostrava la sua ostinazione rifiutandosi di
prendere le medicine. Ma quanto lui era caparbio tanto la madre era decisa e gli
metteva di forza le medicine in bocca.
Quando il piccolo marinava la scuola, il padre si mostrava indulgente mentre
Rajani era più decisa e assunse perfino una persona per accompagnare il bambino
a scuola.
In tutta l'India settentrionale Sri Krishna è venerato dalla maggior parte della
popolazione come la suprema forma di Dio. Questa concezione di Krishna è
realmente in accordo con le Scritture vediche, in modo particolare con la
Bhagavad-gita, che è il testo più letto di tutta la letteratura vedica.
Quindi, naturalmente, Abhay sin dalla nascita assorbì la coscienza di Krishna.
Inoltre suo padre era particolarmente religioso e in seguito Prabhupada parlò di
lui come di "un puro devoto di Krishna."
Gour Mohan era solito condurre il figlio, ancora prima che questi fosse in grado
di camminare, al vicino tempio di Radha-Krishna, conosciuto col nome di
Radha-Govinda Mandir.
Molto tempo dopo Prabhupada ricordava: "Rimanevamo insieme per ore, in piedi
sotto l'arco di entrata del tempio di Radha-Govinda, a recitare preghiere alla
murti di Radha-Govinda.
La Divinità era cosi meravigliosa con i Suoi occhi a mandorla.
"Abhay era anche affascinato dal Ratha-yatra, il festival in onore del Signore
Jagannatha, che si tiene ogni anno a Calcutta.
Il principale Ratha-yatra di Calcutta era quello che si celebrava al
Radha-Govinda Mandir, con tre diversi carri che portavano le murti di Jagannatha
(Krishna), Balarama e Subhadra.
Partendo dal tempio di Radha-Govinda i carri percorrevano per un breve tratto
Harrison Road e poi tornavano indietro.
In quei giorni i dirigenti del tempio distribuivano alla gente grandi quantità
di prasada del Signore Jagannatha.
Il Ratha-yatra era celebrato in tutte le città indiane, ma quello originale, a
cui partecipavano milioni di pellegrini, si teneva ogni anno a Jagannatha Puri,
una piccola località a circa quattrocentocinquanta chilometri a sud di Calcutta.
Da molti secoli, a Puri, tre carri di legno alti quindici metri vengono trainati
dalla folla lungo i due chilometri della strada in cui si svolge la processione
che commemora uno degli eterni passatempi di Sri Krishna.
Abhay aveva sentito dire che anche Sri Caitanya, quattrocento anni prima, aveva
danzato e guidato il canto estatico di Hare Krishna al festival del Ratha-yatra
di Puri.
Abhay ogni tanto consultava l'orario ferroviario o s'informava sul prezzo del
biglietto per Puri, pensando al modo di raccogliere i soldi sufficienti per
andarci.
Abhay voleva avere il suo carro e rappresentare il suo Ratha-yatra, e
naturalmente chiese aiuto al padre. Gour Mohan gli procurò un carro usato, alto
un metro, una copia di quello vero; padre e figlio insieme costruirono delle
colonne sulla cui cima posero un baldacchino che assomigliava il più possibile a
quello dei grandi carri di Puri.
Abhay chiese ai suoi compagni di giochi, soprattutto alla sorella Bhavatarini,
di aiutarlo, e diventò la loro guida naturale.
Per rispondere alle sue suppliche, le madri che abitavano nei paraggi
acconsentirono divertite a cucinare piatti speciali che il bambino avrebbe
potuto distribuire come prasada a questo festival del Ratha-yatra.
Come quello di Puri, anche il festival di Abhay durò otto giorni.
I suoi familiari si riunirono e i bambini dei dintorni trainarono il carro
durante la processione cantando, suonando tamburi e karatala.
Quando Abhay compì sedici anni chiese al padre una sua personale murti di
Krishna per poterla adorare. Fin dai tempi della sua infanzia aveva osservato il
padre celebrare il puja a casa e aveva regolarmente visto l'adorazione di
Radha-Govinda.
Così pensava: "Quando potrò anch'io adorare Krishna in questo modo?" Gour Mohan
acquistò una coppia di piccole murti di Radha-Krishna e le regalò al figlio.
Da allora, qualsiasi cosa mangiasse, il giovane Abhay la offriva prima a Radha e
Krishna e, imitando il padre e il sacerdote del Radha-Govinda, offriva una
lampada di ghi alle sue murti e le metteva a dormire ogni notte.
Quando verso la fine degli anni sessanta, Srila Prabhupada iniziò a introdurre i
grandi festival del Ratha-yatra nelle città degli Stati Uniti e cominciò a
installare murti di Radha-Krishna nei templi dell'ISKCON, disse che aveva
imparato tutte queste cose da suo padre.
Prabhupada disse che l'unico aspetto della coscienza di Krishna che non gli era
stato insegnato dal padre era l'importanza di stampare e diffondere la
letteratura trascendentale.
Questo lo apprese solamente dal suo maestro spirituale che aveva incontrato più
avanti, negli anni della sua giovinezza.
Quando Abhay frequentava l'università, il padre predispose il suo matrimonio con
Radharani Datta, la figlia di un commerciante con cui Gour Mohan era in affari.
Per molti anni i due futuri sposi vissero ognuno con le rispettive famiglie e
quindi le responsabilità di mettere su casa non erano immediate. Prima di tutto
Abhay doveva terminare i suoi studi.
Ma durante il quarto anno universitario cominciò a nutrire una certa
insofferenza verso la sua laurea.
Era diventato un simpatizzante della causa nazionalista che si batteva per
ottenere una struttura scolastica nazionale e autogestita.
Tra gli studenti del corso superiore a quello di Abhay c'era un acceso
nazionalista, Subhas Chandra Bose, che in seguito diventò il capo dell'esercito
nazionale indiano, costituito per porre termine al dominio coloniale inglese in
India.
Quando Subhas Chandra Bose chiese agli studenti di appoggiare il movimento per
l'indipendenza indiana, Abhay aderì.
Gli piacque la fede di Chandra Bose nella spiritualità, il suo entusiasmo e la
sua determinazione.
Abhay non s'interessava delle faccende politiche, ma lo affascinava l'ideale del
movimento per l'indipendenza. L'appello, se pure velato, allo svaraj,
l'indipendenza, affascinava tutti gli studenti, e tra questi c'era Abhay.
Egli era particolarmente interessato da Mohandas K. Gandhi, il quale portava
sempre con se una copia della Bhagavad-gita e diceva che tra tutti i libri che
aveva letto era la Gita quello che lo ispirava di più.
Gandhi forniva con il suo modo di vestire un'immagine di grande purezza, non
faceva uso d'intossicanti, era vegetariano e si asteneva dalle attività sessuali
illecite. Viveva semplicemente, come un sadhu, anzi, sembrava possedere
un'integrità morale maggiore di quella di molti sadhu che Abhay aveva
incontrato.
Abhay leggeva le parole di Gandhi e ne seguiva l'attività. Forse Gandhi,
pensava, potrebbe portare la spiritualità nel campo dell'azione.
Gandhi invitava gli studenti indiani ad abbandonare i loro studi. Il sistema
scolastico straniero, diceva, crea una mentalità da schiavi e produce soltanto
marionette nelle mani degli Inglesi.
Ma la laurea rappresentava anche la base per poter intraprendere una carriera.
Abhay considerò attentamente tutte le diverse possibilità e nel 1920, dopo aver
terminato l'ultimo anno di università e aver superato tutti gli esami, rifiutò
di accettare la laurea. Questa fu la sua protesta e il suo modo di rispondere
all'appello di Gandhi.
Dopo il massacro di Jallianwalla Bagh, dove i soldati britannici uccisero
centinaia di Indiani disarmati che si erano riuniti per una manifestazione
pacifica, Gandhi lanciò la politica della disobbedienza civile e del
boicottaggio delle merci inglesi. Rifiutando la laurea, Abhay si era schierato
al fianco del movimento di Gandhi che lottava per l'indipendenza.
Sebbene ne fosse contrariato, Gour Mohan non deplorò quest'azione; comunque
s'interessava di più al futuro del figlio che ai destini politici dell'India e
gli trovò un posto di lavoro grazie a un importante amico di famiglia, il dott.
Kartik Chandra Bose.
Il dott. Bose era un rinomato chirurgo e un industriale chimico, possedeva un
suo stabilimento, il laboratorio Bose di Calcutta, e accettò volentieri Abhay
come direttore commerciale della sua azienda.
Spesso, durante tutta la sua vita, Srila Prabhupada ricordava il primo incontro
con il suo maestro spirituale, Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura.
Dapprima Abhay non lo voleva incontrare perché non era stato favorevolmente
impressionato dai cosiddetti sadhu che erano soliti frequentare la casa del
padre. Ma un amico di Abhay aveva molto insistito e lo aveva accompagnato al
tempio della Gaudiya Math, dove entrambi erano stati ammessi alla presenza di
Bhaktisiddhanta Sarasvati.
Mentre Abhay e il suo amico, dopo essersi rispettosamente inchinati si stavano
per sedere, quella persona santa disse loro: "Siete due giovani educati. Perché
non diffondete nel mondo il messaggio di Sri Caitanya?"
Abhay era rimasto molto sorpreso dal fatto che il sadhu avesse immediatamente
chiesto loro di diventare predicatori. Impressionato da Bhaktisiddhanta
Sarasvati, lo voleva mettere alla prova con domande intelligenti.
Abhay indossava un abito di kadi bianco che in India a quel tempo rendeva
riconoscibili i sostenitori della causa dell'emancipazione politica di Gandhi.
Mosso dal suo spirito nazionalistico chiese: "Chi ascolterà il vostro messaggio
di Caitanya? Siamo una nazione dipendente. Per prima cosa l'India dovrà ottenere
la sua indipendenza.
Come possiamo diffondere la cultura indiana se siamo ancora sotto il dominio
britannico?"
Srila Bhaktisiddhanta rispose che la coscienza di Krishna non poteva attendere i
cambiamenti nella politica dell'India, anche se l'India era dipendente e
oppressa.
La coscienza di Krishna era troppo importante per poter attendere.
Abhay fu Colpito da tanta audacia. L'intera India era in agitazione e sembrava
dare ragione alle parole di Abhay. Grandi leader del Bengala, molti santi, lo
stesso Gandhi uomini educati e religiosi ognuno di loro poteva aver posto la
stessa domanda sfidando la rilevanza di questo sadhu.
Ma Srila Bhaktisiddhanta affermava che tutti i governi erano temporanei, la
realtà eterna era la coscienza di Krishna e il se reale era l'anima spirituale.
Nessun sistema politico costruito dall'uomo poteva aiutare l'umanità. Questo era
quanto affermavano le Scritture vediche e la linea dei maestri spirituali.
Una vera opera sociale, egli diceva, doveva superare i limiti temporali e
preparare la persona per la sua prossima vita e per la sua eterna relazione con
il Supremo.
Abhay comprese quindi di non trovarsi in presenza del solito sadhu di dubbia
fama, ascoltò con attenzione le argomentazioni di Srila Bhaktisiddhanta e pian
piano si accorse che stava convincendosi.
Bhaktisiddhanta Sarasvati citò alcuni versi sanscriti dalla Bhagavad-gita, in
cui Sri Krishna afferma che una persona dovrebbe abbandonare ogni altro dovere
religioso e arrendersi a Lui, Dio, la Persona Suprema.
Abhay non aveva mai dimenticato Sri Krishna e i Suoi insegnamenti della
Bhagavad-gita e la sua famiglia aveva sempre adorato Sri Caitanya Mahaprabhu,
della cui missione stava parlando Bhaktisiddhanta Sarasvati. Ma era stupito di
ascoltare questi insegnamenti presentati in modo così impeccabile.
Abhay si trovò a corto di argomenti, ma la cosa gli piacque. dopo due ore,
quando il colloquio ebbe termine, lui e il suo amico ridiscesero i gradini e si
ritrovarono in strada. La spiegazione che Srila Bhaktisiddhanta aveva dato del
movimento per l'indipendenza, come qualcosa di temporaneo e incompleto, aveva
fortemente impressionato Abhay.
Adesso si sentiva molto meno nazionalista e molto più discepolo di
Bhaktisiddhanta Sarasvati. Pensava inoltre che sarebbe stato meglio se non si
fosse sposato. Quella grande persona gli aveva chiesto di predicare; poteva
farlo immediatamente. Ma sentiva che lasciare la famiglia, sarebbe stata
un'ingiustizia.
"E' meraviglioso!" disse Abhay all'amico. "Il messaggio di Sri Caitanya è nelle
mani di un uomo molto esperto."
Anni dopo Srila Prabhupada ricordava di aver accettato Bhaktisiddhanta Sarasvati
come il suo maestro spirituale quella notte stessa. "Non ufficialmente", disse
Prabhupada, "ma nel cuore. Pensavo di aver incontrato un santo eccezionale."
Dopo questo primo incontro con Bhaktisiddhanta Sarasvati, Abhay cominciò a
frequentare i devoti della Gaudiya Math. Essi gli diedero dei libri e gli
raccontarono la storia del loro maestro spirituale. Srila Bhaktisiddhanta
Sarasvati era figlio di Bhaktivinoda Thakura, un altro grande maestro vaisnava
nella linea di successione di Sri Caitanya.
Prima del tempo di Bhaktivinoda, gli insegnamenti di Sri Caitanya erano stati
oscurati da insegnanti e da sette che falsamente affermavano di essere seguaci
di Sri Caitanya ma che in realtà si allontanavano in modo drastico dai Suoi puri
insegnamenti; la buona reputazione del vaisnavismo era stata compromessa.
Bhaktivinoda Thakura, comunque, grazie ai suoi numerosi scritti e alla sua
posizione sociale di ufficiale governativo, aveva ristabilito la rispettabilità
del vaisnavismo. Aveva affermato che gli insegnamenti di Sri Caitanya erano la
forma più elevata di teismo ed erano adatti per l'intera umanità, non solo per
una particolare setta, religione o nazione.
Profetizzò che gli insegnamenti di Sri Caitanya si sarebbero diffusi in tutto il
mondo e lo desiderava fortemente. Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati insegnava la
parte conclusiva degli insegnamenti di Sri Caitanya, cioè che Krishna è Dio, la
Persona Suprema e che il canto del Suo santo nome doveva essere considerato
superiore a tutte le altre pratiche religiose.
Nelle età precedenti vi erano anche altri metodi per arrivare a Dio, ma ora,
nell'età di Kali, solo il canto di Hare Krishna sarebbe stato efficace.
Sia Bhaktivinoda Thakura sia Bhaktisiddhanta Sarasvati mettevano in risalto la
grande importanza che Scritture autorevoli quali il Brhannaradiya Purana e le
Upanisad, conferivano al maha-mantra Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna,
Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare.
Abhay conosceva queste Scritture, conosceva il canto del mantra e le conclusioni
della Bhagavad-gita. Ora, però, dopo aver avidamente letto gli scritti dei
grandi acarya aveva chiaramente compreso quale fosse lo scopo della missione di
Sri Caitanya.
Ora stava scoprendo le profondità dell'eredità spirituale vaisnava e la sua
efficacia nel portare la gente al più alto benessere in un'età destinata a
essere carica di conflitti.
Per motivi di affari Abhay sua moglie e tutta la famiglia si trasferirono ad
Allahabad, e fu lì che nel 1932 ricevette l'iniziazione e diventò discepolo di
Bhaktisiddhanta Sarasvati. I successivi trent'anni della vita di Abhay in India
sono la storia di un unico, crescente desiderio di predicare la coscienza di
Krishna in tutto il mondo, proprio come gli aveva ordinato il suo maestro
spirituale.
Ma le responsabilità familiari di Abhay sembravano essere incompatibili con la
sua volontà di predicare. Sua moglie era una casalinga molto pia ma non le
piaceva l'idea di lavorare per diffondere la coscienza di Krishna.
Quando Abhay teneva delle riunioni nella loro casa e leggeva passi dalla
Bhagavad-gita, lei preferiva restare fuori a prendere il tè. Eppure, nonostante
la sua ostinazione, Abhay rimaneva paziente e cercava sempre di farla
partecipare.
Nella qualità di venditore di prodotti farmaceutici Abhay doveva viaggiare molto
in treno, particolarmente nell'India settentrionale. Pensava che se fosse
diventato ricco avrebbe potuto usare il suo denaro per aiutare la missione di
Bhaktisiddhanta Sarasvati e questo pensiero gli dava coraggio nel lavoro.
Abhay non poteva viaggiare con il suo maestro spirituale e nemmeno vederlo
spesso, ma quando era possibile organizzava un viaggio di lavoro a Calcutta se
sapeva che il suo maestro spirituale si trovava là. In questo modo, nei
successivi quattro anni, riuscì a incontrare il suo maestro spirituale una
dozzina di volte.
Benché Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati fosse così fermo nelle sue polemiche
contro gli altri filosofi, tanto che perfino i suoi più stretti discepoli erano
molto cauti nell'avvicinarsi a lui quando sedeva da solo, e benché il contatto
di Abhay con lui fosse piuttosto limitato, Srila Bhaktisiddhanta lo trattava
sempre molto gentilmente.
Più tardi Prabhupada ricordava: "A volte i miei confratelli mi criticavano
perché parlavo con lui troppo liberamente e citavano questo proverbio inglese:
'Gli sciocchi corrono là dove gli angeli hanno paura di camminare.' Ma io
pensavo 'Sciocco? Può essere. Ma io sono fatto così.' Il mio Guru Maharaja è
stato sempre molto affezionato a me."
Nel 1935, in occasione del sessantaduesimo compleanno di Srila Bhaktisiddhanta
Sarasvati, Abhay sottopose ai suoi confratelli riuniti a Bombay una poesia e un
saggio che aveva scritto.
Questi scritti piacquero e furono in seguito pubblicati nella rivista della
Gaudiya Math The Harmonist. Uno dei suoi confratelli soprannominò Abhay kavi,
"il poeta colto".
La gloria di questo suo primo scritto, comunque, arrivò per Abhay quando
Bhaktisiddhanta Sarasvati lesse la poesia e la trovò di suo gradimento.
Soprattutto una strofa rese particolarmente felice Srila Bhaktisiddhanta tanto
che la volle mostrare a tutti i suoi ospiti.
Tu hai provato
che l'Assoluto è senziente
e hai rimosso
la calamità impersonalista.
In qualche modo, in questo semplice distico Abhay aveva racchiuso l'essenza
della predica del suo maestro spirituale contro le filosofie impersonalistiche,
e Srila Bhaktisiddhanta la considerò un'indicazione chiara che Abhay conosceva
bene la mente del suo Gurudeva.
Inoltre Srila Bhaktisiddhanta trovò il saggio di Abhay molto gradevole e lo
mostrò ad alcuni tra i suoi più intimi devoti. "Qualsiasi cosa egli scriva",
ordinò al direttore dell'Harmonist, "pubblicatela."
Uno dei più importanti incontri di Abhay con il suo maestro spirituale avvenne a
Vrindavana nel 1935. Abhay non era più un neofita, ma un sincero discepolo che
faceva del suo meglio pur rimanendo all'interno della vita familiare.
Un giorno Srila Bhaktisiddhanta stava passeggiando lungo le rive del lago sacro
di Radha-kunda in compagnia di alcuni discepoli e a un certo punto cominciò a
parlare confidenzialmente con Abhay.
Alcuni dei suoi principali discepoli avevano litigato e questo fatto lo aveva
molto turbato. Oggetto della disputa era stato l'uso di alcune stanze e
facilitazioni al centro Gaudiya Math di Calcutta.
Se litigavano adesso, cosa mai avrebbero fatto quando il loro maestro spirituale
avrebbe lasciato il corpo? Abhay non aveva preso parte a questa contesa e non
conosceva nemmeno i dettagli di quanto era successo. Ma non appena ebbe
ascoltato le parole del suo maestro spirituale anch'egli si sentì molto
dispiaciuto.
Profondamente preoccupato, Srila Bhaktisiddhanta disse ad Abhay: "Ci sarà un
incendio." Un giorno ci sarebbe stato un incendio nella Gaudiya Math di Calcutta
e quel fuoco d'interessi di parte sarebbe divampato e avrebbe causato la
distruzione.
Abhay udì queste rivelazioni ma non sapeva che fare. "Sarebbe meglio", proseguì
Bhaktisiddhanta Sarasvati," prendere il marmo delle mura del tempio e
convertirlo in denaro. Se potessimo fare così e stampare libri sarebbe molto
meglio."
Quindi rivolgendosi direttamente ad Abhay, Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati
disse: "Ho sempre desiderato stampare libri. Se avrai dei soldi, stampa libri."
Sulle rive del Radha-kunda, vicino al suo maestro spirituale, Abhay sentì che
queste parole entravano profondamente nella sua vita, "se avrai dei soldi,
stampa libri."
Srila Bhaktisiddhanta lasciò il mondo materiale nel dicembre del 1936. Un mese
prima della sua dipartita Abhay gli aveva scritto una lettera. Riteneva che in
quanto grihastha non poteva servire pienamente il suo maestro spirituale e
voleva sapere cosa avrebbe potuto fare di più.
Quindi chiedeva: "C'è qualche servizio particolare che posso fare?"
Due settimane dopo Abhay ricevette una risposta:
Ho piena fiducia che potrai spiegare in inglese le nostre idee a tutti coloro
che non parlano le lingue bengali e hindi... Questo sarà di grande beneficio per
te ed anche per il tuo pubblico. Spero proprio che potrai diventare un ottimo
predicatore in lingua inglese.
Abhay comprese che si trattava delle stesse istruzioni ricevute nel corso del
Suo primo incontro con Srila Bhaktisiddhanta nel 1922. E lesse questo fatto come
una conferma.
Adesso non aveva più dubbi su quale fosse lo scopo della sua vita.
"L'incendio nella matha" che Srila Bhaktisiddhanta aveva predetto scoppiò
abbastanza rapidamente.
Alcuni vecchi discepoli litigarono per succedersi nella guida della matha e il
dissidio ben presto degenerò in una serie di dispute legali sulla proprietà del
tempio.
Nella sua posizione di grihastha e di uomo d'affari, Abhay aveva preso poca
parte alle attività della Gaudiya Math e adesso questa situazione lo favoriva.
Si trovava molto distante dalla contesa, ma era dispiaciuto che l'ordine di
lavorare in armonia, che il suo maestro spirituale aveva dato ai discepoli,
fosse stato trascurato e che i templi e le stamperie andassero in rovina.
Ma ben presto si scatenò una crisi ben più grave: la seconda guerra mondiale.
Seguendo la tattica conosciuta come "la politica del rifiuto" gli Inglesi
affondarono molte navi indiane che portavano cibo e distrussero molti raccolti
di riso indiani, temendo che quel cibo sarebbe potuto cadere in mani nemiche.
Così gli Indiani rimasero affamati e privi delle navi di cui avevano bisogno per
commerciare. La carestia che afflisse il Bengala fu la peggiore negli ultimi 150
anni.
Abhay riuscì ad acquistare appena il necessario per la propria sopravvivenza e
quella della famiglia, ma mese dopo mese, vedeva aumentare gli accattoni che
invadevano le strade e gli spazi aperti, che cucinavano su fornelli improvvisati
e dormivano all'aperto o sotto gli alberi.
Vide bambini affamati rovistare nella spazzatura cercando un boccone di cibo. Da
quello a litigare con i cani per dividersi i rifiuti il passo era breve, e anche
questo divenne uno spettacolo familiare nelle strade di Calcutta.
Abhay comprendeva la sofferenza della fame e della carestia attraverso gli
insegnamenti che aveva ricevuto da Srila Bhaktisiddhanta.
Secondo l'ordine stabilito da Dio, la terra poteva produrre cibo a sufficienza
per tutti; i problemi cominciavano con l'avidità e la cattiva amministrazione
dell'uomo. "Nel mondo non manca nulla", aveva detto Srila Bhaktisiddhanta.
"L'unica cosa che manca è la coscienza di Krishna."
Ora più che mai la sua visione spirituale trovava conferma, e Abhay sentiva
crescere in sé l'ansia di trovare il modo di applicare quella che lui sapeva
essere la soluzione per tutti i mali.
Convinto di avere un messaggio per i cittadini del mondo, tormentati dalla
guerra, pensò di dar vita a una pubblicazione che potesse presentare la crisi
del momento attraverso gli occhi delle Scritture, con lo stesso coraggio che
aveva dimostrato il suo maestro spirituale.
Le idee non mancavano di certo, e da diverso tempo stava mettendo da parte il
denaro guadagnato con la sua attività proprio a questo scopo.
Dalla stanza anteriore del suo appartamento di Calcutta, Abhay progettava,
scriveva, correggeva e batteva a macchina il manoscritto per una rivista, che
chiamò Back to Godhead (Ritorno a Krishna): "Pubblicato e fondato, sotto
l'ordine diretto di Sua Divina Grazia Sri Srimad Bhaktisiddhanta Sarasvati
Gosvami Prabhupada, dal signor Abhay Charan De."
Ma spesso doveva andare a supplicare i funzionari del governo per avere il
permesso di usare della carta per stampare il suo giornale.
Era solo una voce tra miliardi di altre voci, ed era privo di sostegni e di
fondi o seguaci, ma aveva una profonda fiducia nel suo guru e in Krishna.
Era convinto dell'importanza del suo messaggio; perciò, anche durante la guerra,
tra le bombe e la morte, pubblicò il primo numero, "perché c'è molto bisogno di
informazioni come queste."
Grandi eventi nazionali continuavano a far notizia in tutto il mondo negli anni
quaranta.
Allahabad 1939, dopo la dipartita di Gour Mohan De.
Da sinistra a destra Abhay, il ritratto di Gour Mohan, Krishna Charan (per
terra), Prayag Ray, il figlio minore di Abhay e Sulakshman.
Nel 1947 l'India ottenne la tanto sospirata indipendenza dal dominio britannico.
Ma presto la felicità nazionale fu seguita dall'orrore, mentre centinaia di
migliaia di persone persero la vita negli scontri che accompagnarono la
divisione della nazione indiana tra India e Pakistan.
Come ricorderà in seguito Prabhupada: "Nel 1947 abbiamo visto lotte tra indù e
musulmani. Combattevano ferocemente e morirono moltissime persone. E quando
erano morti non si poteva più distinguere chi fosse indù e chi fosse musulmano,
gli spazzini ammucchiavano i corpi senza fare queste distinzioni, per gettarli
da qualche parte."
Abhay non aveva fiducia nelle promesse di pace e non vedeva nell'indipendenza
dell'India la vera soluzione. Finché i capi politici non fossero stati coscienti
di Dio, quale sarebbe stata la differenza?
Nella sua rivista, in un articolo intitolato "Conversazioni tra Gandhi e Jinnah",
scrisse: "I combattimenti continueranno sempre, tra indù e musulmani, tra
cristiani e cristiani, tra buddisti e buddisti, fino alla distruzione completa."
La sua intenzione era mostrare a tutti che finché perduravano gli interessi
egoistici e il desiderio di gratificazione dei sensi, le guerre e i
combattimenti avrebbero continuato a manifestarsi.
La vera unità sarebbe stata possibile solo sul piano della comprensione
spirituale e del servizio al Supremo.
Quando Abhay non riusciva a raccogliere abbastanza denaro per pubblicare numeri
regolari della sua rivista, continuava a scrivere. Il suo progetto più ambizioso
era un commento sulla Bhagavad-gita, ma predicava anche il messaggio di Sri
Caitanya per lettera.
Scrisse a molti capi del governo, a conoscenze di un certo rilievo e a persone
che avevano scritto articoli su giornali, o che avevano compiuto azioni
importanti, apparse sui giornali.
Presentandosi come il loro umile servitore, spiegava le sue idee sul metodo di
applicare la cultura originale dell'India, la coscienza di Krishna, la soluzione
vincente per ogni problema.
Talvolta le sue lettere ricevevano una risposta dagli ufficiali e dai segretari
del governo, ma nella maggior parte dei casi erano ignorate.
Era inevitabile che Abhay pensasse d'impegnare Mohandas Gandhi nel servizio
devozionale.
Per la sua vita di coraggio, di ascesi e di attività morali a nome dei suoi
connazionali, Gandhi aveva un grande potere di convinzione sulle masse indiane.
Inoltre, Abhay provava per lui un sentimento particolare, perché nella sua
giovinezza era stato uno dei suoi sostenitori.
Il 7 dicembre 1947 Abhay scrisse una lunga lettera a Gandhi, a Nuova Delhi.
Sapeva che Gandhi era in contrasto con molti dei suoi antichi seguaci, che ora
avevano preso posizioni di prestigio nel governo e stavano trascurando le sue
dottrine di unità tra indù e musulmani, e dell'importanza della politica
agraria.
Era criticato da indù e musulmani insieme. A settantotto anni era indebolito
fisicamente, e triste. Abhay sapeva che molto probabilmente la sua lettera non
avrebbe mai raggiunto Gandhi, ma la mandò ugualmente.
Definendosi un amico sconosciuto di Gandhi, scriveva: "Da amico sincero mi
permetto di consigliarvi di abbandonare immediatamente l'attività politica
affinché possiate sfuggire a una morte ingloriosa."
Pur riconoscendo ampiamente l'onore e il prestigio di Gandhi, disse che sarebbe
stata tutta un'illusione se Gandhi non si fosse ritirato dalla politica per
impegnarsi a studiare e a predicare la Bhagavad-gita.
Specialmente ora che Gandhi si avvicinava alla fine della propria vita lo
metteva in guardia, avrebbe dovuto lasciare la politica e avvicinarsi alla
Verità Assoluta.
Almeno per un mese, gli chiedeva Abhay, Gandhi avrebbe dovuto ritirarsi e
impegnarsi con lui a discutere la Bhagavad-gita.
La lettera di Abhay non ebbe mai risposta e un mese più tardi, i1 30 gennaio
1948, Gandhi incontrò la morte. Improvvisamente, la lettera che Abhay gli aveva
scritto un mese prima apparve una profezia.
Mentre Abhay s'impegnava sempre più nello scrivere e nel predicare, la sua
situazione negli affari e in famiglia precipitava.
Sentiva che c'era un particolare verso di Krishna nello Srimad Bhagavatam che si
applicava molto bene alla sua situazione: "Quando provo una particolare
misericordia verso qualcuno, gradualmente gli porto via tutti i suoi beni
materiali.
Allora i suoi amici e i suoi parenti lo abbandonano, perché lo considerano un
miserabile e un povero." Solo Krishna gli rimane.
Mentre l'attività di Abhay ad Allahabad colava a picco in un mare di debiti,
egli cercò di aprire una fabbrica a Lucknow.
A tutta prima gli affari sembravano buoni, ma a un certo punto cominciò ad
andare in perdita e dovette chiudere. Abhay continuava a mantenere la moglie e i
figli nell'appartamento di Calcutta, ma non stava quasi mai con loro.
Si trasferì di nuovo ad Allahabad, ma metteva sempre minore energia nella
vendita dei prodotti farmaceutici. Era molto più interessato a predicare.
Quando un cliente dell'ospedale della città di Jhansi invitò Abhay a tenere una
conferenza al Gita Mandir, egli accettò con piacere.
Il pubblico di Jhansi, per lo più studenti di medicina e professionisti, accolse
molto bene le sue parole. Il loro apprezzamento, tuttavia, era per lo più di
carattere sociale e culturale.
Erano abituati ad ascoltare conferenze e programmi culturali che organizzavano
con piacere, ma non avevano nessuna intenzione di aiutare Abhay a fondare un
centro permanente a Jhansi.
Abhay, però, vedeva lontano ed era ambizioso. Lasciò i suoi affari ad Allahabad
in mano ai figli e cercò di creare un movimento spirituale a Jhansi.
Abhay aveva 56 anni e pensò che era arrivato per lui il momento di mettere in
pratica seriamente gli ordini del suo maestro spirituale. Come disse a un
cittadino di Jhansi: "Signor Mitra, il mondo intero aspetta una rivoluzione
spirituale."
E poiché l'istituzione del suo maestro spirituale, la Gaudiya Math, aveva perso
la sua efficacia a causa delle opposte fazioni e delle lotte interne, cercò di
fondare un movimento di devoti che agisse a livello mondiale.
Aveva solo uno o due aiutanti attivi, ottenne di usare un tempio abbandonato e
cominciò a lavorare verso quella che lui vedeva come una specie di
organizzazione spirituale per le Nazioni Unite. Stese uno statuto e registrò
legalmente il suo movimento col nome di "Lega dei Devoti".
Mentre era assorto in questi impegni, un giorno Abhay ricevette un telegramma:
la sua fabbrica di Allahabad era stata scassinata. I suoi servitori avevano
rubato il denaro, le medicine e tutto ciò che aveva un certo valore.
Leggendo la notizia, rimase un attimo in Silenzio, ma poi scoppiò a ridere e
mormorò il verso del Bhagavatam: la misericordia di Krishna schiaccia i successi
materiali di un devoto sincero. Quando uno degli amici che Abhay aveva a Jhansi
gli consigliò di tornare ad Allahabad, egli rispose: "No, non devo andarci.
Dapprima questa notizia mi ha rattristato, ma ora posso capire che questo grande
attaccamento è arrivato alla fine, e ora tutta la mia vita e pienamente
sottomessa e dedicata a Sri Sri Radha-Krishna.".
Durante una visita alla sua famiglia a Calcutta, Abhay ruppe definitivamente con
le sue responsabilità familiari.
Aveva ancora una piccola impresa a Calcutta ed era andato là per raccogliere
fondi per la sua opera missionaria a Jhansi. Ma com'era inevitabile, si ritrovò
immerso nelle responsabilità materiali: alcuni dei suoi figli non erano ancora
sposati, e c'erano conti e affitti da pagare.
Ma anche se avesse dovuto espandere la sua attività farmaceutica di Calcutta, la
famiglia gli avrebbe tolto tutto ciò che guadagnava, e anche se avesse ceduto
alle richieste della famiglia e fosse tornato a vivere in casa, c'era sempre la
difficoltà più grande: essi non erano seri nei confronti del servizio
devozionale.
A cosa sarebbe servito tutto questo, si diceva, se non volevano diventare
devoti?
La moglie e i parenti non provavano alcun interesse nella sua predica a Jhansi e
volevano che impiegasse più tempo negli affari e nella vita di famiglia. Suo
suocero si lamentò: "Perché stai sempre a parlare di Dio?" Ma quando gli amici
venivano a fargli visita, Abhay continuava a predicare e a parlare della
Bhagavad-gita, proprio come aveva fatto a Jhansi. E come sempre, sua moglie e il
resto della famiglia si ritiravano in un'altra stanza a prendere il tè, e
Prabhupada ricorderà più tardi: "Desideravo moltissimo che lei collaborasse con
me nel diffondere la coscienza di Krishna; che mi aiutasse. Ma era molto
cocciuta. E alla fine, dopo trent'anni, ho capito, non mi sarebbe stata di alcun
aiuto."
Abhay aveva sempre detto a sua moglie di non bere tè: non era una pratica degna
di una famiglia di veri vaisnava. Alla fine disse: "Devi scegliere o me o il tè.
O se ne va il tè o me ne vado io." La moglie di Abhay rispose scherzando: "Beh,
allora dovrò lasciare mio marito."
Poi, un giorno fece un grave errore. Vendette lo Srimad Bhagavatam di suo marito
per comprarsi dei biscotti da tè. Quando tornò a casa e cercò il libro sacro,
Abhay seppe ciò che era accaduto. Rimase profondamente colpito, e l'accaduto lo
spinse a lasciare la famiglia per sempre. Con un senso di profonda
determinazione lasciò la famiglia e gli altri affari.
Gli anni cinquanta furono anni molto difficili per Abhay. Tornò a Jhansi, ma
dovette lasciare il suo tempio, perché la moglie del governatore insisteva che
doveva essere usato per un club di signore invece che per la Lega dei Devoti.
Senza un posto dove andare e senza alcun vero sostegno, lasciò Jhansi, ma non i
suoi piani per un'associazione mondiale di devoti.
Dopo essersi trasferito in un asrama di Delhi ed essere rimasto per qualche
tempo insieme ad alcuni suoi confratelli si ritrovò di nuovo solo, come un
mendicante, passando ogni settimana da un tempio all'altro, o in casa di
qualunque persona pia e ricca potesse ospitarlo.
Per il cibo, gli abiti e il rifugio, questi erano i tempi più difficili che
avesse mai conosciuto.
Fin dall'infanzia aveva sempre avuto del buon cibo e degli abiti adatti, e non
aveva mai avuto problemi di dove andare a vivere. Era stato il figlio prediletto
di suo padre, e aveva ricevuto un affetto speciale e una guida personale da
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati. Ma negli anni cinquanta Abhay era solo.
Passava il tempo scrivendo e cercando sostenitori, ai quali predicava la
Bhagavad-gita. Il suo desiderio non era quello di procurarsi una residenza
permanente, ma di stampare i suoi libri trascendentali e stabilire un grande
movimento per diffondere la coscienza di Krishna. E per fare questo aveva
bisogno di fondi.
Perciò andava a trovare uomini facoltosi in ufficio o a casa, presentava i suoi
manoscritti e spiegava la sua missione. Ma pochi lo aiutarono. E quando si
mostravano benevolenti, la donazione era solitamente di cinque o dieci rupie.
Alla fine, tuttavia, riuscì a raccogliere il necessario per riprendere la
pubblicazione del suo Back to Godhead.
Abhay non aveva nemmeno denaro a sufficienza per comprarsi abiti adatti, e passò
il freddo inverno di Delhi senza nemmeno una giacca.
Andava regolarmente dal tipografo per correggere le bozze dell'ultimo numero
della rivista. Quando il tipografo gli chiese che cosa lo spingesse a lottare
per pubblicare il suo giornale nonostante tante difficoltà, lui rispose: "E' la
mia missione."
Riusciva a pagare il tipografo un po' alla volta, con piccole somme.
Dopo aver ritirato le copie dal tipografo, Abhay andava in giro per la città a
venderle. Si sedeva nelle sale da tè, e quando qualcuno si sedeva accanto a lui
gli chiedeva per favore di prendere una copia della sua rivista, Back to Godhead.
Nei suoi articoli Abhay criticava le tendenze materialistiche e atee della
civiltà moderna. Citava anche alcune sue esperienze personali. In risposta alle
resistenze educate e no che incontrava nella distribuzione della sua rivista,
scrisse un articolo: "Mancanza di tempo, la malattia cronica dell'uomo comune."
La sua prosa non era mai pungente, stridente o fanatica, nonostante la sua
disperata povertà e l'urgenza del suo messaggio. I suoi articoli si rivolgevano
a lettori che sperava pronti ad ascoltare una filosofia pratica e desiderosi di
accettare la verità, specialmente se presentata in modo logico, coerente e
autorevole.
Oltre a vendere la rivista Back to Godhead nelle sale da tè e a portarne copie
ai sostenitori, Abhay spediva anche copie gratuite sia in India che all'estero.
Per anni, il vasto pubblico dei lettori di lingua inglese che si trovava fuori
dell'India era stato una sua preoccupazione, e voleva raggiungerlo. Aveva
riunito diversi indirizzi di biblioteche, università e uffici governativi
all'estero, e spediva tutte le copie che le sue finanze gli permettevano.
Preparò una lettera per i lettori occidentali, nella quale diceva che avrebbero
dovuto essere anche più ricettivi dei suoi connazionali.
Sul fronte interno Abhay spedì copie del Back to Godhead al presidente
dell'India, il dott. Rajendra Prasad, insieme a una lettera che lo metteva in
guardia contro il destino oscuro che attende una società governata da atei "La
prego dunque di salvare tutti da questo grande disastro."
Chiese a Sua Eccellenza di sfogliare almeno la rivista allegata, Back to Godhead,
e di leggerne i titoli, e considerare la possibilità di concedere un colloquio
all'editore.
"Attualmente sono qui a piangere da solo nel deserto", scriveva Abhay. Sua
Eccellenza non rispose mai.
Anche nell'afa dell'estate di Nuova Delhi, quando la temperatura salì a 45 gradi
Abhay continuò a uscire ogni giorno per distribuire il suo quindicinale.
Una volta ebbe un colpo di calore e svenne per la strada, finché un amico lo
raccolse nella sua auto e lo portò da un dottore. Un'altra volta fu incornato da
una mucca e per qualche tempo rimase a giacere ai margini della strada, senza
che nessuno lo soccorresse.
In momenti simili si chiedeva perché avesse lasciato la casa e gli affari, e
come mai, nonostante il suo abbandono a Krishna, le cose stavano diventando così
difficili. Ma diversi anni più tardi, quando la sua missione per la coscienza di
Krishna vide il successo in molte nazioni, con molti discepoli, diceva: "Allora
non potevo capire. Ma ora vedo che tutte quelle difficoltà erano in realtà
benedizioni.
Era tutta misericordia di Krishna."
Mentre continuava nei suoi sforzi di stampare e vendere Back to Godhead a Delhi,
Abhay decise di stabilirsi a Vrindavana, a quasi cento chilometri a sud di Nuova
Delhi.
I Gaudiya vaisnava vedono Vrindavana come il luogo più sacro dell'universo,
perché Sri Krishna manifestò qui i Suoi divertimenti d'infanzia quando discese
sulla Terra cinquemila anni fa.
I principali discepoli di Sri Caitanya erano andati a Vrindavana cinquecento
anni prima, avevano scritto libri, aperto templi e riscoperto i luoghi dei
divertimenti di Krishna nelle foreste, nei pascoli e lungo i fiumi.
Abhay desiderava scrivere i suoi saggi nell'atmosfera tranquilla e spirituale di
Vrindavana, e ogni tanto andare a Delhi per distribuire le sue pubblicazioni e
raccogliere donazioni da sostenitori facoltosi.
Trovò una stanza molto semplice ed economica al tempio di Vamsi-gopalaji, sulle
rive del fiume Yamuna, e lì entrò nell'atmosfera speciale della vita di
Vrindavana. Abhay non vedeva Vrindavana con gli occhi di una persona comune.
Nella sua posizione di puro devoto di Krishna, sentiva una grande felicità per
il semplice fatto di camminare lungo uno sporco viale o nel vedere le forme
delle Divinità di Krishna, che apparivano in ogni strada, in migliaia di templi
e di case.
17 settembre 1959, il giorno in cui Abhay accettò il sannyasa.
Da sinistra a destra: Muni Maharaja, Bhaktiprajnana Kesava Maharaja e A.C.
Bhaktivedanta Swami.
Dalla sua stanzetta che dava sul tetto vedeva la Yamuna scorrere davanti a lui e
allargarsi in una larga distesa d'acqua che scintillava nel sole del pomeriggio.
La sera godeva delle rinfrescanti brezze che salivano dalla Yamuna e sentiva i
devoti che cantavano le loro preghiere della sera a Kesi-ghata. Per tutta la
città si sentivano risuonare le campane dei templi e talvolta lasciava il suo
lavoro per scendere nelle zone più affollate in mezzo agli abitanti e ai
pellegrini di passaggio.
Sentiva il canto di "Hare Krishna" ovunque, e molti passanti lo salutavano con
il tradizionale "Jaya Radhe!" e "Hare Krishna". E come Vrindavana era la dimora
di Krishna, così Abhay era il servitore di Krishna.
A Vrindavana si sentiva a casa. Naturalmente continuava a pensare alla predica e
desiderava intensamente che altri conoscessero la pace e l'estasi intima di
Vrindavana. Krishna, Dio, la Persona Suprema, invitava tutte le anime a
raggiungerLo nella Sua dimora eterna; ma anche in India erano pochi quelli che
capivano. E fuori dell'India, la gente non sapeva nulla di Vrindavana o della
Yamuna, o di cosa significasse essere liberi dai desideri materiali. Abhay
pensava: "Perché tutta la gente del mondo non dovrebbe avere l'opportunità di
avere tutto questo?"
Questa era la dimora stessa della pace, eppure nessuno la conosceva, e nessuno
era interessato. Ma questo era in fondo ciò che ognuno stava cercando.
Spinto dal desiderio di diffondere le glorie dell'eterna Vrindavana, Abhay
lavorava quasi costantemente a Vrindavana per produrre i diversi numeri del Back
to Godhead. Ma continuare Si stava rivelando molto difficile.
Prendeva il treno del mattino per Delhi, e siccome là non aveva nessun posto
dove dormire, tornava a Vrindavana per la notte. Non aveva quindi molto tempo da
passare a Delhi, e inoltre era una grossa spesa.
Talvolta qualche pio gentiluomo gli offriva un posto per la notte, ma anche
riducendo al minimo le spese personali, Abhay aveva molte difficoltà a
raccogliere donazioni sufficienti per i viaggi, la stampa e le spese di
spedizione.
Dopo aver pubblicato dodici numeri consecutivi del quindicinale Back to Godhead,
Abhay rimase senza denaro.
I1 tipografo disse che non poteva continuare a stampare solo per amicizia.
Ritornato a Vrindavana, Abhay continuò a scrivere, ma senza più sperare di poter
pubblicare la sua rivista.
Un giorno, in un sentimento di rinuncia e di solitudine, Abhay compose Una
poesia in bengali, intitolata "Vrindavana-bhajana". Specialmente i primi versi
erano molto meditati e personali:
Seduto solo a Vrindavana-dhama.
In questo sentimento capisco molte cose.
Ho moglie, figli, figlie, nipoti, tutto,
ma non ho denaro, perciò essi sono una gloria senza frutto.
Krishna mi ha mostrato la nuda forma della natura materiale;
per la Sua forza oggi tutto questo ha perso sapore per me.
Yasyaham anugrihnami harisye tad-dhanam sanaih:
"Gradualmente porto via tutte le ricchezze di coloro che hanno la Mia
misericordia."
Come ho potuto capire questa misericordia dell'infinitamente misericordioso?
Tutti mi hanno abbandonato, vedendomi sul lastrico
moglie, parenti, amici, fratelli, tutti.
Questa è miseria, ma mi fa ridere. Seduto qui solo rido.
In questo maya-samsara, chi amo veramente?
Dove sono andati padre e madre che tanto mi amavano?
Dove sono tutti i miei vecchi, che erano la mia famiglia?
Chi mi darà notizie di loro, ditemi chi?
Tutto ciò che resta è una lista di nomi.
Una notte Abhay fece un sogno che lo colpì profondamente.
Era lo stesso sogno che aveva già fatto altre volte, nei giorni in cui era un
uomo di famiglia.
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati gli apparve, proprio come l'aveva conosciuto
Abhay; era l'alto, erudito sannyasi che veniva direttamente dal mondo
spirituale, dalla compagnia personale di Krishna.
Chiamò Abhay e gli disse di seguirlo. Continuava a chiamarlo, e a fargli cenno
di seguirlo. Stava chiedendo a Abhay di accettare il sannyasa.
Vieni, lo sollecitava, diventa un sannyasi. Abhay si svegliò in preda allo
stupore. Pensò che questa istruzione era soltanto un altro aspetto
dell'istruzione originale che Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati gli aveva datola
prima volta che l'aveva incontrato a Calcutta, la stessa istruzione che il suo
maestro spirituale aveva poi consolidato in una lettera: vai a predicare in
inglese e diffondi la coscienza di Krishna in tutto l'Occidente.
Il sannyasa era destinato a questo scopo; altrimenti perché il suo maestro
spirituale gli avrebbe chiesto di diventare un sannyasi?
Nel sistema tradizionale della società vedica, l'uomo deve lasciare la famiglia
all'età di cinquant'anni ed accettare l'ordine di rinuncia, diventare un
sannyasi, per dedicare il tempo che gli resta da vivere a cantare, ad ascoltare
e a predicare le glorie del Signore.
Abhay capì che il suo maestro gli stava dicendo: "Accetta il sannyasa e
riuscirai nella tua missione. Ora è arrivato il momento."
Abhay riflettè attentamente.
Accettando il sannyasa, un vaisnava fa voto di dedicarsi completamente, corpo,
mente e parole, al servizio di Dio, la Persona Suprema, rinunciando a ogni altro
impegno. Abhay stava già facendo tutto questo, ma sentiva che accettando
l'ordine di sannyasa poteva consolidare la sua posizione e prendere ancora più
slancio per la grande missione che gli stava davanti.
La tradizione vedica e l'esempio degli acarya precedenti insegnavano che se una
persona voleva sviluppare un movimento di predica doveva accettare l'ordine di
sannyasa.
Dapprima Abhay ebbe qualche attimo di riluttanza, ma poi considerò la cosa. Si
rivolse a un confratello, Kesava Maharaja, a Mathura, e lui disse ripetutamente
ad Abhay che doveva accettare immediatamente l'ordine di sannyasa.
Negli anni che seguirono Prabhupada ricorderà: "Me ne stavo a Vrindavana solo, a
scrivere. Il mio confratello insisteva, 'Bhaktivedanta Prabhu, devi farlo. Senza
accettare l'ordine di rinuncia, nessuno può diventare un predicatore.'
Era in realtà il mio maestro spirituale che insisteva attraverso le parole del
mio confratello. Così, anche se non provavo grande desiderio, ho accettato."
Dopo una cerimonia formale d'iniziazione al sannyasa, il nome di Abhay diventò
Abhay Caranaravinda Bhaktivedanta Swami.
Ma i suoi problemi di base restavano gli stessi. Voleva predicare la coscienza
di Krishna, ma pochi erano disposti ad ascoltare. Queste cose non sarebbero
cambiate per il semplice fatto che era diventato un sannyasi.
Un cambiamento, comunque, avvenne: Bhaktivedanta Swami decise di scrivere libri.
Un libraio gli consigliò di scrivere libri (quelli sarebbero rimasti per sempre,
diceva, mentre il destino dei giornali è quello di essere letti una volta e poi
gettati), e Bhaktivedanta Swami sentì che il suo maestro spirituale gli stava
parlando attraverso quella persona.
Poi un ufficiale dell'esercito indiano, che apprezzava la rivista Back to
Godhead, gli disse la stessa cosa. In entrambi i casi Bhaktivedanta Swami
accettò il consiglio come una rivelazione da parte del suo maestro spirituale.
Bhaktivedanta Swami pensò allo Srimad Bhagavatam, che è la principale e più
autorevole Scrittura vaisnava. La Bhagavad-gita era sì l'essenza ultima di tutta
la conoscenza vedica, presentata in modo conciso in un manuale per principianti,
ma lo Srimad Bhagavatam era elaborato.
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati e Bhaktivinoda Thakura avevano entrambi scritto
commenti in lingua bengali sul Bhagavatam. In effetti, la maggior parte dei
grandi acarya del passato avevano lasciato commentari sullo Srimad Bhagavatam,
"il Purana immacolato".
Una traduzione in inglese, di questo libro, completa di commento, avrebbe potuto
un giorno cambiare il cuore del mondo intero. E se Bhaktivedanta Swami avesse
potuto pubblicare anche solo pochi libri, la sua predica se ne sarebbe
avvantaggiata ed egli avrebbe potuto andare all'estero con maggior sicurezza.
Non sarebbe andato a mani vuote.
Bhaktivedanta Swami tornò a Delhi con un nuovo scopo.
Il centro della carta e della stampa di tutta l'India era in Chandni Chowk,
nella città vecchia, e Bhaktivedanta Swami pensò bene di trovarsi un recapito
permanente lì vicino per avere una base nelle sue trattative per la stampa dei
libri.
Attraverso un vecchio contratto di stampa incontrò il proprietario di un tempio
che gli diede una stanza gratis nel suo tempio di Radha-Krishna, vicino a
Chandni Chowk.
La zona si chiamava Chippiwada, un quartiere affollato, dove abitavano indù e
musulmani insieme. Ora Bhaktivedanta Swami poteva lavorare a Vrindavana o a
Delhi, come preferiva.
Con rinnovato entusiasmo raccolse qualche donazione e ricominciò a pubblicare la
rivista Back to Godhead e contemporaneamente cominciava il suo lavoro di
traduzione e commento dello Srimad Bhagavatam.
Rifletté sulla mole del progetto che si stava apprestando a cominciare.
Il Bhagavatam conteneva diciottomila versi, in dodici Canti, e calcolò che
l'opera finita avrebbe raggiunto i sessanta volumi.
Pensò che avrebbe potuto farcela in cinque, sei o sette anni: "Se il Signore mi
mantiene in salute", scriveva, "potrò realizzare il desiderio di Srila
Bhaktisiddhanta Sarasvati e completare l'opera."
Il fatto che Bhaktivedanta Swami avesse accettato il sannyasa, l'idea di
scrivere e pubblicare lo Srimad Bhagavatam e il suo desiderio di andare a
predicare in Occidente erano strettamente collegati.
Per predicare avrebbe dovuto avere libri, specialmente se doveva andare in
Occidente. Là c'erano milioni di libri, ma nessuno era come questo, niente che
potesse colmare il vuoto spirituale nella vita della gente.
Non si sarebbe limitato a scrivere, anzi, avrebbe portato personalmente i libri
in Occidente per presentarli e per insegnare alla gente, attraverso i libri e di
persona, come si sviluppa il puro amore per Dio.
Sebbene fosse conosciuto come un predicatore di lingua inglese, Bhaktivedanta
Swami sapeva che la sua presentazione in lingua straniera non sarebbe stata
esente da difetti, e non aveva nessuno che potesse aiutarlo a correggere la
presentazione. Ma questi difetti tecnici non gli avrebbero impedito di stampare
lo Srimad Bhagavatam. Si trattava di una situazione di emergenza.
"Quando la casa va a fuoco", scriveva, "i suoi abitanti corrono fuori a chiedere
aiuto ai vicini, che forse potranno essere stranieri, ma anche senza sapersi
esprimere in un linguaggio adeguato le vittime dell'incendio riusciranno a
spiegarsi, e i vicini capiranno l'urgenza anche se non sarà stata espressa con
un linguaggio stilisticamente corretto. Questo stesso spirito di collaborazione
è necessario per diffondere il messaggio trascendentale dello Srimad Bhagavatam
nell'atmosfera contaminata del giorno d'oggi."
Bhaktivedanta Swami stava presentando lo Srimad Bhagavatam senza cambiare nulla,
con il più grande rispetto per Srila Vyasadeva, l'autore. E questa era la più
grande virtù di Bhaktivedanta Swami. Certamente, stava arricchendo i suoi
commenti di esperienze personali, ma non con l'idea di superare i maestri
spirituali che l'avevano preceduto.
Considerata l'importanza assoluta di presentare il soggetto seguendo da vicino
la catena parampara, Bhaktivedanta Swami non si preoccupava di "difetti e
imperfezioni tecniche". Sapeva che senza rimanere fedeli alla successione di
maestri spirituali i commenti sul Bhagavatam non avrebbero avuto alcun valore.
Nella sua stanza al tempio di Chippiwada stava giorno e notte alla macchina da
scrivere, sotto la lampadina che pendeva dal soffitto. Su una sottile stuoia
sedeva alla macchina da scrivere posata su un baule.
Le pagine si accumulavano, ed egli le teneva a posto con delle pietre. Il cibo e
il riposo erano in secondo piano. Era perfettamente convinto che lo Srimad
Bhagavatam avrebbe rivoluzionato questa civiltà mal guidata.
Così traduceva ogni parola e scriveva il commento a ogni verso con la massima
cura e concentrazione ma doveva fare il più presto possibile.
Bhaktivedanta Swami aveva trasferito la sua base di Vrindavana al tempio di
Radha-Damodara. Senza nemmeno uscire dalla sua stanza adesso poteva guardare
fuori e vedere l'altare e la forma alta circa un metro di Vrindavanacandra, la
Divinità di Krishna fatta di marmo nero che centinaia di anni prima era stata
adorata da Krishna dasa Kaviraja.
Era meglio della stanza che aveva al tempio di Vamsigopalaji, perché ora viveva
nel tempio di Jiva Gosvami, dove grandi anime come Rupa, Sanatana, Raghunatha e
Jiva Gosvami si erano riuniti per prendere il prasada , cantare e parlare di Sri
Krishna e di Sri Caitanya. Questo era il luogo migliore per lavorare sullo
Srimad Bhagavatam.
Al tempio di Radha-Damodara, Bhaktivedanta Swami si preparava i pasti da solo.
Mentre sedeva per il prasada, vedeva attraverso le finestre traforate il samadhi
di Rupa Gosvami. Sentendo intensamente la presenza di Rupa Gosvami, pensava alla
propria missione per il suo maestro spirituale.
Il maestro spirituale di Bhaktivedanta Swami e i maestri spirituali che
l'avevano preceduto nella successione dei maestri avevano desiderato che la
coscienza di Krishna si espandesse in tutto il mondo, e attingendo ogni giorno
nuova ispirazione, seduto davanti al samadhi di Rupa Gosvami, pregava di essere
guidato dai suoi predecessori.
L'istruzione intima che riceveva da loro era un sentimento di urgenza, un ordine
assoluto, che nessun governo, nessun editore, ne qualcun altro avrebbe potuto
scuotere o affievolire. Rupa Gosvami voleva che andasse in Occidente, Srila
Bhaktisiddhanta Sarasvati voleva che lui andasse in Occidente, e Krishna l'aveva
portato qui al tempio di Radha-Damodara per ricevere le Loro benedizioni.
Al tempio di Radha-Damodara sentiva di essere entrato in una dimora eterna
conosciuta solo ai puri devoti del Signore. E anche se gli avevano permesso di
rimanere in Loro compagnia, nel luogo dei Loro divertimenti intimi, sentiva che
Loro volevano che partisse, lasciando Radha-Damodara e Vrindavana, per andare a
trasmettere il messaggio degli acarya a persone immerse nell'oblio in remote
parti del mondo.
Scrivere era solo metà della battaglia, l'altra metà era pubblicare. Nessun
editore era interessato alla collana di sessanta volumi del Bhagavatam, e
Bhaktivedanta Swami non era disposto a far di meno. Perciò, per pubblicare i
suoi libri, avrebbe dovuto raccogliere donazioni e pubblicare a proprie spese.
Un conoscente consigliò a Bhaktivedanta Swami di andare a Gorakhpur per mostrare
il suo manoscritto ad Hanuman Prasad Poddar, il famoso editore di libri
religiosi. Bhaktivedanta Swami partì per questo viaggio di 800 chilometri e
ottenne una donazione di quattromila rupie da usare per la pubblicazione del suo
primo volume dello Srimad Bhagavatam. Bhaktivedanta Swami leggeva e correggeva
le bozze di stampa da solo, e mentre il primo volume era già in stampa, stava
ancora scrivendo gli ultimi capitoli.
Quando le bozze erano pronte alla O.K. Press, le andava a prendere, tornava
nella sua stanza a Chippiwada per correggerle e poi le riportava indietro.
Nel 1962 ogni giorno faceva avanti e indietro tra la sua stanza e la tipografia.
Il quartiere era insieme zona commerciale e area residenziale con bambini che
giocavano nella strada nonostante il pericolo.
Bhaktivedanta Swami, una figura gentile ma determinata, camminava in questo
scenario. Mentre passava davanti alle case e ai negozi di terrecotte, di cereali
e di dolci, e alle tipografie, vedeva sopra di se i fili della luce, i piccioni
e i fili di panni stesi sui balconi. Alla fine arrivava alla O.K. Press, che
stava proprio di fronte a una piccola moschea.
Era venuto a riportare le bozze corrette e a controllare ansiosamente la stampa.
Quando la stampa era terminata, Bhaktivedanta Swami usciva a vendere i suoi
libri, proprio come aveva fatto con la sua rivista Back to Godhead Ben presto
ottenne recensioni favorevoli della sua opera da Hanuman Prasad Poddar e dal
famoso filosofo indù dott. Radhakrishnan.
Il prestigioso bollettino librario Adyar Library Bulletin gli dedicò un lungo
articolo, notando "il vasto e profondo studio che l'autore aveva eseguito sul
soggetto." Anche gli studiosi suoi confratelli misero per iscritto i loro
apprezzamenti.
Riuscì perfino a ottenere un ordine per diciotto copie al Consolato americano,
da distribuire in America attraverso la Biblioteca nazionale. Ebbe diverse
ordinazioni da alcuni istituti, ma poi le vendite rallentarono.
Essendo l'unico agente di vendita, Bhaktivedanta Swami passava ore e ore ogni
giorno per vendere qualche copia. Inoltre, portava su di se l'intera
responsabilità di raccogliere fondi per il volume successivo.
Nel frattempo continuava a tradurre e a scrivere i suoi commenti. Ma in tali
circostanze, con le vendite così lente, non sarebbe riuscito a completare
l'opera nel tempo che gli rimaneva da vivere.
Bhaktivedanta Swami mandò copie a capi politici e ricevette recensioni
favorevoli da Sri Biswanath Das, governatore dell'Uttar Pradesh, e dal dott.
Zakir Hussain, vice presidente dell'India Ebbe anche un colloquio personale con
il dott. Hussain, e qualche mese più tardi ebbe l'occasione d'incontrare il
primo ministro, Lal Bahadur Shastri.
Fu un incontro ufficiale nel giardino del Palazzo del Parlamento, dove il primo
ministro, circondato dai suoi aiutanti, ricevette l'anziano sadhu. Bhaktivedanta
Swami, con gli occhiali che gli davano un'aria da grande studioso, si fece
avanti per presentare se stesso e il suo libro, lo Srimad Bhagavatam.
Mentre ne porgeva una copia al primo ministro, un fotografo scattò un'istantanea
dell'autore e del primo ministro che sorridevano sopra il libro.
Il giorno seguente Bhaktivedanta Swami scrisse al Primo Ministro Shastri. Presto
ricevette una risposta, firmata personalmente dal primo ministro:
Caro Swamiji, la ringrazio molto per la sua lettera Le sono veramente grato per
il suo dono di una copia dello "Srimad Bhagavatam". Capisco che lei sta
svolgendo un lavoro molto prezioso. Sarebbe una buona idea se le biblioteche
nazionali acquistassero copie di questo libro.
Il primo tentativo di Abhay di soddisfare l'ordine del suo maestro spirituale di
predicare in inglese fu la rivista Bhack to Godhead.
Usando le recensioni favorevoli per farsi pubblicità, Bhaktivedanta Swami andò a
trovare possibili sostenitori per cercare di raccogliere i fondi necessari per i
volumi successivi Alla fine, con i suoi manoscritti in mano e il denaro per
stamparli, entrò di nuovo nel mondo della stampa comprare la carta, correggere
le bozze e spingere il tipografo a mantenere le scadenze in modo che ogni libro
fosse terminato in tempo.
Così, con le sue insistenze, anche se non aveva praticamente denaro personale,
riuscì a pubblicare il suo terzo volume rilegato in poco più di due anni di
questo passo, e con l'aumento del rispetto che riscuoteva presso il mondo della
cultura, Bhaktivedanta Swami avrebbe potuto diventare ben presto una figura di
primo piano nel suo paese.
Ma la sua mente era fissa sull'Occidente. E con il terzo volume stampato sentiva
di essere finalmente pronto. Aveva sessantanove anni, e avrebbe dovuto partire
presto.
Erano passati più di quarant'anni da quando Srila Bhaktisiddhanta aveva chiesto
a un giovane padre di famiglia di Calcutta di andare a predicare la coscienza di
Krishna in Occidente.
Dapprima il giovane Abhay Charan aveva pensato che fosse un'idea irrealizzabile.
Ma ora l'ostacolo delle responsabilità familiari era stato rimosso ed era libero
di partire per l'Occidente, anche se non aveva un soldo.
La maggior parte degli ostacoli erano stati rimossi, e gli ultimi seri limiti
erano rappresentati dal costo del viaggio e dai permessi del governo.
Poi nel 1965, in un modo abbastanza improvviso, gli ultimi ostacoli scomparvero,
l'uno dopo l'altro. A Vrindavana Bhaktivedanta Swami incontrò il signor Agarwal
un uomo d'affari che viveva a Mathura, e discorrendo con lui gli disse, come del
resto raccontava a quasi tutti quelli che incontrava, che voleva andare in
Occidente.
Il signor Agarwal conosceva Bhaktivedanta Swami soltanto da pochi minuti, eppure
si offrì di trovargli un appoggio in America chiedendo a suo figlio Gopal un
ingegnere che abitava in Pennsylvania di mandare un modulo di garanzia.
A questa offerta del signor Agarwal Bhaktivedanta Swami lo pregò di provvedere
al più presto.
Bhaktivedanta Swami tornò a Delhi, per percorrere come al solito la sua strada
di vendita di libri, cercando di approfittare di ogni opportunità che potesse
presentarsi.
Un giorno, con sua grande sorpresa, ricevette una comunicazione dal Ministero
degli Affari Esteri: il suo certificato di nullaosta per il viaggio negli Stati
Uniti era pronto. Poiché non aveva presentato nessuna richiesta per lasciare il
Paese, andò a informarsi al Ministero di quello che era accaduto.
Gli mostrarono il modulo di garanzia, firmato dal signor Gopal Agarwal di Butler,
Pennsylvania; il signor Agarwal dichiarava solennemente che avrebbe provveduto
al mantenimento di Bhaktivedanta Swami durante il suo soggiorno negli Stati
Uniti. Ora Bhaktivedanta Swami aveva un appoggio.
Ma doveva procurarsi anche il passaporto, il visto, il modulo P e il denaro per
il viaggio.
Ottenere il passaporto fu facile. Ora, con il passaporto e le carte del modulo
di garanzia, Bhaktivedanta Swami andò a Bombay, non per vendere libri o
raccogliere fondi per la sua stampa, ma allo scopo di cercare assistenza per il
viaggio in America.
Andò da Sumati Morarji, titolare della Compagnia di Navigazione Scindia, che
l'aveva aiutato con una grande donazione a stampare il secondo volume dello
Srimad Bhagavatam.
Mostrò le carte del modulo di garanzia al suo segretario, il signor Choksi, che
ne rimase colpito e andò per lui dalla signora Morarji.
"E. tornato lo Swami di Vrindavana", le disse "Ha pubblicato i suoi libri con le
vostre donazioni. Ha un appoggio e vuote partire per l'America. Vuole che lei
gli dia un passaggio su una nave della Scindia."
La signora Morarji disse di no: lo Swami era troppo vecchio per andare negli
Stati Uniti e aspettarsi di concludere qualcosa. Il signor Choksi riferì le
parole della signora Morarji, ma Bhaktivedanta Swami lo ascoltò con aria di
disapprovazione.
Voleva che lui rimanesse in India per completare lo Srimad Bhagavatam. Perché
andare negli Stati Uniti? Aveva obiettato. Meglio finire qui quello che stava
facendo. Ma Bhaktivedanta Swami aveva deciso di andare.
Disse al signor Choksi di convincere la signora Morali e gli suggerì perfino che
cosa dire: "Vedo che questo signore è molto deciso a partire per gli Stati Uniti
e a predicare il messaggio di Sri Krishna a coloro che vivono là..." Ma quando
il signor Choksi tornò dalla signora Morarji, di nuovo la signora gli disse di
no; lo Swami non godeva di buona salute. Inoltre, in America la gente non era
molto disposta a collaborare e molto probabilmente non l'avrebbe nemmeno
ascoltato.
Esasperato dall'inefficienza del signor Choksi, Bhaktivedanta Swami chiese di
parlare personalmente con la signora Morarji. Ottenne un colloquio, e
Bhaktivedanta Swami, con i capelli grigi ma determinato, presentò la sua
richiesta enfatica: "Per favore mi dia un biglietto."
La signora Morali era preoccupata: "Swamiji, lei è così anziano, e vuole
prendersi questa responsabilità. Pensa che sia giusto?" "No", la rassicurò,
sollevando la mano come per rassicurare una figlia dubbiosa, "non c'è problema."
"Ma sa quello che pensano i miei segretari? Dicono, 'Swamiji andrà là a morire."
Bhaktivedanta Swami fece una smorfia, come per smentire una sciocca diceria.
Insistette di nuovo per avere un biglietto. "Va bene", rispose la signora. "Si
procuri il modulo P' e provvederò al viaggio via mare."
Bhaktivedanta Swami ebbe un sorriso radioso e uscì felice dagli uffici, passando
accanto agli impiegati stupefatti e scettici. Seguendo le istruzioni della
signora Morarji, il segretario provvide a risolvere gli ultimi problemi.
Poiché Bhaktivedanta Swami non aveva abiti caldi, il signor Choksi lo portò a
comprarsi una giacca di lana e altri abiti pesanti. Su richiesta di
Bhaktivedanta Swami, il signor Choksi stampò cinquecento copie di un volantino
che conteneva gli otto versi scritti da Sri Caitanya e una pubblicità dello
Srimad Bhagavatam.
La signora Morali gli prenotò un posto su una delle sue navi, il Jaladuta, che
sarebbe partita da Calcutta il 13 agosto. Si assicurò che viaggiasse su una nave
il cui capitano avrebbe capito le necessità di un vegetariano e di un brahmana,
e disse al capitano del Jaladuta, Arun Pandia, di portare frutta e verdura in
più per lo Swami.
Bhaktivedanta Swami trascorse gli ultimi due giorni del suo soggiorno a Bombay
in compagnia del signor Choksi, andando a ritirare i volantini in tipografia,
comprando abiti, e alla fine si fece portare da lui in macchina fino alla
stazione per prendere il treno per Calcutta.
A.C. Bhaktivedanta Swami completò i tre volumi del Primo Canto dello Srimad
Bhagavatam agli inizi del 1965.
Qualche giorno prima della partenza del Jaladuta, Bhaktivedanta Swami arrivò a
Calcutta. Era vissuto molto tempo in quella città, ma ora non aveva un posto
dove andare. Come aveva scritto nel suo "Vrindavana-bhajana". "Ho moglie, figli,
nipoti, tutto, ma non ho denaro, perciò essi sono una gloria senza frutto."
Sebbene in questa stessa città fosse stato allevato con grande cura e affetto
quand'era bambino, quei tempi erano lontani e non potevano più tornare.
Rimase ospite di un lontano conoscente, e il giorno prima della partenza si recò
nella vicina Mayapur a visitare il samadhi, la tomba di Srila Bhaktisiddhanta.
Poi tornò a Calcutta. Era pronto.
Aveva soltanto una valigia, un ombrello e una scorta di cereali secchi. Non
sapeva che cosa avrebbe trovato da mangiare in America; forse ci sarebbe stato
solo carne da mangiare. In questo caso era pronto a vivere di patate lesse, con
i cereali che si era portato.
La maggior parte del suo bagaglio, diversi bauli pieni dei suoi libri, era stato
spedito separatamente con una nave mercantile della Scindia.
Duecento copie della collana di tre volumi, il solo pensiero dei libri lo
riempiva di fiducia.
Quando arrivò il giorno della partenza, trovò che aveva bisogno di questa
fiducia. Stava per rompere drammaticamente con la sua vita passata, ed era
vecchio.
Stava andando in un paese sconosciuto, dove molto probabilmente non l'avrebbero
ricevuto molto bene.
Essere povero e sconosciuto in India era una cosa. Anche in questo periodo di
kali-yuga, quando i capi dell'India si allontanavano dalla cultura indiana per
imitare l'Occidente, era sempre l'India; era ancora ciò che rimaneva della
cultura vedica.
Aveva potuto incontrare miliardari, governatori e il primo ministro
semplicemente presentandosi alla loro porta e aspettando. Un sannyasi era
rispettato. Lo Srimad Bhagavatam era rispettato. Ma in America sarebbe stato
diverso.
Sarebbe stato uno straniero, una nullità E là non c'era tradizione di sadhu, ne
templi ne asrama gratuiti. Ma quando pensava ai libri che portava con se, la
conoscenza trascendentale in inglese, gli tornava la fiducia.
Quando avesse incontrato qualcuno in America, gli avrebbe dato il volantino: "'Srimad
Bhagavatam' dall'India il messaggio di pace e di buona volontà."
Era il 13 agosto e mancavano solo pochi giorni a Janmastami, il giorno
dell'anniversario dell'apparizione di Sri Krishna. In questi ultimi anni era
sempre stato a Vrindavana per Janmastami.
Molti abitanti di Vrindavana non si sarebbero mai allontanati di lì; erano
vecchi e a Vrindavana avevano trovato la pace.
Anche Bhaktivedanta Swami era preoccupato dal fatto di poter morire lontano da
Vrindavana. Proprio per questo tutti i sadhu vaisnava e le vedove avevano fatto
voto di non andarsene mai, nemmeno per andare a Mathura, perché morire a
Vrndàvana era la perfezione della vita. E la tradizione indù voleva che un
sannyasi non attraversasse l'oceano per andare nella terra dei mleccha.
Ma più forte di tutto questo era il desiderio di Bhaktisiddhanta Sarasvati, e
questo desiderio non era differente da quello di Sri Krishna.
Inoltre, Sri Caitanya Mahaprabhu aveva predetto che il canto di Hare Krishna
sarebbe stato conosciuto in ogni città e in ogni villaggio del mondo. Prese un
taxi fino al porto di Calcutta, portando con sé il suo bagaglio, l'ombrello e
una copia del Caitanya-caritamrita, che voleva leggere durante la traversata.
In un modo o nell'altro avrebbe potuto cucinare a bordo della nave. Altrimenti
avrebbe digiunato, come desiderava Krishna. Controllò di nuovo se aveva tutto:
biglietto passeggeri, passaporto, visto, modulo P, l'indirizzo del suo appoggio.
Finalmente stava per accadere.
Come spesso ricordò più tardi: "Fu con grande difficoltà che riuscii a lasciare
l'India. In un modo o nell'altro, per grazia di Krishna ho potuto partire, così
da poter diffondere la coscienza di Krishna in tutto il mondo. Altrimenti, non
sarebbe stato possibile rimanere in India. Avevo cercato di cominciare un
movimento in India, ma non avevo avuto alcun incoraggiamento."
La nera nave mercantile, piccola e vecchia, era attraccata al molo, e una
passerella portava dal molo al ponte della nave. I navigatori mercantili indiani
osservarono con curiosità l'anziano sadhu vestito di abiti color zafferano che
rivolgeva le ultime parole di commiato al suo compagno sul taxi e poi si
dirigeva con decisione verso la nave.